E Adorno sfidò Canetti in radio

Il duello del 1962 con in mezzo Gramsci in un libro di De Nunzio

di Bruno Gravagnuolo, unita.it, 26 aprile 2014

Adorno, Canetti e in mezzo Gramsci. Strano trio, fatto di personaggi che sembrano avere poco in comune. Invece Fabrizio De Nunzio, studioso dell’Università di Salerno e autore di saggi su Benjamin, Tv e cinema, li mette in risonanza in un acuto volumetto. Che riesuma un evento del 1962: il colloquio intervista tra Adorno ed Canetti svoltosi nel marzo 1962 alla radio tedesca. Tema, Massa e potere. Il capolavoro di Elias Canetti uscito nel 1960. Il libro si intitola Metamorfosi del potere (Ombre corte, pp. 142, Euro, 13) ed è costruito attorno all’intervista radiofonica, sorta di confronto-scontro tra il fondatore della scuola di Francoforte e lo «sciamanico» Premio Nobel per la letteratura, che era ben più che un letterato. In ballo ci sono temi come il potere, l’illuminismo, la tecnica, la comunicazione. E il rapporto tra strati arcaici della mente e meccanismi gregari di massa, che conducono al totalitarismo e al dominio tra gli uomini. Attraverso l’immaginario collettivo irradiato dai media: l’«immaginativo», come preferiscono chiamarlo i duellanti. E Gramsci che c’entra? Denunzio lo fa intervenire in lunghe note a piè di capitoli, come interlocutore e chiosatore invisibile. Che ha intuito tante cose. Dal carattere astratto e immateriale del lavoro moderno (nella scrittura e nel lavoro intellettuale). Al ruolo della radio e del cinema nel modulare appartenenze e scelte politiche. Alla fluidità dell’individuo dentro i flussi della comunicazione di massa. Al rapporto cesaristico masse-capi, mediato dal mito politico. 
Ma veniamo allo scontro Adorno-Canetti. Da una parte c’è la ragione critica francofortese, nemica del mito e anche della ragione critica intesa come mito (l’onnipotenza della tecnica).Un tema classicamente declinato nella celebre Dialettica dell’Illuminismo, opera fondativa della scuola di Francoforte, scritta con il «dioscuro» Horkheimer. Dall’altra agisce il pensiero «medianico» di Canetti, che fa del mito una fonte perenne di conoscenza. Proprio per intendere le catastrofi e le regressioni della modernità. Insomma, due visioni profondamente diverse della contemporaneità. La prima «rischiaratrice» e antagonista. La seconda sciamanica e aristocratica. Entrambe tese a capire le tragedie del secolo, con strumenti diversi. Mentre infatti Adorno vuol liberare la «soggettività » dai ceppi del feticismo economico e tecnico, Canetti suggerisce una via di fuga dal moderno e un ripiegamento nella creatività dell’«arcaico »: come dimensione stabile della mente e ancora di salvezza. 
Attenzione, Canetti non è un reazionario. Incarna piuttosto la figura del «saggio», nutrito di scienze umane, che tende a ricomporre le fratture del singolo entro una visione cosmica del mito, inteso come sfera eterna del rapporto uomo-natura, che si riproduce all’infinito. I suoi miti sono «prototipi» alla Kereny, più che archetipi alla Jung. Ma il suo «inconscio» non tende alla luce razionale del’Io, come in Freud. Quanto alla pienezza romantica del conoscere e dell’esistere tramite le «metamorfosi»: la capacità mimetica, «psicotica», di sintonizzarsi con tutto (come nel mito di Ulisse). E con tutte le esperienze dell’umanità, che si riproducono nel ciclo cosmico degli eventi. Una prospettiva che ricorda non solo Jung, ma anche Mircea Eliade, rovesciata nell’attualità. Sicché la massa umana moderna riprodurrebbe non i fenomeni arcaici dell’orda freudiana, che uccide il padre e lo santifica. Bensì le «mute» vaganti e in fuga dei cacciatori e dei guerrieri. Volte a riprodursi e a generare pianto rituale e sacrifici, prima di stabilizzarsi in entità tribali. Dunque la «massa» rigenera in Canetti la sua potenza «difensiva», rendendo l’individuo «totipotente» ed eccitato. Contro l’angoscia di morte, altro concetto chiave in Canetti, che poi in Potere e sopravvivenza, si tramuta nella spinta a dare la morte all’Altro o a divorarlo, per liberarsene. Con un meccanismo di assimilazione ed espulsione. 
Sostrati tragici questi, che si rivelano suggestivi, per capire la pulsione di morte e il suo ruolo, nelle dinamiche intersoggettive e di massa del potere (si pensi al razzismo, ai pogrom e all’annientamento etnicida). E che colgono Adorno in contropiede, al punto da spingere il filosofo intervistatore a usare una precisa strategia: taglio dei tempi per la risposta. E riscrittura e addomesticamento delle idee di Canetti. Per isolarlo, facendolo apparire inattuale vox clamans nel deserto. La partita in radio la vinse Adorno. Ma le copie vendute di Massa e potere aumentarono in Germania. E il passaggio radiofonico giovò all’anti-mediatico Canetti. Aiutandolo a diventare di moda.

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