di Massimo Recalcati, repubblica.it, 24 gennaio 2016
Il mito di Narciso svela la tendenza, profondamente distruttiva, dell’uomo a restare prigioniero dell’adorazione per il proprio Io. Respingendo l’alterità, Narciso finisce per perdere la propria vita, muore affogando nel tentativo di unificarsi con se stesso. La sua passione non conosce limiti; è accecata, furiosa, insaziabile. Per questa ragione, secondo la psicoanalisi, la violenza umana trova il suo fondamento proprio nel mito di Narciso. Prendiamo come riferimento la prima grande scena di violenza narrata dalla Bibbia nella Genesi, quella del gesto fratricida di Caino. Anche Caino come Narciso non è in grado di fare esperienza dell’alterità; egli viene sequestrato da sua madre che lo elegge a proprio “Uomo” al posto di Adamo. Si tratta di un sequestro incestuoso sul quale ha dedicato pagine insuperabili il biblista francese André Wenin in Dalla violenza alla speranza (Qiqajon, 2005): Caino appartiene alla madre, non ha vita propria, è catturato dallo specchio dello sguardo materno. Lui e sua madre riproducono la scena in cui Narciso si perde: la confusione dilaga tra i Due perché non c’è presenza simbolica del Terzo, del principio della mediazione simbolica rappresentato dal padre.
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