di Roberto Stura, Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.it, 16 maggio 2014
Sul manifesto di sabato 10 maggio* Sarantis Thanapulos riprende una ricerca sui bambini autistici che afferma che anche in questo campo non tutto è dovuto alla genetica. Gli autori inseriscono tra le altre possibili cause i fattori ambientali (non quelli psicorelazionali). Questo studio spinge Thanapulos ad affermare che il mondo della scienza è accecato dalla sua visione materialistica «…la verità della casa in cui alloggiamo diventa la solidità della sua struttura, delle sue tubature, della sua rete elettrica.. e non il modo di abitarla, di usarla, di viverla..». Non discuto le conclusioni a cui arriva l’autore dell’articolo ma trovo sbagliate le premesse.
Nella grande maggioranza dei bambini affetti da autismo è presente ritardo mentale, disturbi neurologici e alterazioni del linguaggio (il linguaggio è conservato nella sola Sindrome di Asperger, la forma di autismo che i lettori conoscono attraverso la rappresentazione filmica, con soggetti capaci di memorizzare un elenco telefonico). Solo una piccola parte dei bambini autistici diventati adulti arriverà all’autosufficienza.
Pertanto:
- difficile pensare che non vi siano danni organici nel cervello (anche se non visibili con gli attuali strumenti diagnostici).
- poco credibile l’ipotesi psicorelazionale, occorrerebbe ipotizzare che in pochi mesi di vita un’alterata relazione con i genitori sia in grado di causare tali disturbi.
- il danno al cervello non è come un danno ad un altro organo del corpo, è evidente che l’alterazione del sistema nervoso possa avere ricadute sulla vita di relazione.
- la psicoanalisi in questo campo è stata più «deterministica» di altri settori della medicina quando ha ipotizzato che l’autismo fosse favorito da genitori «incapaci di amare», colpevolizzando intere generazioni di padri e madri con figli autistici.
In sintesi: questa ricerca sull’autismo non può essere collegata a valutazioni per cui «oggi conta più la quantità che la qualità nella nostra vita»; può essere vero, ma è meglio lasciare in pace l’autismo.
Roberto Stura, medico, Casale Monferrato
Risposta:
Caro Renato,
la ricerca sull’autismo non può ignorare gli affetti e l’espressione del desiderio: comunque spieghiamo la loro condizione i bambini autistici sono soggetti desideranti inespressi. Un approccio equilibrato al loro problema dovrebbe tenere conto delle dinamiche emotive della relazione con il loro ambiente e in particolare con i genitori. Sostieni che nell’autismo l’alta frequenza di ritardo mentale, di alterazioni del linguaggio e di disturbi neurologici non può non far pensare a danni cerebrali. È un’affermazione molto discutibile.
Queste correlazioni indirette restano ipotetiche fino a prove dirette che, come tu stesso ammetti, non esistono (né sembrano in arrivo) e non spiegano i tanti casi dell’autismo in cui sono assenti i disturbi neurologici. Inoltre, un bambino in isolamento affettivo dal mondo può avere problemi di appropriazione del linguaggio e di sviluppo mentale indipendentemente dall’esistenza di una lesione organica. O pensi che sia possibile separare lo sviluppo cognitivo da quello emotivo? Dici che la psicoanalisi è deterministica nel campo dell’autismo mentre sostieni il determinismo più assoluto: il danno al cervello. Che pochi mesi all’inizio della vita bastino a creare disastri, è un’evidenza che fa parte della clinica psicoanalitica ma anche del nostro patrimonio culturale: più un danno è precoce più è devastante e non solo tra gli esseri umani.
La psicoanalisi non fa derivare l’autismo dall’incapacità di amare dei genitori. Le relazioni tra genitori e figli sono complesse, non si riducono alla capacità di amare o di odiare e le complicazioni maggiori sono il prodotto di errori preterintenzionali. Per questo le famiglie sono luoghi di affetto ma anche di disastri relazionali e sarebbe insensato negarlo. Che intere generazioni di genitori siano stati colpevolizzati dagli psicoanalisti mi fa pensare alla leggenda dei comunisti che mangiavano i bambini. La psicoanalisi si astiene dal giudizio e dalle condanne morali e sostiene il senso di responsabilità. Chi assume la responsabilità di rimettere in movimento il desiderio e l’affetto in situazioni di dolore che nessuno ha consapevolmente determinato e nessun avrebbe potuto determinare da solo?
http://ilmanifesto.it/lettere/lasciamo-in-pace-lautismo/
* Per leggere l”articolo citato, uscito on line il 9 maggio:
https://rassegnaflp.wordpress.com/2014/05/09/thanopulos-soggetti-geneticamente-determinati/
Mi chiamo Gabriele Baldo, lavoro a Trento nel campo dell’autismo da quasi vent’anni. Non è mia abitudine lasciare commenti o rispondere a post in rete, ma essendomi imbattuto in questa discussione (e avendo letto per intero l’articolo da cui è nata), ho deciso di fare una eccezione.
