di Luciana Sica, repubblica.it, 25 novembre 1995
Per Umberto Eco era “un essere adorabile, stregonesco, spietato”. Per i nemici un ciarlatano, un volgare illusionista, un dissimulatore, un doppiogiochista. Un uomo morale, forse un pazzo. Amato fino all’esaltazione, disprezzato fino all’insulto, Jacques Lacan (1901-81) è stato un padre, un maestro e un clown. Un sacerdote conflittuale del culto di Freud, grande teorico e trascinatore di folle devote, personaggio surreale, e sempre al centro di complicati intrighi amorosi senza i quali la vita non sarebbe un romanzo. Come un romanzo si legge la splendida biografia che Elisabeth Roudinesco, figura di primissimo piano della psicoanalisi francese, ha dedicato all’amico di famiglia Jacques Lacan (Jacques Lacan, Raffaello Cortina, pagg. 608, lire 90.000). Non fraintendiamoci: il libro non indulge ai soliti pettegolezzi sulle intemperanze di Lacan, è anzi in perfetto equilibrio tra la vita privata e quella pubblica del maestro francese, tra l’aneddotica e – quel che è più importante – il suo percorso intellettuale, la storia di un sofisticato sistema di pensiero. La Roudinesco è stata a Milano per una presentazione del suo lavoro: l’abbiamo intervistata.
Madame Roudinesco, è forse il momento di trascurare l’immagine del grande seduttore e riflettere piuttosto sulla rilettura di Freud che opera Lacan. Si tratta di una continuazione o di una rifondazione della psicoanalisi?
Direi che si tratta di entrambe le cose. Lacan introduce nell’opera di Freud questioni filosofiche, tratte in particolare dal pensiero tedesco. Per esempio, costruisce una teoria del soggetto che in Freud non esiste. Riformula alcuni interrogativi, partendo da un modello linguistico e non più biologico. In Freud non vi è una vera e propria teoria del desiderio: ce n’è una, ma del desiderio nel senso di auspicio, in un senso – come dire? – spinoziano, mentre la formulazione di Lacan è completamente diversa, in termini molto hegeliani, con un netto accento sulla negatività. In Freud vi è inoltre solo un embrione di teoria del simbolico… Quindi vi è, sì, una continuazione trattandosi comunque di un ‘ritorno a Freud’ , ma vi è anche una rottura perché in tutta la storia dei suoi interpreti – e sono molti: ci sono stati Melanie Klein, i neofreudiani, i postfreudiani – Lacan è l’ unico a riconsiderare l’insieme dell’ impianto teorico, a rileggere in modo originale i concetti principali dell’opera di Freud. Da qui deriva peraltro il pericolo che certi lacaniani possano leggere Lacan senza rifarsi a Freud, perché comunque Lacan è un freudiano.
Riconducendo Lacan soprattutto alla filosofia, non c’ è il rischio di perdere lo specifico psicoanalitico del suo lavoro?
Effettivamente questo rischio c’è, e non è trascurabile. E’ quello che denunciano i freudiani classici, vale a dire il pericolo di dissolvere la pratica della psicoanalisi. Sappiamo però che, nella storia del freudismo, tutti i grandi creatori hanno modificato anche la tecnica: non si può cambiare la teoria senza coinvolgere anche la clinica. Il rischio, dunque, esiste se ci si comporta come molti lacaniani dogmatici che invocano un lacanismo senza freudismo – cosa che accade. Io li ho severamente criticati nel mio libro.
Althusser chiedeva con humour: Lacan, che ha sempre ingannato tutti, ha ingannato anche se stesso? Se ha ragione Althusser, quali parti di sé avrebbe tradito Lacan?
In primo luogo, Althusser non ha mai detto realmente questo. Lo ha detto, ma in senso davvero umoristico, ecco. D’altronde, si tratta più di una problematica dello stesso Althusser che non di Lacan. Non dimentichiamo che Althusser ha scritto su Lacan un testo straordinario….
