Ospiti – Recensione a Roberto Zapperi, ‘Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista’, Franco Angeli, Milano 2013 (2014)

di Simona Viccaro, filosofia-italiana.net, 6 aprile 2014

Il libro di Roberto Zapperi, Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista, prende le mosse da una vicenda decisamente curiosa: si tratta di una dedica, o meglio, di uno scambio di dediche, che vide protagonisti l’allora anziano Sigmund Freud e il capo del fascismo italiano. Perché Freud scrisse una dedica a Mussolini? Cosa legò il padre della psicoanalisi, ben consapevole dello stato di estremo pericolo in cui versava la sua “scienza ebraica” durante gli anni del consolidamento del nazionalsocialismo e della crescente espansione dell’hitlerismo oltre i confini della Germania, al dittatore che, com’è noto, fu sin dall’inizio attento ad osteggiare, talvolta arrivando all’estrema misura dell’eliminazione fisica, gli oppositori culturali del suo regime? Il libro tenta, in modo assolutamente efficace, perché sorretto da un’ampia ricostruzione storico-documentaristica, di rispondere a questa domanda e di sottrarre così, in una maniera che non esiterei a definire definitiva, la psicoanalisi freudiana e l’uomo Freud alle indebite accuse di filo-fascismo che ancora di recente gli sono state mosse dall’ultimo baluardo dell’anti-freudismo contemporaneo (Michel Onfray, Le crépuscule d’une idole, l’affabulation freudienne, Grasset, Paris 2010). Il testo, profondamente animato da questa intenzione critica, è dunque allo stesso tempo un’analisi del “caso Freud-Mussolini”, e insieme, una presentazione al lettore, specialista o semplicemente appassionato alle affascinanti stranezze della storia, di un capitolo fondamentale della vita della psicoanalisi in Italia.
Ad occasionare la dedica incriminata, che Zapperi ricostruisce minuziosamente nel primo capitolo, fu l’incontro, avvenuto nell’Aprile del ’33 nello studio viennese di Freud, tra questi ed ildrammaturgo italiano Giovacchino Forzano che insieme allo psicoanalista triestino e fedele amico di Freud, Edoardo Weiss, accompagnava la figlia Concetta, paziente di Weiss, per sottoporre all’attenzione del maestro il caso di un difficile rapporto analitico. È in occasione di questo incontro che Forzano regalò a Freud una copia della traduzione tedesca di un dramma scritto in collaborazione con Mussolini dal titolo Hundert Tage (Cento giorni), al quale era stata apposta, molto probabilmente dallo stesso Forzano, una dedica dal tono sorprendentemente elogiativo che recava la firma di entrambi gli autori. In segno di riconoscenza, Forzano chiese a Freud di ricambiare il dono con un libro suo che avrebbe portato a Mussolini: si trattò dell’ultima pubblicazione freudiana, Warung Krieg? (Perché la guerra?), la cui traduzione tedesca era stata, tra l’altro, subito proibita in Germania dal governo hitleriano. Al testo, che riportava lo scambio epistolare tra Freud ed Einstein sul tema della guerra, eletto come il più urgente sul quale bisognasse richiamare l’attenzione internazionale, Freud fece precedere la seguente dedica, altrettanto altisonante di quella ricevuta: «A Benito Mussolini coi rispettosi saluti di un vecchio che nel detentore del potere riconosce l’eroe della civiltà».
Di qui l’imbarazzo – di cui Zapperi non esita a svelare la natura di equivoco – che circonda la scelta di Freud di utilizzare parole tanto impegnative per rivolgersi a colui che, esattamente due mesi dopo, con un articolo apparso sul suo Popolo d’Italia, avrebbe duramente attaccato lui stesso e l’«impostura comunista» della psicoanalisi; del legame di questo articolo con quello apparso pochi anni prima e firmato da un noto persecutore del freudismo, padre Shmidt, l’autore tratterà nella parte centrale del testo, nel capitolo intitolato Freud comunista?
Sulla vicenda della dedica freudiana Zapperi presenta le diverse fonti interpretative e opta, come ci si aspetterebbe, in direzione di un accoglimento di quante tra queste, in primo luogo quella di Ernst Jones, (l’utilizzo della più importante biografia su Freud ricorre moltissimo in tutto il testo) ma ancora dello storico Michel David, spiegherebbero il gesto di Freud con due motivazioni diverse ma accomunate dall’esser entrambe non rinviabili a presunte simpatie politiche. Si tratta, da un lato, del riferimento all’interesse di Freud per il patrocinio mussoliniano di numerosi scavi archeologici a Roma, fatto vero, ma secondo Zapperi non sufficientemente valido a spiegare il tono usato da Freud e, dall’altro, di quella che costituisce l’ipotesi forse più accreditata, perché effettivamente riscontrabile nell’ampia corrispondenza che in quegli anni Freud tenne con diversi amici e colleghi: secondo quest’ultima, alla base della dedica, ci sarebbe la speranza di Freud, presto rivelatasi tragicamente illusoria, che Mussolini avrebbe impedito ad Hitler di annettere l’Austria alla Germania nazista. Nel panorama molteplice delle interpretazioni, nel quale il ricorso ad una compartecipazione di cause sembra dunque la strada giusta da seguire, un fatto sembra certo a Zapperi: la scelta di regalare un testo nutrito da una chiara intenzione pacifista come Warung Krieg? a colui che inneggiava alla guerra come «sigillo di nobiltà», appare come una «vera e propria provocazione e non si può escludere che la dedica fin troppo calorosa volesse anche attenuarla in qualche modo» (p. 26).
