di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.info, 10 luglio 2015
In Belgio una ragazza di 24 anni, con un’infanzia molto difficile e gravemente depressa, ha chiesto di morire per eutanasia. Tre medici hanno espresso parere favorevole, avendo valutato come insopportabile la sua sofferenza. La decisione dei medici belgi porta la questione dell’eutanasia ben al di là dei confini entro i quali è stata finora applicata: per porre fine a malattie incurabili, incompatibili con un livello di vita accettabile, e a stati vegetali di esistenza senza speranza di recupero. Per soddisfare, anche, il desiderio di una «bella morte», organizzata come un lungo sonno dopo una vita vissuta pienamente. Una ragazza all’inizio della sua vita adulta e sana fisicamente, dovrebbe essere accompagnata alla morte per malattia dell’anima. Come se non fosse mai nata veramente. Valutazione irresponsabile dei medici, scelta fuorviata dall’illusione, in cui vive un’inconsapevole arroganza, di poter assumere la responsabilità di una decisione che, in realtà, non competeva loro.
Cosa ha spinto i tre «esperti» a stabilire che una ragazza di 24 anni non ha nessuna possibilità di uscire dall’inerzia depressiva per il resto della sua vita naturale? Questo può essere molto probabile, ma cosa induce a stabilire con certezza matematica che un rimedio, uno spiraglio possibile e imprevedibile, non esista? Per la natura del loro oggetto di conoscenza, la psichiatria e la psicoanalisi dispongono certamente di un sapere prognostico, ma non di una predizione esatta e vincolante del destino esistenziale di un essere umano (per nostra fortuna).
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