Psicanalisi e cifrematica in Svezia

di Redazione, Mats Svensson, lacittaonline.com, n. 62, febbraio 2015

Da una ricerca della London School of Economics and Political Science, pubblicata sulla rivista online “PLoS” (plosone.org), nel periodo tra il 1995 e il 2009, risulta un aumento annuo del 20 per cento del consumo di farmaci antidepressivi in tutta Europa. In questo scenario inquietante, la Svezia risulta il paese con il maggiore incremento: oltre il 1000 per cento tra il 1980 e il 2009. A che cosa può essere attribuita questa medicalizzazione della società?
In Svezia c’è una tendenza a chiedere soluzioni rapide e semplici, e taluni accusano la psicoterapia di non aiutare abbastanza le persone che hanno un disagio. Ma, oltre alla medicalizzazione, assistiamo a una sorta di secolarizzazione della società, seguita alla diminuzione della centralità della religione. Già da cinquant’anni, si sta diffondendo in Svezia una tendenza a sostituire la religione anche con la medicina e molte persone perseguono la salute del corpo come una volta perseguivano quella dell’anima: la palestra è il nuovo altare e gli esercizi fisici hanno soppiantato quelli spirituali. Tutti devono apparire in forma, per molte persone oggi la cosa più importante è la perfetta forma fisica.

L’imperativo della rapidità, a discapito della ricerca e di tutto ciò che è ritenuto difficile e richiede uno sforzo intellettuale, è riscontrabile in molti paesi occidentali. Ma nella sua pratica clinica e attraverso i seminari dell’istituto da lei presieduto (Göteborgs Kliniska Seminarium), lei contribuisce alla diffusione della lettura di autori come Lacan, Freud, Verdiglione e altri, che non sono certo facili, eppure hanno un’importanza capitale per l’avvenire della civiltà, non solo della psicanalisi. Ci sono altri psicanalisti, filosofi, scrittori o artisti interessati alla promozione di un itinerario intellettuale nella sua città?
Qui a Göteborg stiamo lavorando con un’associazione costituita da molti giovani intellettuali, fra cui molti psicologi e filosofi, che organizza dibattiti e conferenze intorno alla letteratura e alla psicanalisi. Alcuni di loro frequentano i nostri seminari e hanno intrapreso un itinerario analitico e clinico con me.

In che modo tiene conto delle acquisizioni della cifrematica nella sua pratica clinica?
Soprattutto quando lavoro con persone che svolgono la loro attività in ospedali o nelle istituzioni, ho rilevato nel corso di molti anni quanto la cifrematica sia efficace nel momento in cui c’è una situazione di incertezza o ci sono reticenze da parte delle persone in cura. Ci sono casi in cui un medico non ha idea di ciò che sarebbe interessante dire al paziente, per esempio quando la diagnosi è incerta. In un grande ospedale svedese, un medico raccontava di una persona che assumeva morfina a sua insaputa, oltre ad altri farmaci da lui prescritti. In molti casi, ho individuato la tendenza dei pazienti a non voler confrontarsi con la malattia, anche perché magari è il prodotto della storia con l’ospedale e con il medico (in altre parole, la causa della malattia è nella medicalizzazione della sua vita): ne parliamo con i medici e cerchiamo di capire insieme cosa dire e come intervenire, perché s’instauri un dispositivo di parola con quelli che si chiamano pazienti. È importante che un medico abbia modo di parlare di questi casi particolari, anziché agire in modo automatico. E la cifrematica, come scienza della parola, è di grande aiuto in questo senso.
E magari sarebbe interessante se i medici intraprendessero anche un itinerario intellettuale…
Anche perché a volte sono in serie difficoltà. Ricordo il caso di una psichiatra che, quando ha incominciato l’analisi, aveva un tumore al seno. Mentre due sue colleghe con la stessa patologia hanno seguito le indicazioni dei medici e purtroppo sono morte nel giro di un anno, lei ha lavorato con me per vent’anni, finché è partita per andare sull’Himalaya. In seguito ho saputo della sua morte, che tuttavia non è stata causata dall’aggravarsi del tumore, ma ovviamente dagli effetti collaterali a lungo termine dei farmaci che aveva assunto. È importante il collegamento della psicanalisi e della cifrematica con la realtà, e la medicina offre un terreno vastissimo: una collaboratrice psicologa, per esempio, ha approfondito alcuni casi di tossicodipendenza nei pazienti con problemi reumatologici. Attualmente, sto lavorando come supervisore in un programma di formazione di alcuni psicanalisti molto interessati e felici degli argomenti che propongo loro. Dobbiamo cercare di colmare il grande divario che si pone fra l’esperienza della parola, la scienza della parola, che è alla base del nostro lavoro di clinica, e le droghe psicotrope, gli psicofarmaci: dobbiamo limitare il più possibile la tendenza ad assumere pillole da parte di chi soffre d’ansia o ha ricevuto una diagnosi che non è chiara.

* Psicanalista, presidente del Göteborgs Kliniska Seminarium, Svezia

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