Dalla rievocazione dell’episodio maggiore, la storia della dedica, il testo si avvia poi a ricostruire la serie delle micro storie dei protagonisti coinvolti nella vicenda; l’intento, che molto ben si riflette nel tono con cui l’intero libro è stato scritto, è quello di “vederci chiaro” all’interno dei vari frammenti che compongono un’unica storia, contro ogni tentativo di affabulation: si parla così dell’invidia per il tanto desiderato e mai ottenuto Nobel che segnò costantemente il rapporto di Freud con Einstein che invece il Nobel lo aveva già ricevuto nel 1921 – una motivazione psicologica dunque e non politica come insinuato ancora da Onfray, sarebbe stata alla base di questa sottile ostilità –; della vicenda artistica che legò Forzano a Mussolini, nonché della storia di Edoardo Weiss in Italia.
La questione del timore freudiano per l’Aunschluss che, come accennato sopra, meglio si presta secondo l’autore, a motivare l’ingombrante dedica, costituisce l’interessante trait d’union tra la prima e la seconda parte del testo: la ricostruzione delle dinamiche italo-tedesche circa la questione austriaca dall’inizio del ’30 fino al fatidico Marzo 1938, è svolta attraverso le pagine del Tagebuch freudiano. Qui, l’angoscioso timore per la barbarie antisemita, figura come elemento essenziale capace di motivare, nell’interpretazione efficace di Zapperi, la speranza di salvezza riposta da Freud in tutto ciò che avrebbe potuto evitare il peggio, e cioè la conseguenza inevitabile dell’abbandono della sua patria.
Se dunque ancora nel ’33 Freud poteva sperare nel «fascismo domestico» come difensore del ben più pericoloso «cugino tedesco», speranza che ha già in partenza il gusto dell’amara disillusione, è altrettanto rilevante perché altrettanto privo di fondamenta politiche, che Freud poté credere nella grande influenza che in Austria aveva la Chiesa cattolica. Alle speranze (tutte illusorie) di Freud non corrisponde nessun reale giudizio politico – questo sembra volerci dire l’autore –, bensì solo le considerazioni di un uomo, ebreo e liberale, molto preoccupato per la sua sorte personale e per quella del suo paese.
Se è in questo contesto variegato che bisogna riportate l’immagine che Mussolini rappresentava agli occhi di Freud, non vi è al contrario dubbio alcuno sul clima di assoluta ostilità, poi sfociata in vera e propria repressione, in cui versava la psicoanalisi nell’Italia fascista. Gli ultimi capitoli del testo offrono al lettore un quadro molto chiaro di come la reazione italiana fosse la diretta ripetizione dell’accusa, la cui infondatezza è, come giustamente ricorda Zapperi, provata dalla difficile vita che la psicoanalisi ebbe nella Russia sovietica, di simpatie bolsceviche rivolta a Freud da padre Schmidt.
L’opposizione italiana alla psicoanalisi era costituita oltre che dai fascisti e da numerosi esponenti più o meno autorevoli della Chiesa cattolica, sottolinea Zapperi, anche da alcuni seguaci di Benedetto Croce; scandalizzata dall’immagine di una pseudo scienza che parlava «il linguaggio della pornografia», la cultura italiana dominante non mancò di perseguitare la vita letteraria della psicoanalisi: dalla Rivista italiana di Psicoanalisi che, fondata da Weiss nel 1932, dovette già nel ’34 interrompere la sua attività per mancato rinnovo del permesso di pubblicazione, alla continua censura cui l’Enciclopedia Treccani sottopose la redazione delle voci di argomento psicoanalitico ad opera dello stesso Weiss.
Mentre Freud sperimentava su di sé la progressiva nazificazione dell’Austria e gli effetti umanamente mortiferi dello strapotere di Thanatos, sospettata di antifascismo e, seppur del tutto inconsapevolmente, percepita come pericolosa, la vita della psicoanalisi e degli psicoanalisti italiani versò sostanzialmente in una situazione di grave difficoltà, tant’è che citando Alberto Savinio, Zapperi ricorda che «La fine del fascismo, tra altri effetti in Italia, ha avuto anche quello di aprire le porte alla psicoanalisi […]» (p. 126).
Per concludere, il prezioso libro di Zapperi ci appare coma una difesa di quella che in termini freudiani si direbbe la “verità storica” della vicenda italiana della psicoanalisi: priva di slanci enfatici, la ricostruzione dell’autore è sorretta da quella sobrietà dell’argomentazione, non priva però di scelte interpretative ben precise, che è propria della storia stessa.

Fai clic per accedere a Recensione-Zapperi.pdf

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