di Roberto Pozzetti, haecceitasweb.com, 30 maggio 2014
Quando lo psicoanalista si approccia ad un’opera d’arte dovrebbe, a mio avviso, porre in primo piano l’interesse per l’opera stessa astenendosi dalla sovrapposizione e dalla giustapposizione in registri narrativi estranei al contesto del setting psicoanalitico. Quando un analista tiene, ad esempio, una conferenza è in una posizione diversa da quella che assume nel proprio studio ed è bene che eviti qualunque interpretazione, tanto più se in quella sala si ritrovano dei suoi analizzanti.Fare della lettura e dello studio di un’opera artistica la base di una patobiografia, di una biografia della presunta psicopatologia dell’autore, mi pare sbagliato e perdente, in un’estensione smodata degli ambiti di intervento della psicoanalisi che ne farebbe una Weltanschauung mentre già Freud ci ricordava come la psicoanalisi non fosse da intendere come una “visione del mondo”[1]. Asserire, ad esempio, che Leopardi abbia elaborato il suo pessimismo cosmico in quanto portatore di una deformazione della schiena, oltre che grottesco, implicherebbe tralasciare del tutto quello che egli sta a segnalare: la crisi epocale indotta dal passaggio dal mondo agricolo al mondo industriale con l’introduzione di nuove modalità di produzione. Credere che la musica dei Doors sia l’effetto della psicopatologia di Jim Morrison oppure della sua tossicomania lascerebbe insoluta la questione relativa alla sua opera compositiva, tanto rilevante da condurre intere generazioni di giovani sulla sua tomba a Parigi dove vi è scritto: “James Douglas Morrison, poeta”.
E’ proprio della poesia che mi occupo in questa sede, discutendo con il poeta Mauro Fogliaresi (foto), in particolare sui temi della follia e dell’amore. Non è una mia invenzione il titolo che ho scelto per questo dialogo: si tratta di una frase, leggermente modificata, proposta più volte dal celebre psicoanalista francese Jacques Lacan. Anziché costituire una boutade, magari ironica, come spesso avviene nell’impresa di Lacan, questa affermazione viene ripetuta più volte sia pure in forme lievemente diverse.
Intorno alla metà degli anni Sessanta, Lacan si interessò all’opera della scrittrice francese Marguerite Duras e, soprattutto, al celebre Le ravissement de Lol V. Stein. Qui afferma che un analista dovrebbe comunque “ricordarsi con Freud che nella sua materia l’artista lo precede sempre, e che non deve quindi fare lo psicologo laddove l’artista gli apre la strada”[2]. In quest’opera si ritrova la storia di Lol e del suo rapporto con il desiderio e con lo sguardo attraverso una triangolazione che include un uomo e un’altra donna. In due scene diverse, situate ad una decina di anni di distanza, Lol è affiancata da un’amica, Tatiana. Questa vicenda descrive l’articolazione del desiderio nelle donne per le quali il desiderio è sempre il desiderio dell’Altro. La struttura del desiderio non è mai fra due persone ma sempre almeno fra tre elementi e, nel caso specifico, implica un uomo e anche un’altra donna. La storia, descritta brevemente, è la seguente: a diciannove anni Lol Valérie Stein, durante un ballo, al quale si trova con l’amica Tatiana si vede sottrarre il fidanzato Michael da una donna in nero, con la quale questi scompare. Lol ne è sconvolta al punto di perdere quasi la ragione. Lentamente si riprende, ha dei figli, lascia la città, per tornarvi dopo dieci anni. Finché non ritrova l’amica Tatiana, che le fu accanto nella sera del ballo. Anche Tatiana si trova in una condizione di divisione soggettiva fra il marito e l’amante, Jacques Hold, il narratore della vicenda. La coppia Tatiana – Jacques Hold ricostruisce per Lol quella miticadella sera del ballo di dieci anni prima. Lol nespia i momenti amorosi in un hôtel, stando nascosta in uncampo di segale. Quando Jacques Hold si innamora di lei, lei fa l’amore con lui ma lo implora di non lasciarla per mantenere, evidentemente, la struttura a tre di questa liason. Cogliamo qui la struttura triadica dell’amore e del desiderio, descritta anche nel Simposio di Platone[3], a livello del terzo (Agatone) al quale si rivolge Alcibiade parlando a Socrate: “bisogna essere in tre per amare e non in due soltanto”[4]. In questo incontro d’amore con Hold, Lol perde il senno entrando nella follia.
Tralasciando volutamente qui la questione sul tipo di follia che caratterizza Lol (isterica o psicotica), possiamo cogliere come Lacan abbia trovato nel testo di Marguerite Duras una descrizione dell’oggetto della psicoanalisi, quell’oggetto indicibile intorno a cui ruota la pulsione qui presente soprattutto come oggetto-sguardo.
