di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.info, 11 dicembre 2015
Si annaspa alla ricerca di nemici con cui combattere. Un disorientamento tragicomico regna nell’Occidente dall’epoca della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Dopo l’invenzione di un avversario improbabile, Saddam Hussein, si è arrivati, come logica conseguenza dell’irragionevole scelta iniziale, alla battaglia contro uno spettro, l’Isis, la cui presenza, dice, a chi non soffre di allucinazioni, che il nemico non c’è più, è morto.
Orfani del nemico, rischiamo di perire di «fuoco amico». Basterebbe pensare al successo elettorale di Marine Le Pen in Francia. Oppure a Donald Trump, candidato alla presidenza degli Stati Uniti, che ha ottenuto alte percentuali di consenso nei sondaggi, chiedendo lo sbarramento delle porte del suo paese ai musulmani (che in tanti già lo abitano). Isis è l’estrinsecazione di una malattia molto pericolosa che, iniziata nelle viscere dell’Occidente, si diffonde in tutto il pianeta: la violenza erosiva di un sistema economico, che distrugge il senso stesso delle relazioni di scambio, rendendole catastroficamente ineguali, e spinge gli esseri umani nel destino di automi senza sentimenti, memoria e desiderio. Fare del sintomo più appariscente il nemico esterno da distruggere, ignorando l’infezione grave interna che lo determina, è giocare con la morte a «mosca cieca» e i risultati cominciano a vedersi. Non c’è amicizia, mobilitazione solidale che tenga, in assenza di un nemico vero, riconosciuto e rispettato nella legittimità delle sue ragioni e del suo modo di essere. Se l’abbiamo smarrito e lo abbiamo trasformato in un mostro, di cui non sappiamo cosa fare, tranne che usarlo come spaventapasseri, l’errore imperdonabile è nostro e dobbiamo assumerne la responsabilità.
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http://www.psychiatryonline.it/node/5952
http://ilmanifesto.info/o-amici-non-ci-sono-piu-nemici/