Il dolore è dolore ovunque. Anche a Teheran

di Francesca Bolino, d.blogautore.repubblica.it, 15 maggio 2013

“Il dolore è dolore ovunque”.  A Teheran, così come a New York o a Milano.
Gohar Homayounpour – psicoanalista che da anni conduce analisi didattiche e supervisioni nel Gruppo freudiano di Teheran e insegna Psicologia all’Università Shahid Beheshti di Teheran – tenta di esplorare l’umanità lasciandosi alla spalle tutti quei clichés che, purtroppo e troppo spesso, ci accompagnano nelle scelte di ogni giorno. Una psicoanalista a Teheran (Raffaello cortina editore) riesce nell’intento di spiegare che la sofferenza e il dolore della persona sono un fenomeno esistenziale e non iraniano, americano, italiano…
Ma cosa vuol dire praticare l’analisi a Teheran? E soprattutto, cosa significa essere una donna che lavora nel Gruppo freudiano di Teheran? Sorpresa! Le donne iraniane protagoniste del libro, non raccontano l’oppressione o le ingiustizie che devono affrontare quotidianamente a causa della società in cui vivono. Queste donne parlano di solitudine, angoscia, paura: le stesse  problematiche interiori di ogni donna al mondo.
“Parlare di lavoro psicoanalitico in Iran evoca fantasie di fascinazione, e chi ascolta in genere si aspetta storie esotiche,  piccanti. Nondimeno, la fascinazione si accompagna a un moto di ripulsa, quasi a negare la possibilità di praticare la psicoanalisi in Iran” dice Gohar Homayounpour. Ogni volta che la psicoanalista si sposta per seguire convegni negli Usa o in Europa o per illustrare casi di alcuni pazienti, si verifica ciò che Julia Kristeva definisce un “rifiuto affascinato”. Chiamiamolo “rifiuto affascinato” oppure “orientalismo” (cioè lo sguardo dell’uomo occidentale nei confronti di quello orientale): queste sono le reazioni che la Homayounpour suscita ogni qualvolta parla di sè o del suo lavoro a Teheran. “So quanto sia diffuso erotizzare il chador, usare espressioni quali “rossetto Jihad”, raccontare che gli uomini iraniani picchiano le donne o usare nomi esotici quali Sherazad, Syavash, Mahmoud Hussein”, racconta la Homayounpour.
La particolarità di questo libro  – va letto perchè è una decostruzione intelligente di molti luoghi comuni e sappiamo purtroppo come oggi ragionare in modo stereotipato sia una pratica molto usata – sta nel fatto che Gohar Homayounpour riesce davvero a prenderci per mano e andare oltre le critiche mosse da alcuni psicoanalisti secondo cui  la psicoanalisi è impossibile in Iran perché è una pratica occidentale… Certo, ma il seme di questa scoperta occidentale ha trovato un terreno molto fertile nelle radici culturali del pensiero iraniano. Esiste un Soflocle iraniano, ed è Ferdowsi (poeta persiano, 935-1020) che mostra come il significato della narrazione, del dialogo e delle relazioni interpersonali, è radicato nella tradizione storica dell’Iran. La cultura iraniana si muove intorno al racconto. Dunque, perchè mai se gli iraniani avvertono con forza la necessità di parlare, non dovrebbero essere capaci di libere associazioni?

http://il-volo-della-mente-d.blogautore.repubblica.it/2013/05/15/il-dolore-e-dolore-ovunque-anche-a-teheran/

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