Pochi mesi dopo, Lacan riconoscerà un debito analogo ad uno scrittore che anticipa la psicoanalisi. Dedicherà delle pagine a Lewis Carroll ed al suo celeberrimo – almeno per chi a che fare con delle bambine – Alice nel paese delle meraviglie. Anche stavolta, anziché diagnosticare le presunte problematiche di quest’uomo ( professore di matematica, religioso ed inventore di una bizzarra storia dal grande successo raccontata a ragazzine da cui probabilmente era attratto) lascia da parte la biografia di Carroll. Sottolinea, invece, il valore di oggetto assoluto che può prendere la bambina. […] Della bambina Lewis Carroll si fa il servente: è lei l’oggetto che disegna, è lei l’orecchio che vuole raggiungere”[5] ruotando intorno all’oggetto della psicoanalisi che è, per eccellenza, quello pulsionale. La pulsione viene, però, rielaborata in forma sublimata in questa produzione ottocentesca ma ancora tanto apprezzata dalle bimbe sia a livello di libri che di film sia in termini di rappresentazioni teatrali. “Per uno psicoanalista quest’opera è un luogo eletto a partire dal quale dimostrare la vera natura della sublimazione nell’opera d’arte. Recupero di un certo oggetto – ho detto in un’altra nota che ho fatto recentemente su Marguerite Duras”[6].
Negli anni Settanta, Lacan riprende questa formulazione che costituisce dunque una sua posizione precisa in riferimento a Wedekind il quale tratta del risveglio della pulsione in età puberale. Nella sua opera Risveglio di primavera, descrive come riaffiori la pulsione, dopo la fase di latenza, in un gruppo di adolescenti caratterizzato da dinamiche specifiche di quella fascia di età; vi è, però, uno spostamento della libido che, dagli oggetti familiari della prima infanzia, viene rivolta a figure nuove trovate fra i coetanei. Siamo nel 1891 e “il drammaturgo, alla data che ho indicato, anticipa largamente Freud. […] alla data suddetta Freud sta ancora elucubrando l’inconscio”[7].
Carlo Viganò[8], con il quale ho condiviso lo studio di Como per una decina di anni, mi raccontava più volte un aneddoto relativo a uno degli ultimi seminari di Lacan a Parigi, al quale egli assisteva. Lacan, ormai anziano, stava scrivendo delle formule alla lavagna; ad un certo momento, si arrestò dicendo: “Macchè psicoanalisi ! Hanno già detto tutto i poeti…”.
Ovviamente non tutte le opere d’arte precedono lo psicoanalista in quanto un artista può occuparsi degli ambiti più svariati. Rimane, però, che la sensibilità e la creatività dell’artista siano arrivate a trattare l’oggetto della psicoanalisi ben prima dell’invenzione della clinica analitica.
Nello specifico della creazione poetica, essa proviene senza dubbio dall’inconscio in quanto il soggetto non è padrone del campo del linguaggio quando le scrive. Si consideri la poetica nella canzone d’autore di Vasco Rossi, accostabile a James Douglas Morrison per la sua verve artistica. Un testo come quello celebre di Una canzone per te ci sembra significativo: “Le canzoni nascono da sole: vengono fuori già con le parole. […] Le canzoni son come i fiori, nascon da sole, sono come i sogni e a noi non resta che scriverle in fretta perché poi spariscono e non si ricordano più”[9]. Come i sogni: dunque sono delle formazioni dell’inconscio, come le produzioni oniriche considerate da Freud la via regia per giungere all’inconscio e, soprattutto, al desiderio manifestato in forma censurata e deformata nel sonno.
Per Freud ognuno di noi è stato poeta, nella sua infanzia, nella forma del gioco. “Ogni bambino impegnato nel giuoco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo”[10]. Tutti i bimbi giocano, si dedicano ad attività ludiche e coltivano una piacevole area intermedia tra realtà e immaginazione che verrà ampiamente descritta a livello dell’area di illusione, dell’area transizionale da Winnicott[11](foto). Crescendo si tende ad adeguarsi maggiormente al principio di realtà rinunciando in buona parte al principio di piacere, si tralascia il gioco per dedicarsi al lavoro. Si tratta di un tema già ampiamente trattato dalla Scuola di Francoforte in una querelle teorica fra Erich Fromm ed Herbert Marcuse: quest’ultimo riteneva si dovesse tornare al piacere del gioco sottraendosi al lavoro alienato specifico del capitalismo mentre il primo valorizzava il lavoro creativo.
