Gustav Klimt. Le fonti del desiderio

I misteri dell’universo femminile messi a nudo sulla tela attraverso il candido stupore di un artista rapito dai sensi

di Roberta Scorranese, Il Corriere della Sera, 12 marzo 2014

Com’era nuda quella fin de siècle viennese! Nude sotto i veli dell’Art Nouveau erano le donne di Alfons Mucha; nuda era Alma Mahler, che – sebbene ancora giovane e lontana da quel rosario di amori maschili che srotolò con perizia – si diceva votata al bello. Nudi saranno, di lì a poco, i corpi perturbanti di Egon Schiele. E nude erano le donne di Gustav Klimt. Di certo, nei suoi occhi. «Per lui, il corpo, era prima di tutto al naturale. Dipingeva sempre i soggetti senza veli e, solo in un secondo momento li vestiva», dice Alfred Weidinger, vicedirettore del museo Belvedere di Vienna e curatore della mostra «Klimt – Alle origini di un mito». 
E il Klimt che qui si racconta è (anche) quello degli inizi, prima della rivoluzionaria Secessione, che prese avvio nel 1899. È il Klimt della donna rugiadosa; di quella flessa su se stessa, divorata dalla sua bellezza. È il Klimt di Ritratto femminile (1894), quasi un manifesto dell’iconografia materna: capelli raccolti, espressione seria, abito finemente decorato. «Non è la madre, però. Forse è Emilie Flöge, una delle donne che gli furono accanto», chiosa Weidinger. 
Una delle , perché le donne di Klimt furono tante e importanti. Amava innamorarsi. Per poi sparire, con la naturalezza di un bambino. «Non sono interessato a me, ma alle donne», scrisse in una lettera, anzi, in una cartolina – furono inventate a Vienna e in mostra se ne trova una selezione ben studiata. 
Qui c’è il Gustav che, da bambino, spalancò gli occhi davanti alle decorazioni d’oro nella bottega del padre, orafo. L’oro che poi volle riprodurre, ossessivamente, nella sua arte: il Fregio di Beethoven, l’opera monumentale che Klimt eseguì nel 1902 e che qui si presenta in una colta riproduzione, è un «inno all’amore per le cose che luccicano», come dice il curatore. 
Eccolo il cuore segreto di questo artista così amato (Il bacio è una delle opere moderne più riprodotte) ma anche così frainteso: la sua non era ricerca intellettuale, era sincero stupore; non era speculazione onirica quale retaggio freudiano applicato all’arte: più semplicemente, era che lui le ragazze se le immaginava così nelle fantasie: fluttuanti, acquatiche, costantemente svestite. Era semplicità maschia davanti a un seno femminile. Si guardi, in mostra, la bellezza di Adamo ed Eva, con la nudità della donna che copre con grazia quella maschile, un po’ imbarazzata. 
Era il dominio dei sensi che, in quella fine secolo, imbastiva un nuovo linguaggio culturale nella «città più erotica del mondo», come Lou Andreas-Salomé definì Vienna. Ecco perché non riusciamo a vedere nei ritratti klimtiani di giovani ragazze (si osservi Ritratto di bambina del 1880) la profondità spirituale che c’era, per dire, nel quasi contemporaneo Felice Casorati. C’era invece quella sensualità spontanea del figlio dell’artigiano, cresciuto con madre e due sorelle e, dunque, avvezzo a vedere carni femminee imperfette nell’intimità domestica. 
C’era, chissà, la suggestione dei primi esperimenti naturistici che prendevano vita in Svizzera, nei pressi di Ascona, sul Monte Verità. C’era quel sottilissimo senso di spaesamento maschile di fronte a nuove donne, più emancipate e forti. Pochi anni dopo, mentre si struggeva per Felice Bauer, Franz Kafka giunse a implorarla: «Via, Felice, trasformami in un uomo che sia capace di ciò che è ovvio!». 
È stato proprio il cerebrale inventore della psicoanalisi a cogliere questa temperie. Un giorno Freud disse ad Arthur Schnitzler: «Con la sua arte lei ha capito molto di più sull’animo umano di quanto abbia fatto io in lunghi anni di ricerche». Ecco perché la mostra va visitata più con l’istinto che con la ragione, lasciandosi sedurre dai fregi, dalle musiche (Gustav Mahler fu una presenza-chiave nella vita di Klimt) e dalla vividezza dei ritratti, senza farsi domande. 
«Klimt stesso non se ne poneva – spiega Weidinger – : chiamato a realizzare un’opera su Beethoven ha pensato bene di concluderla con quello che per lui era la summa dell’arte: un abbraccio. L’amore». Si attraversino le sale dedicate ai ritratti familiari (la società di decorazioni che fondò con il fratello è alla base della sua formazione pittorica); si passi accanto ai paesaggi, alle sirene e ci si fermi davanti al Girasole. 
Un monumento vegetale al fiore, punteggiato d’oro, che culmina con una testa-corolla. Ecco, per Klimt era il vero simbolo femmineo: il potere vivificatore, autarchico, prono solo di fronte alla natura.

Gustav Klimt, Ritratto femminile, 1894 circa, Vienna, Belvedere

http://segnalazioni.blogspot.it/2014/03/martedi-4-febbraio-su-repubblica-salute.html

Fai clic per accedere a 12Mar2014283700abd59d47634eae7ad695cb8560.pdf

Sulla mostra vedi anche, a cura dell’autrice, la infografica al link:

http://www.corriere.it/cultura/14_marzo_14/klimt-origini-una-rivoluzione-cea5fcaa-ab85-11e3-a415-108350ae7b5e.shtml

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