Freud, maestro o avventuriero (1999)

di Giuliano Gramigna, corriere.it, 24 gennaio 1999

Nel 1885, Sigmund Freud, allora ventinovenne, scrive alla fidanzata Martha Bernays: “Ho appena portato a compimento una risoluzione di cui un certo numero di persone, non ancora nate e votate all’insuccesso, soffriranno molto… Si tratta dei miei biografi. Ho distrutto tutti i miei diari degli ultimi quattordici anni, insieme alle lettere, agli appunti scientifici e ai manoscritti delle mie pubblicazioni… Che i biografi si arrovellino pure; noi non renderemo facile la loro fatica…”. Circa una settantina d’anni più tardi, nel 1957, Ernest Jones, suo discepolo e “fedelissimo”, completava la pubblicazione dei tre volumi della biografia freudiana per eccellenza (verrebbe da dire: per antonomasia). Sembra giusto cominciare da questo monumentum cartaceo per rendere conto dell’opera di Paul Roazen, altrettanto voluminosa, Freud e i suoi seguaci, comparsa da Einaudi con un bel ritardo (uscì in inglese nel 1975) e che rimane tuttavia un testo, intorno a Freud, alla sua vita e alla sua opera, di originalità e importanza: lo spiega bene Michele Ranchetti che lo presenta, sottolineando il carattere della ricerca di Roazen: non è semplicemente la storia dell’esistenza di Freud, ma una “storia di uomini che si sono ritrovati in un momento della storia del mondo” – ricostruita non solo attraverso la lettura dei testi canonici, freudiani e non, ma mediante una serie di interviste con colleghi, allievi e pazienti del maestro. Di tale indagine rende conto, del resto, Roazen stesso, anche per ciò che attiene alla tecnica usata, in una lunga introduzione. Non è qui questione del valore storiografico, scientifico, del libro di Roazen; ma del suo “modo d’ impiego” per il lettore. Roazen, professore di scienze sociali alla York University di Toronto, storico della psicoanalisi (in Italia sono già usciti due suoi libri, Freud, società e politica, Boringhieri e Fratello animale, Rizzoli) è insieme interno e esterno a quel campo cruciale – il suo volume lavora passando dalla storia ufficiale a quella segreta (“mi ero posto l’obiettivo di scoprire quello che non c’era nei libri…”). Anche per la forma di composizione (a interviste), il lettore si troverà magari davanti a una forma (occulta) di privilegio dell’oralità? Ma se è vero, come sostiene Harold Bloom, che ogni libro viene scritto in agonismo, se non in antagonismo, con un altro libro, la radice polemica di Freud e i suoi seguaci è un corpo scritto, appunto il già citato Vita e opere di Freud di mano di Jones. “Quando scrissi Freud e i suoi seguaci dovevo sentire una certa ostilità per Jones”, ammette Roazen, che addebita al biografo princeps di avere proceduto alla costruzione di un mito e di avere prestato troppo orecchio alle richieste, insomma alle attese, dei familiari di Freud. Addebiti forse ingiusti e comunque fatali: secondo Freud la verità biografica è inaccessibile (del resto, che definizione più limpida della psicoanalisi: “il nostro compito non è pronunciare arbitrariamente nuove verità ma piuttosto mostrare per quale via raggiungerle”?). Se biografare Freud ha un senso, sarà questo, capitale: che l’opera freudiana, quel gesto epocale che viene detto “invenzione della psicoanalisi”, è sostanzialmente una “cosa autobiografica” – che non significa intaccarne il valore obiettivo di scoperta scientifica. Essa “ha rivoluzionato il nostro modo di vedere noi stessi”: per dirla spiccia, da Freud in poi non siamo più ciò che credevamo di essere. Giustamente osserva Roazen che la psicoanalisi è forse il caso unico, comunque lampante, di teoria (e pratica) nella quale il personale e lo scientifico sono così intimamente connessi, da risultare inestricabili. Credo sia il modo migliore per fare fruttare il libro di Roazen anche per chi vi entra senza preparazione specifica. Ma del resto, chi non sa qualcosa di Freud e della psicoanalisi, dopo infinite volgarizzazioni, spesso scellerate, di giornali e magazines? Semmai, scoprirà che è tutta un’ altra cosa, più essenziale e appassionante, dove la biografia serve la teoria. Il racconto del lavoro di Freud (non dico semplicemente: della vita) si può leggere come un grande “romanzo familiare”, per prendere in prestito uno dei suoi titoli più famosi. Il rapporto con la moglie, con la cognata Minna, con la figlia Anna, con gli allievi; le rotture, e gli anatemi, nei confronti degli apostati, da Adler a Stekel, a Jung; la costellazione delle donne – discepole (Marie Bonaparte, Ruth Mack Brunswick, Helene Deutsch) configurano altrettanti passaggi esemplari di una elaborazione analitica interminabile, validi pure a livello teorico. Probabilmente, come Crono, Freud divorava i suoi figli: ma essi non sarebbero mai stati quello che furono, senza di lui. Sembra eccezionalmente felice l’affermazione di Theodor Adorno, per cui “nella psicoanalisi solo le esagerazioni sono vere”. Anche Freud, nel suo genio insieme razionale e amplificativo per scoprire “qualcosa di vero”, è in certo senso fuori misura. A volte viene da pensarlo come uno straordinario Ubu della psiche. Chi era poi Freud? Una volta disse di non essere né un ricercatore né un naturalista ma un conquistador, un avventuriero. O un maestro, “come un grande rabbino”? O un “fauve”, secondo Dadoun il biologo, il neurologo Freud che colorava i suoi preparati di tessuti nervosi? Paul Roazen sembra a tratti infastidito dall’insinuarsi, nelle sue pagine, del mito di Freud. Ma ha ragione almeno nel chiosare: “Il Freud storico, con i suoi grandi errori e le altrettanto grandi vittorie della mente, è una figura assai più interessante del Freud leggendario…”. Però anche il mito è un dato da integrare nel grande conto psicoanalitico necessario per arrivare alla figura vera dell’uomo che ha sconvolto un secolo. E appoggiarsi a tale mito per deprecarlo (o venerarlo) non è ancora una forma di resistenza alla psicoanalisi, come avrebbe detto Freud? Penso alle parole niente affatto mitiche, anzi di autoironia spoglia, dette a chi gli elogiava l’Avvenire di un’illusione, nel 1928: “…il mio libro peggiore… Non e’ un libro di Freud… il libro di un vecchio… E oltre a questo, Freud è già morto, e mi creda, il vero Freud è stato davvero grande. Sono molto spiacente per lei, che non ha potuto conoscerlo meglio”.

I libri: Oltre al volume di Paul Roazen, Freud e i suoi seguaci (Einaudi, pag. 657, L. 54.000), ecco qualche titolo che può servire da riferimento o completamento. Ernest Jones, Vita e opere di Freud, tre volumi (Il Saggiatore); Roger Dadoun, Sigmund Freud (Spirali); Marianne Krull, Padre e figlio. Vita familiare di Freud (Boringhieri); Didier Anzieu, L’autoanalisi di Freud e la scoperta della psicoanalisi (Astrolabio).

http://archiviostorico.corriere.it/1999/gennaio/24/Freud_maestro_avventuriero_co_0_9901243805.shtml

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