L’adolescenza rappresenta sicuramente un’età di passaggio in cui la libera attività di inventare giocosamente, a partire da oggetti concreti e reali, si riduce molto. Avviene, però, una consueta sostituzione: quanto prima si appoggiava ad elementi reali per recite, scenari e messe in campo ora si svolge interamente nella fantasia in quanto il soggetto tende a custodire privatamente i propri sogni ad occhi aperti. La ragione dell’intrattenersi fra sé e sé, con le proprie fantasie, viene da Freud presto esplicitata e spiegata e risiede nel fatto che esse hanno un contenuto – chiaramente oppure velatamente –erotico. L’adulto si vergogna di tale mondo immaginativo e lo coltiva in modo segreto, riservato, tanto da sentirsi nettamente a disagio quando viene sorpreso a fantasticare. L’Eros delle fantasie viene rielaborato dall’opera poetica in un modo piacevole e, così, “il poeta ci mette in condizione di gustare d’ora in poi le nostre fantasie senza alcun rimprovero e senza vergogna”[12]. Effettivamente, fra i tanti temi dei quali la produzione poetica tratta e sui quali anticipa la psicoanalisi, un posto di rilievo va conferito all’amore. Dai frammenti di Saffo passando per l’Ars amandi di Ovidio fino a tempi più recenti con Rilke e Goethe (che mi risulta fosse l’autore preferito da Freud), l’amore è sempre stato un argomento centrale della poetica. L’oggetto della psicoanalisi è innanzitutto l’oggetto pulsionale e la materia dell’analisi è soprattutto l’amore. In un’analisi il grande tema, la grande questione è l’amore: nelle sedute si parla d’amore, si parla d’amore in vari modi; ognuno ne parla a suo modo, con il proprio stile, ma il discorso ruota tanto sovente intorno all’amore. Ovviamente si parla dei concetti fondamentali della psicoanalisi e, dunque, si parla della pulsione e delle formazioni dell’inconscio. Si parla di tante altre tematiche ma, in fondo, concetti come la ripetizione hanno a che fare con la ripetizione di un amore primario e il transfert è esso stesso l’amore. Certi momenti dell’analisi iscritti in una dimensione transferale risultano poetici e ci introducono ad un cambiamento di discorso, con l’apertura di nuove prospettive circa l’amore. Come la fantasia apre mondi nuovi che ci permettono un distacco, un’evasione, dalla quotidianità e dalla routine così la poesia è una creazione del soggetto che ci introduce in un mondo diverso. Per questo Lacan disse che lo scritto del presidente Schreber, formalizzato e sistematizzato al culmine della scala del suo delirio, nelle sueMemorie[13], non potesse comunque venire accostato all’atto poetico. “La poesia è creazione di un soggetto che assume un nuovo ordine della relazione simbolica con il mondo. Non c’è nulla di tutto questo nelle Memorie di Schreber”[14]. In Schreber vi è un proliferare del godimento, del godimento che asserisce Dio gli imponga in una forma continua; del tutto assente nella sua relazione con Dio, a differenza di quanto avviene nei mistici, è l’amore. Schreber ama la moglie, sulla quale si impernia la sua relazione interpersonale di un amore amichevole; nel rapporto con l’Altro, nulla rintracciamo dell’Eros.
Se l’amore costituisce il cuore tanto della poesia quanto della psicoanalisi, quello che vi fa ostacolo è il tratto perverso del desiderio maschile. “Fare l’amore è poesia. Ma tra la poesia e l’atto c’è un mondo. L’atto d’amore è la perversione polimorfa del maschio”[15]. La perversione polimorfa con cui Freud definiva la posizione soggettiva del bambino si ritrova come tratto perverso che spinge il soggetto, soprattutto il maschio, ad abbordare l’oggetto erotico in un incontro che si rivela sempre incompleto e fallito a causa della differenza fra libido maschile e soddisfacimento femminile. Esiste un amore poetico, non intaccato dagli scenari ripetitivi della sessualità maschile ? Se questo esiste, va situato sul lato donna e la figura di Saffo ne ha cantato le lodi. Si prenda in considerazione uno dei suoi frammenti, il celebre frammento 31, uno dei testi poetici più antichi che noi conosciamo sul tema dell’amore. Tratta dell’amore di Saffo per una sua allieva, nel tiaso di Mitilene dedicato ad Afrodite, caratterizzato dalla gelosia nei confronti del promesso sposo di questa allieva.