Non riesco a comprendere come si possa, nel 2021, restare ancora impigliati alla solita dicotomia natura/ambiente in maniera così rigida e manichea. Thanopolus cita uno studio che, in sostanza, afferma ciò che già si sapeva: che le cause dell’autismo sono multifattoriali e dipendono da un intreccio complicato e misterioso tra fattori genetici e ambiente. E certo, ambiente vuol dire anche agente virale o chimico in presenza di una altissima predisposizione genetica (e questa è evidenza scientifica, non “arrampicarsi sugli specchi”). Pensare che il termine “ambiente”, nel caso dell’autismo, sia un modo come un altro per non dire quel che non si può (più) dire – ossia che alla fine, diciamolo, è colpa dei genitori – credo sia semplicistico e tendenzioso.
La psicoanalisi non ha mai parlato di cause ma di responsabilità, dice Thanopolus. Ha ragione! Bettelheim diceva che la responsabiltà dell’autismo dei figli era dei genitori, che inconsciamente non lo volevano, e il feto percepiva tale rifiuto. Per non parlare di una mia docente, nota psicoanalista di cui non faccio il nome, che imputava il mutacismo di cui soffrono alcuni bambini con autismo, a degli evidenti conflitti con il seno, che indurrebbero il bambino a non parlare per via di una sorta di kleiniana invidia.
Due parole anche su ciò che Thanopolus pensa a proposito dell’autismo, perché mi pare di capire, leggendo anche altri suoi interventi sul tema, che per lui un soggetto autistico è quello delle vignette: bambino muto che non ti guarda, che non ti vuole, che non ha emozioni, chiuso nella sua fortezza vuota e intento a far roteare le ruote dell’automobilina.
Ci terrei a ricordare che nella comunità scientifica c’è accordo sul fatto che l’autismo è una condizione life-long con vari livelli di intensità, livelli concettualizzabili nel cosiddetto spettro autistico (spettro che Thanopolus ha descritto – più o meno – come una sorta di espediente diagnostico di comodo ma che a mio parere, se non usato a sproposito, rappresenta un grande passo avanti a livello nosografico).
L’autismo è una condizione data da una traiettoria di neurosviluppo atipica, che altera le primissime relazioni intersoggettive. A partire da ciò si possono innescare, a cascata, una sequela enorme di difficoltà sul piano emotivo, cognitivo, relazionale, comportamentale, eccetera.
Detto questo, le mamme depresse e rifiutanti in relazione ai figli autistici possono esistere, certo. Ma la questione va vista in modo più complesso. Immaginiamo una madre che si pone in modo anche molto funzionale (in un modo che potremmo definire “biologicamente predeterminato”) al proprio neonato; ma immaginiamo anche che questo neonato non risponda in maniera altrettanto funzionale a quelle attenzioni che per natura dovrebbero attrarlo e contenerlo (si divincola alla presa in braccio, non si consola coccolandolo, sovraccaricato dagli stimoli sensoriali si dispera, non cerca lo sguardo della mamma essendo più attratto dai suoi orecchini, eccetera). Ritorniamo a quella mamma: ora non è difficile vedera sempre più ansiosa, con sentimenti di inadeguatezza, via via sempre più spenta… e con un bambino sempre più “sintomatico” e chiuso alla relazione.
Possiamo concludere che è colpa – o responsabilità – della mamma? Possiamo davvero semplificare così? I deficit dell’intersoggettività sono su base neurologica, con “sede” a livello di connessioni atipiche nel cosiddetto cervello sociale, cervello che inizia a svilupparsi già in fase intrauterina.
Credo che la psicoanalisi possa offrire chiavi di lettura straordinarie per comprendere cosa succede, per esempio, tra un genitore e un figlio con autismo, o su quali significati relazionali possano celarsi dietro a quelli che vengono sbrigativamente definiti “comportamenti problema”, e su molto altro ancora. Ma sulle cause, sui perché, credo debba andare molto cauta. E forse basterebbe approfondire la letteratura scientifica moderna in modo veramente aperto e senza avere il terrore che parlare di cervello equivalga a toglierle potere.
Consiglierei molte letture, ma una tra tutte: “Autismo, l’umanità nascosta” (Barale, Ucelli, Gallese, 2006).
Gabriele Baldo