Freud e Lacan.
Sì, del 1964. Inoltre ho conosciuto molto bene Althusser e posso dire che prendeva molto sul serio la teoria di Lacan. Certo, ha messo l’accento sul Lacan attore, che pure esiste, su una teatralità che fa parte del modo in cui enuncia la teoria. Lacan è un uomo la cui opera è orale, è molto inibito nella scrittura, in realtà non ha scritto libri. C’è unSeminario, che dura trent’anni, e il suo oratore e un modo di parlare che teatralizza i sintomi. Sempre Althusser ha scritto nel saggio del ’64 e l’ha ripetuto nell’autobiografia L’avvenire dura a lungo che Lacan mette in scena il suo inconscio. Direi allora che non esiste tradimento di Lacan da parte dello stesso Lacan, esiste soltanto un particolare stile di Lacan che rende la sua opera difficilissima da tradurre, da comprendere, da interpretare.
Dal Settanta all’Ottanta, progressivamente Lacan annulla il tempo di seduta. Inoltre diventa sordo e a volte non esita a picchiare i suoi pazienti perché parlino. Come vanno interpretati questi ultimi sconcertanti comportamenti di Lacan?
Sono anni in cui Lacan non rifiuta più nessuno, non riesce a respingere nessun paziente, e nel suo appartamento si affolla un gran numero di analizzandi, molti dei quali psicotici. Lacan si è sempre appassionato alla follia, laddove Freud si era concentrato molto più sulle nevrosi. Alla fine della sua vita Lacan s’interroga sul modo di comprenderla, la follia, e un po’ alla volta quest’uomo della parola comincia ad accusare dei disturbi neurologici, a cadere nell’afasia fino a sprofondare nel più cupo silenzio. Lacan cerca di seguire l’insegnamento di Wittgenstein: ciò che non si può dire lo si deve dimostrare. Così disegna, tenta disperatamente di farsi capire in modo diverso.
È il periodo che lei definisce della “ricerca dell’ infinito”.
Sì, e ho paragonato Lacan a un personaggio faustiano: in parte, il fascino esercitato su di lui dalla follia rasenta qualcosa che rientra nell’ordine della follia stessa. Credo che così vada inteso. Insomma Lacan spinge fino in fondo la sua passione di comprendere la follia, al punto di cadere egli stesso non nella follia, perché non diventa pazzo, ma nella malattia, nel mutismo e quindi nella morte. I suoi pazienti lo accompagnano in questa tragedia.
Faut-il bruler Lacan? Bruciare Lacan? Due anni fa, all’uscita della sua biografia in Francia, così – riprendendo il titolo di un saggio su Sade di Simone de Beauvoir – Le Nouvel Observateurpresentava un lunghissimo dossier. Da voi Lacan continua appunto a “bruciare”, a suscitare passioni e scambi d’ accuse…
Quel titolo era di una banalità totale, stava a dire: siete favorevoli o contrari? In ogni caso Lacan è uno dei più grandi pensatori francesi e, se esce un lavoro su di lui, automaticamente nascono polemiche. Del resto, la famiglia Lacan – che mi detesta fino all’insulto – ha sacralizzato il personaggio, mentre io credo di averlo restituito a una verità più umana. Ho contro i lacaniani idolatri e soprattutto gli anti-lacaniani, cioè le due tendenze estreme. È anche la vita privata di Lacan a turbare ancora gli animi, i suoi problemi con la paternità… Ma un pensatore che si è interrogato su questioni estreme come la follia non credo possa essere un ottimo marito e un genitore impeccabile. Freud lo era e Lacan no, ecco.
Madame Roudinesco, che idea ha del lacanismo italiano?
In passato è stato un disastro. Oggi invece mi sembra che il lacanismo italiano somigli a quello francese, molto più laico, diviso in gruppi, con ogni genere di tendenze. Del resto, siamo nel dopo Lacan.