Mi sembra uguale agli dei
L’uomo che ti siede di fronte,
e da vicino ascolta la tua
voce dolce,
il fascino del tuo riso. A me questo
sconvolge il cuore nel petto;
ti vedo appena e non mi riesce
più di parlare,
la lingua si spezza, un fuoco sottile
mi corre sotto la pelle,
gli occhi non vedono più, le orecchie
rimbombano,
mi prende un sudore gelido, mi
afferra tutta
un tremito, e sono più verde
dell’erba, e sembro a me stessa vicina a morire.
Ma tutto si può sopportare.….
La descrizione del corpo innamorato e sofferente che emerge da un testo tanto coinvolgente è stata da alcuni, in modo non dissennato, posta a confronto con la fenomenologia clinica degli attacchi di panico, tanto diffusi nella contemporaneità. Questi fenomeni clinici sono, in effetti, accostabili al tema della femminilità, spesso anche in pazienti maschi[16]. Credo, tuttavia, che l’argomento di maggiore interesse qui sia la capacità di Saffo nel descrivere qualcosa dell’amore, di un amore giunto a livello del corpo, radicato in tutta la carne.
L’amore può andare ben al di là dell’immagine, l’amore non è soltanto immaginario e narcisistico per quanto, come ci insegnava Freud, l’amore per un’immagine ideale o di bellezza sia una delle più tipiche forme dell’innamoramento: un essere umano può scegliere l’oggetto d’amore perché questi costituisce quel che è, quel che era o quel che vorrebbe essere[17]. L’amore concerne, infatti, il corpo e le sensazioni corporee, basate sull’avvertire la propria mancanza. Nell’amore si dà quello che non si ha, come detto da Lacan nella sua ormai celeberrima formula: si dona la propria mancanza. Nessun oggetto è mai adatto a dare l’amore perché la domanda d’amore risulta intransitiva. L’amore implica il contatto. Ce lo descrive meravigliosamente Mauro Fogliaresi nella sua poesia L’essenza dello scrivere [18]:
Bisognerebbe amarsi
in braille
sentire l’amore con le dita
e in rilievo
toccare
la vita…
Roberto Pozzetti, psicoanalista, fondatore Jonas Como, Membro Scuola Lacaniana di Psicoanalisi e Associazione Mondiale di Psicoanalisi.
[1] S. Freud, “Una visione del mondo” in Introduzione alla psicoanalisi, nuova serie di lezioni, Opere, Volume 11, Bollati Boringhieri, Torino, 1989, pp. 262-284.
[2] J. Lacan, Omaggio a Marguerite Duras. Del rapimento di Lol V. Stein in La Psicoanalisi, n.8, 1990, Astrolabio, Roma, p. 11.
[3] Platone, Il simposio, Einaudi, Torino, 2009.
[4] J. Lacan, Il seminario. Libro VIII. Il transfert, Einaudi, Torino, 2008, p. 147.
[5] J. Lacan, Omaggio a Lewis Carroll in La Psicoanalisi, n. 37, Astrolabio, Roma, 2005.
[6] J. Lacan, ibidem, p. 14.
[7] J. Lacan, Prefazione
[8] Carlo Viganò (Giussano 1943 – Milano 2012) fu uno psichiatra e psicoanalista, uno dei pochi italiani a svolgere la propria analisi con Jacques Lacan, in Rue de Lille a Parigi. Fu fra coloro che maggiormente si attivarono per promuovere la teoria e la clinica lacaniana in Italia.
[9] V. Rossi, Una canzone per te in Bollicine, 1983
[10] S. Freud, Il poeta e la fantasia, Opere, Volume 5, cit., p. 375.
[11] D.W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974.
[12] S. Freud, ibidem, p. 383.
[13] D. P. Schreber, Memorie di un malato di nervi, Adelphi, Milano, 2007.
[14] J. Lacan, Il seminario. Libro III. Le psicosi, Einaudi, Torino.
[15] J. Lacan, Il seminario. Libro XX. Ancora, Einaudi, Torino, p. 68.
[16] Su questo tema mi permetto di rinviare al mio libro Senza confini. Considerazioni psicoanalitiche sulle crisi di panico, F. Angeli, Milano, 2007.
[17] S. Freud, Introduzione al narcisismo in Opere, Volume 7, p. 469.
[18] M. Fogliaresi, Ghiaccioli e venti lire, A. Dominioni Editore, Como, 2013.
http://haecceitasweb.com/2014/05/30/il-poeta-precede-lo-psicoanalista-in-che-modo/
Non conoscevo Roberto Pozzetti, ma adesso ho voglia di leggere altre cose di lui, perché sa parlare di temi molto complicati, con delle parole relativamente semplice…L’analisi del “ravissement de Lol V.Stein”, per esempio, é particolarmente interessante(le parole italiane esatte mi mancano per esprimere il mio entusiasmo!) Dunque, grazie mille per questa lettura stimolante!