di Massimo Recalcati, repubblica.it, 14 marzo 2015
Il tema di In principio era l’amore di Julia Kristeva, nota studiosa di semiotica e psicoanalista originale e apprezzata formatasi a Parigi, è un tema classico della psicoanalisi. Esso si interroga sui rapporti tra questa disciplina e l’esperienza religiosa della fede. Su questo punto Freud aveva tenuto una posizione priva di sfumature: la religione è una “nevrosi” o, ancora peggio, un “delirio” dell’umanità. Nella fede si può rintracciare una regressione dell’uomo a uno stato di minorità che dà luogo all’idealizzazione infantile di un padre buono e tutto-amore che in realtà non esiste. A partire da Freud – forse con la sola eccezione significativa di Lacan – la tradizione psicoanalitica ha sostenuto compattamente questa idea superstiziosa della religione.
L’uomo religioso è l’uomo che rifiuta la responsabilità di affrontare le asprezze reali della vita per rifugiarsi nella credenza illusoria di un «mondo dietro il mondo» — come direbbe Nietzsche — , regredendo allo stato di un bambino che non vuole rinunciare alla sua credenza nell’onnipotenza ideale dell’Altro e che per questa ragione trasferisce su Dio tutti quei tratti di infallibilità che prima attribuiva al proprio padre.
Il testo di Julia Kristeva non ricalca questo orientamento. Piuttosto, si impegna nella ricostruzione di una genealogia della ragione psicoanalitica che intende mostrare tutta la sua differenza nei confronti dei paradigmi scientisti di origine positivistica. La ragione psicoanalitica non ha a che fare con cifre, numeri, quantificazioni aride, ma con l’esercizio della parola e dell’ascolto.
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