di Redazione e Julia Kristeva, avvenire.it 28 agosto 2013
È in libreria da domani, di Julia Kristeva, L’avvenire di una rivolta (il melangolo, pagine 100, euro 12,00), da cui pubblichiamo la prefazione. La filosofa e psicoanalista francese di origine bulgara, riprendendo la famosa frase di Camus «mi rivolto dunque sono», afferma che «ci rivoltiamo dunque abbiamo un avvenire». Il libro è un elogio della rivolta permanente come capacità di ricominciare sempre la nostra esistenza, di rimettere sempre in questione le nostre convinzioni e credenze, come unica possibilità per non chiudersi nel presente e tenere aperto l’avvenire. Kristeva parte dall’esperienza della vita psichica di ciascuno perché è qui che si gioca l’avvenire della società e la possibilità di fondare una nuova politica. Analizzando esperienze diverse che vanno dalla preghiera all’arte, dal dialogo all’analisi, Kristeva offre un quadro per orientarsi in un’epoca di crisi che, prima ancora che politica, è una crisi esistenziale che investe il senso della vita degli uomini. Tra le numerose opere della Kristeva tradotte in italiano ricordiamo: Il rischio del pensare, il melangolo, 2006; Teresa, mon amour, Donzelli 2008; Il genio femminile, Donzelli, 2010; Storie d’amore, Donzelli, 2012.
Sommosse popolari, gioventù indignata, dittatori detronizzati, presidenti cacciati dalle oligarchiche fortezze, speranze e libertà represse in prigione, processi farsa e bagni di sangue. La rivolta, riot sul web, sta quindi risvegliando l’umanità digitale dal suo sogno iper-connesso? Nient’altro che l’ennesima astuta richiesta di uno spettacolo che ha bisogno di perpetuarsi? Ma di che rivolta stiamo parlando? È ancora possibile in questi tempi di generalizzata miseria, debito endemico, austerità e disoccupazione, in un momento in cui le guerre saldamente localizzate minacciano di generalizzarsi e lo scioglimento dei ghiacci sta per inondarci? Ho scritto L’avenir d’une révolte (Calmann-Lévy, 1998), di cui il lettore troverà di seguito la riedizione, sulla scia di Sens et non-sens de la révolte (Fayard, 1996) e di La Révolte intime (Fayard, 1997), una quindicina di anni fa. La Francia, sempre fiera della propria memoria e della propria eccezione culturale, ma sempre più delusa dagli schemi e dalle promesse di cui si nutre la politica e, oggi, sul punto di diventare astensionista in un’Europa in ritirata, resta tuttavia sempre animata da un gusto inalterabile per la libertà di pensare, nel genio della lingua francese e nel culto del dibattito repubblicano.
Per continuare: