Recalcati – Salvate il dottor Freud. Difendere la psicoanalisi anche dagli psicoanalisti

Dopo il Manifesto di Repubblica, esce un libro firmato da Argentieri, Bolognini, Di Ciaccia e Zoja

di Massimo Recalcati, la Repubblica, 6 giugno 2013

Quando sulle pagine di questo giornale nel febbraio del 2012 appariva, grazie ad una iniziativa illuminata di Luciana Sica, un Manifesto in difesa della psicoanalisi sottoscritto da quattro autorevoli rappresentanti delle principali correnti storiche della psicoanalisi (Simona Argentieri, Stefano Bolognini, Antonio Di Ciaccia, Luigi Zoja), un vento di primavera sembrava prendere corpo. Finalmente gli psicoanalisti mostravano di saper fare squadra per difendere la loro disciplina di fronte alle critiche che le venivano mosse, in quella circostanza a partire dalla sua inaffidabilità scientifica e terapeutica nella cura dei bambini autistici.
Si trattava di una polemica feroce che era rimbalzata nel nostro paese dalla Francia. La psicoanalisi veniva schernita, ridotta a una specie di rituale superstizioso o a un ferro vecchio dell’Ottocento e i suoi maestri (in particolare Lacan) ritratti come degli impostori. Non era il primo attacco alla nostra disciplina e non sarà certo l’ultimo, ma, soprattutto, non conteneva niente di nuovo rispetto alle invettive critiche che sin dal momento della sua nascita l’hanno accompagnata nella sua storia: la psicoanalisi non è una scienza, non è una cura efficace, agisce tramite la suggestione, colpevolizza i genitori, imprigiona i pazienti in un legame di dipendenza infinito, non può trattare casi gravi, ecc.
La novità non consisteva dunque nei contenuti della polemica, ma di come — grazie all’intuito di una giornalista attenta alla psicoanalisi —, si potesse utilizzare questo ennesimo attacco per aprire finalmente un dibattito all’interno dei vari orientamenti sul futuro della psicoanalisi nel nuovo secolo. Come lettore interessato avevo accolto con entusiasmo questa novità: finalmente si parlano, provano a cogliere che cosa ci accomuna più di quello che ci divide, finalmente l’occasione per entrare in un nuovo tempo della storia della psicoanalisi italiana, vista l’autorevolezza scientifica e istituzionale dei firmatari del Manifesto.
Quando ho iniziato la lettura dei loro interventi successivi a quella polemica, raccolti ora sotto il titolo In difesa della psicoanalisi da Einaudi, mi aspettavo di trovare un avanzamento del dibattito se non nella prospettiva di una riunificazione critica della famiglia psicoanalitica, almeno di una pacificazione feconda in grado di aprire un confronto su ciò che è ancora davvero vivo nella nostra disciplina e su cosa invece esige di essere rinnovato profondamente.
In realtà in questo libretto non ho trovato molto in questa direzione. Piuttosto una ricapitolazione dei temi già presenti nel Manifesto: rivendicare la psicoanalisi come scienza a statuto speciale, centrata sulla singolarità irriducibile del soggetto, precisare l’importanza dell’intervento clinico della psicoanalisi anche nel trattamento delle patologie gravi come l’autismo, avvertire sui rischi del dilagare dell’ideologia scientista. Solo Stefano Bolognini e Antonio Di Ciaccia si affacciano — anche se lateralmente e solo per un attimo — sul tema che mi aspettavo fosse messo in gioco con più coraggio. Il primo quando afferma che «una certa idealizzazione della psicoanalisi ha nuociuto in primis proprio alla psicoanalisi»; il secondo quando si chiede se «il pericolo maggiore per il futuro della psicoanalisi non venga proprio dagli psicoanalisti».
Ecco finalmente un’apertura critica che ci spinge ad affrontare la responsabilità che ci concerne come psicoanalisti nella crisi attuale della psicoanalisi. È evidente a tutti noi o quasi a tutti, sicuramente agli autori di questo libro, che la psicoanalisi deve poter rispondere con forza persuasiva a un esercito agguerrito e composito di suoi detrattori che va da un certo uso delle neuroscienze alla psicologia cognitivo-comportamentale, dall’egemonia dell’ideologia della valutazione e della misura che vorrebbe rendere tutto calcolabile compresa la vita psichica, alla montata dilagante di psicoterapeuti abilitati all’esercizio della professione senza un valido training personale.
Ma forse è meno evidente riflettere su come la psicoanalisi stessa ha chiuso gli occhi sulle trasformazioni epocali che hanno investito la nostra società, sulle rigidità anacronistiche relative al percorso di formazione dei suoi candidati, sui costi della terapia, sulla possibilità di prendere parola e intervenire attivamente nella vita della città, sulla risposta che può dare alla crisi etica della nostra vita civile, sulle azioni istituzionali per rispondere terapeuticamente ai sintomi provocati dalla precarietà sociale che la crisi economica ha enfatizzato, sulla necessità di creare un fronte culturale comune per difendere la nostra disciplina dal dilagare delle scuole di specializzazione, per lo più sponsorizzate dalle Università, ad indirizzo cognitivo- comportamentale, sul destino dei giovani che si rivolgono a noi per iniziare un processo di formazione lungo e dagli esiti incerti, sulla necessità di vivificare la dottrina attraverso contributi nuovi e originali che non si limitino a ripetere il verbo dei padri.
Chiediamocelo davvero: non c’è forse qualcosa da “rottamare” anche nelle Scuole di psicoanalisi?

