Il visitatore, Haber e Boni alle prese con Freud

La commedia del belga Schmitt in scena al Quirino. Nella Vienna occupata dai nazisti, lo psicanalista si rifiuta di fuggire dalla propria città

di Rodolfo Di Giammarco, roma.repubblica.it, 25 novembre 2014

Non lo riconoscereste affatto, se voi lo aveste davanti, il 54enne Éric-Emmanuel Schmitt, drammaturgo-scrittore-sceneggiatore belga di origini franco-irlandese, naturalizzato parigino, i cui romanzi (gli ultimi pubblicati da noi sono, attenti ai titoli, La giostra del piacere e Elisir d’amore) hanno venduto oltre 10 milioni di copie in 50 paesi, e le cui commedie private, filosofiche, misteriose, assertive, psicologiche, religiose e allettanti (e avversate dagli intellettuali che ne denunciano il “falso dibattito”) scatenano a periodo ciclici un boom di allestimenti clamorosi (come quando nel 1998 sulle scene parigine Alain Delon e Jean-Paul Belmondo recitarono ogni sera in differenti teatri due distinti suoi copioni).

Ora, da stasera, al Quirino, va in scena Il visitatore, risalente al 1993, pièce che in Francia si meritò tre Premi Molière (Rivelazione teatrale, Miglior autore, Miglior spettacolo di teatro privato), lavoro che conoscemmo nel 1996 con protagonisti Turi Ferro e Kim Rossi Stuart, e che col marchio della Goldenart di Federica Vincenti torna a porre di fronte, in un’ambientazione del 1938 nella Vienna occupata dal Terzo Reich, rispettivamente le performance di Alessandro Haber e di Alessio Boni alle prese nientemeno che con la figura di Freud e di un non-identificato forestiero nei cui panni alberga forse un angelo o forse Dio in persona, con traduzione, adattamento e messinscena odierne firmate da Valerio Binasco.

Una regia, quella di Binasco, sempre presumibilmente al di fuori dei canoni, un’accoppiata irrituale come quella di Haber e di Boni che non indulgono di solito all’enfasi, e quindi una rilettura di Schmitt che pare debba in definitiva essere incline al “sorriso” e alla “leggerezza”, e all'”umanità fragile” e all'”antiretorica”, dovrebbero condurre, qui, a un’ottica meno psicanalitica ed esistenziale, in favore di una chiave, come annuncia Binasco, di “uomini che si parlano”.

E uno come Schmitt sostiene, vedi caso, che siamo fatti per amare (in chissà quanti sensi) e per parlare (in chissà quanti modi). Perciò lo spettacolo dovrà pur avere, senza filosofemi, senza domande grosse che pure qua e là ci sono quando scatta l’interrogativo “se Dio esiste, perché permette tutto ciò?”, dovrà pur avere (anche nel rispetto d’una formula “commovente, dolce ed esilarante”) una sua naturale fascinazione di tipo assertivo, fondandosi molto sul piacere del dire. Con Freud/Haber e il Visitatore/Boni in scena assieme ad Anna la figlia di Freud (che mette in ansia il padre per un fermo ad opera della Gestapo)/Nicoletta Robello Bracciforti, e a un nazista/Alessandro Tedeschi. L’autore, stasera, è annunciato in platea. Tanto, non lo riconoscerete.

http://roma.repubblica.it/cronaca/2014/11/25/news/il_visitatore-101327506/

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