di Massimo Recalcati, la Repubblica, 27 agosto 2014
Il rapporto padre-figlio è stato pensato dopo Freud a partire dalla figura conflittuale di Edipo: oltrepassare il padre o soggiacere al suo dominio? È il punto di snodo che marca il destino di ogni maschio: attività virile o passività femminea? Vincere o cedere al padre? Il rapporto padre-figlia sembra essere stato invece letto principalmente sotto la lente dell’amore. L’identificazione ambivalente verso il padre che caratterizzava il dramma virile di Edipo (essere come lui o contro di lui) lascia il posto alla bambina-Elettra che vuole essere amata incondizionatamente dal padre; l’ambivalenza si trasferirebbe così verso la madre che diviene oggetto di un’intensa relazione di odio e amore mentre il padre tenderebbe a occupare la posizione di oggetto d’amore ideale e irraggiungibile. Questo a sua volta comporterebbe una maggiore difficoltà dei padri stessi ad accettare la separazione e la libertà (intellettuale e sessuale) delle loro figlie. Mentre la separazione dal figlio maschio riflette più coerentemente la condizione del conflitto da cui deriva, la separazione da una figlia appare più contrastata perché implica una perdita amorosa senza ritorno.
Studi recenti dimostrerebbero che avere dei padri casalinghi, disponibili alla cura delle cose di casa e alle relazioni affettive — dunque meno idealizzati del padre di Elettra —, faciliterebbe le figlie ad avere futuri meno vincolati agli stereotipi sessisti. Professioni considerate tipicamente maschili diventerebbero accessibili a queste figlie liberate dalla presenza eccessivamente ingombrante di un padre dedito esclusivamente alla sua realizzazione personale.
Agli occhi di uno psicoanalista l’affermazione di nessi stringentemente causali per definire le vicende umane suscitano (sic) sempre un’inevitabile allergia. Il cammino della vita non risponde a leggi deterministiche. Le figlie di padri casalinghi avranno più libertà nel decidere la propria vita professionale? Aver avuto un padre capace di realizzarsi nella vita professionale condizionerebbe la loro possibilità di intraprendere carriere ritenute tipicamente maschili?
Sappiamo come il tempo dell’evaporazione dei padri sia anche il tempo dove le distanze affettive e esistenziali con i propri figli e, soprattutto, con le proprie figlie si sono finalmente ridotte. Un padre casalingo fa allora meno danni di un padre concentrato sulla sua realizzazione professionale? Un padre presente è più utile per la crescita di una figlia di un padre assente? L’esperienza clinica mostra che non esistono risposte standard. Sono altre le cose (poche) certe. Un padre e una madre capaci di vivere la propria vita con slancio e generatività il loro lavoro e la loro relazione creano in famiglia quella circolazione di ossigeno di cui si nutre positivamente il desiderio dei loro figli. Un padre e una madre che sanno rinunciare al diritto di proprietà sui loro figli producono un clima positivo di libertà e di rispetto che favorisce la crescita non conformistica dei loro stessi figli. Non è questo forse il dono più grande della genitorialità? Non avere aspettative su di loro, non desiderare che diventino quello che noi abbiamo in mente che debbano diventare, lasciarli liberi di sbagliare e trovare la loro via. Un padre che si dedica alla casa può essere un padre sufficientemente solido come un padre che si consacra alla propria carriera professionale. Non è mai il contenuto di quello che fa a qualificarlo come padre (vi sarebbero allora professioni indegne per un padre? Un padre netturbino sarebbe meno padre di un padre scienziato?), ma solo la forza etica della sua testimonianza singolare. Ci sono padri-casalinghi o padri-mammi, assai frequentemente esperti in “educazione”, che sarebbe davvero meglio non incontrare mai e padri impegnati nella loro vita che offrono silenziosamente un modello identificatorio significativo ai loro figli. Ma, certamente, vale anche il caso contrario. La vera discriminante resta l’esistenza dell’amore come dono privo di contropartite, in perdita assoluta. È solo questo dono che spezza gli stereotipi sessisti perché lascia davvero liberi i nostri figli e, soprattutto, le nostre figlie, di essere quello che davvero desiderano.
L’ha ribloggato su Errata corrigee ha commentato:
Concordo, su tutto. Soprattutto, lo vivo nella mia famiglia.
[…] Recalcati: “Ma ciò che conta davvero è l’amore, senza aspettative” | RASSEGNA FLP: materiali…. […]
Si e no. L’affermazione finale “La vera discriminante resta l’esistenza dell’amore come dono privo di contropartite, in perdita assoluta” mi pare piuttosto teorica; le ricadute pratiche dell’amore “incondizionato” mi sembrano più deleterie che costruttive perché la cultura del nostro paese induce le donne (e gli uomini) ad agire in modo servile verso i figli. Si pensi alla madre tradizionale casalinga che vive la vita del figlio/a, al suo vizio di “servire” in situazioni che non richiedono la sua presenza. Purtroppo è alta la percentuale di chi non ha interiorizzato che la migliore educazione è quella che genera figlie/e liberi e c a p a c i di abbandonare la casa. Nel nostro paese il problema più frequente è trovare giovani in-capaci di vivere la loro vita autonomamente dai genitori.
Cosa s’intende con” forza etica della propria testimonianza singolare” ? la maggior parte dei padri ( e delle madri) si barcamenano alla meno peggio cercando di far fronte alle contraddizioni interne ed esterne , al mutare e allo scorrere della vita….
Quanti padri e quante madri sono “ capaci di vivere la propria vita con slancio e generatività il loro lavoro e la loro relazione” creando “in famiglia quella circolazione di ossigeno di cui si nutre positivamente il desiderio dei loro figli” ? Quanti sono coloro che svolgono un lavoro “generativo” ? Quante volte in coppia lo slancio diventa fatica ? Genitori che s’impongono di vivere la propria vita come suggerisce il dott. Recalcati per creare quella “circolazione di ossigeno” sembrano più dei manichini privi di spontaneità che esseri umani con fragilità , dubbi, incomprensioni e chiusure. Anche verso i figli.