In difesa della psicoanalisi di Argentieri, Bolognini, Di Ciaccia, Zoja (Einaudi pagg. 112 euro 10)

Articolo segnalato da http://tortora.iobloggo.com

Per leggere il pezzo del 2012 citato da Recalcati:
https://rassegnaflp.wordpress.com/2012/02/22/uniti-a-favore-di-una-scienza-a-statuto-speciale-ecco-il-manifesto-che-mette-insieme-scuole-diverse/

http://tortora.iobloggo.com/736/chiediamocelo-davvero-non-ce-forse-qualcosa-da-rottamare-anche-nelle-scuole-di-psicoanalisi

2 thoughts on “Recalcati – Salvate il dottor Freud. Difendere la psicoanalisi anche dagli psicoanalisti

  1. Davide Radice ha detto:

    Pressoché totalmente condivisibile, se non per un finale a dir poco sfilacciato:

    “difendere la nostra disciplina dal dilagare delle scuole di specializzazione, per lo più sponsorizzate dalle Università, ad indirizzo cognitivo- comportamentale”

    Una scienza non si difende, a una scienza si cerca di dare contributi che la rendano sempre più in grado di maneggiare il proprio oggetto. Vorrebbe contrastare il dilagare di scuole di specializzazione relativi ad altre scienze? E come?

    “non c’è forse qualcosa da “rottamare” anche nelle Scuole di psicoanalisi?”

    Forse la domanda più opportuna dovrebbe essere se ci sia qualcosa da salvare nelle scuole di psicoanalisi, visto che sono scientificamente sterili e sembrano essere luoghi di trasmissione di tecniche e in generale di conformazione.

    Sull’effetto scuola si veda anche:
    http://www.analisilaica.it/2013/06/01/le-miserie-delleffetto-scuola/

  2. Maurizio Montanari ha detto:

    Chi rottama chi? In molti casi si assiste ad un processo prettamante italiano. Componenti di una Scuola utilizzano metodi che quella Scuola mette sotto accusa, critica. O meglio, sottopone ad un vaglio. La reazione che si ottiene è la fuoriscita dei componenti ‘criticati’ i quali, fondando altre Scuole delle quali si proclamano reggenti, si chiamano fuori dal noiosissimo costume di rispondere a qualcuno. Rottamatore significa , a volte, un più banale modo di non lasciare il non facile terreno della obeizione. Questo è un fenomeno prettamente Italiano, terra di movimenti politici generati dal nulla, assoggettati da capi i quali fanno del non rispondere alla Legge la loro modalità di intendere il concetti di democrazia. Nella Psicoanalisi : questa disciplina, si sa, è il luogo principe della circolazione della parola, la stanza delle ‘libere associazioni’. E’ il posto nel quale il soggetto reclama la sua intima ed irriducibile libertà a ‘dire’, a portare in parola qualsiasi cosa.
    Il setting analitico, come elemento contenitore di questo esercizio di democrazia, non è per sua essenza democratico, in quanto è l’analista che orienta e conduce la cura della parola. Una contraddizione solo apparente.
    In ciò è racchiusa e dipende la questione: il movimento psicoanalitico, le Scuole, possono nel loro insieme dare un apporto alla democrazia, soprattutto in questi tempi? Cioè può estendere il motto freudiano del dire quel che si vuole nel modo che si desidera al legame sociale, contaminando i media, le istituzioni politiche e sociali? I gruppi fondati su un credo, politico o religioso che sia? Può ( vuole ) toccare tutte quelle aree del sociale dove il soggetto è ‘chiuso’ nel silenzio? Deve. O almeno, dovrebbe. Questa prospettiva liberatoria parte ovviamente dal sintomo, via principale d’ingresso in analisi dal quale il nevrotico vuole liberarsi. Riguarda poi il concetto di follia, in omaggio all’assunto che il folle ha diritto di parola ( si pensi a istituzioni che accolgono bambini autistici o portatori di gravi turbe relegati sovente a corpi inerti).
    Un azione a tutto campo dunque, che principia dal paziente sul lettino sino ai detenuti negli opg, per dare la parola a ciascuno. Uno per uno.
    Come la vuole dire,. Se la vuole dire.
    Questo è senza dubbio l’apporto più importante della psicoanalisi alla democrazia.
    Ma per fare questo, è necessario che chi apre le porte alla gentilezza sia, in questo caso, gentile, parafrasando al contrario la lezione di Brecht. E’ fondamentale che la Psicoanalisi ( nel setting come pratica clinica, nel suo organizzarsi come istanza sociale ) sia democratica. Per questo lo psicoanalista deve essere, al netto della conduzione della cura, intimamente democratico.
    E’ utile sapere che esiste una vasta letteratura dedicata agli errori analitici e alle malepratiche . Dal celebre ‘Libro nero della Psicoanalisi’, all’ottimo ‘Al di la delle intenzioni. Etica e analisi’ di Luigi Zoja.
    Testi scomodi, ma per questo importanti. Testimonianza di chi non ha potuto testimoniare. Puntano l’attenzione sulle cure che deragliano, laddove il democratico principio della libera associazione è messo in scacco da errori clamorosi, sviste, conduzioni analitiche opache. Sopraffatto da quel proprio non lavorato e non filtrato che irrompe in seduta, quel controtransfert con il quale ogni bravo analista deve fare i conti. Ebbene, per garantire un contributo alla democrazia, le Scuole analitiche devono essere organizzata in modo democratico e dunque dialettico. E per fare questo, lo psicoanalista deve saper contemplare la periodica rettifica del proprio agire in un confronto tra pari. Avere buoni quarti di democraticità si traduce nel porsi come parte di una rete, più ampia, ( democratica, appunto) che possa osservare ed eventualmente correggere eventuali svarioni, errori, condotte malevole. Solo in questo modo le Scuole possono dare un vero contributo alla democrazia, intesa come lotta alla parola segregata. La psicoanalisi è democratica in quanto opposta alla censura della parola.

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