Estate classica – Colette. Intervista a Julia Kristeva

Autrice di culto del primo Novecento francese, Colette scrisse più di cinquanta romanzi. Tra i molti ricordiamo la serie dedicata a Claudine, La vagabonde, che andò vicinissimo al prestigioso premio Goncourt. E Sido, Il grano in erba, Gigi – film di successo con Audrey Hepburn – e Chéri. Julia Kristeva in un saggio della scrittrice valorizza la giocosa capacità, intrisa di sensualità, di raccontare “l’arte di vivere”

di Cristina Bolzani, rainews.it, 29 luglio 2015

Autrice di culto del primo Novecento francese, Colette scrisse più di cinquanta romanzi. Tra i molti titoli ricordiamo la serie dedicata a Claudine, poi La vagabonde, che andò vicinissimo al prestigioso premio Goncourt; Sido, Il grano in erba, Gigi – anche film di successo con Audrey Hepburn – e Chéri. A parte il Meridiano che raccoglie i suoi Romanzi e racconti, quest’anno sono usciti La gatta (Skira) e La stella del vespro (Del Vecchio editore). Julia Kristeva, linguista, scrittrice, psicoanalista, semiologa allieva di Roland Barthes, le ha dedicato l’ultimo parte della sua trilogia sul ‘genio femminile’, pubblicata da Donzelli, Colette – Vita di una donna. Un’occasione per rileggere con nuovi stimoli la sua ricca scrittura ‘metamorfica’, spesso messa in ombra dalle bizzarrie autobiografiche. Intervista a Julia Kristeva, in occasione dell’uscita del saggio in Italia.

Parliamo di Colette. Una donna per la quale scrivere – lei dice – «non è tanto una fantasia personale, ma un’immersione esistenziale nella carne del mondo». Intende dire che la sua creazione nasce più da un incontro con l’esterno che dalla necessità di dare forma a una realtà interiore?

Colette è stata una donna straordinaria. Per niente femminista, si burlava delle suffragette, ma è stata celebrata dopo la sua morte dalle femministe americane, per cominciare, che hanno scoperto in lei una donna ribelle, con una sessualità stravagante: si definiva un’ermafrodita mentale. Ma quello che mi ha affascinato di lei è che ha sempre rifiutato di essere considerata una ‘scrittrice’, sebbene sia stata, come si sa, celebrata al vertice del pantheon della letteratura francese, e sia stata presidente del Prix Goncourt. Ebbene, lei diceva: «Come, la più grande scrittrice, io? Ma no». E quello che lei rivendicava era di avere scritto «l’alfabeto del mondo». E questo si collega alla sua domanda, perché per lei il linguaggio scritto non è un esercizio retorico; è un’immersione nella carne del mondo, come dico in effetti nel mio libro. Il che significa che le parole, le cose, le sensazioni, sono un’unità. Quando si legge Colette, si ‘sentono’ i gatti, i cani, le donne, gli uomini, i profumi, i fiori. E si è immersi nel mondo. Si è trasportati nella sua propria esperienza, che è stata anche molto dolorosa – è una donna che ha vissuto molti tradimenti, un film recente della televisione francese ha mostrato essenzialmente la sua parte malinconica. E tuttavia non è stata una malinconica, ma ha cantato l’arte di vivere. E io penso che il ‘femminile’ può essere una specie di ‘gioco permanente’, un’arte di vivere. E’ una cultura francese, beninteso, è giovialità, ma è specificamente ‘colettiano’.

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