di Massimo Recalcati, repubblica.it, 22 maggio 2016
È un’evidenza assoluta: se il cuore si ferma la vita muore. Ma il cuore che ciascuno di noi porta al centro del proprio petto e dal quale dipende la sua vita, batte senza che la nostra ragione o la nostra volontà possano comandarne il ritmo. È un paradosso elementare che si iscrive al centro della vita: il cuore che la mantiene viva, è il nostro cuore, ma è, al tempo stesso, una pompa che agisce a prescindere da ogni istanza di controllo. La vita del cuore trascende la nostra vita pur essendo al centro della nostra vita. Non dovremmo allora vedere nel carattere autonomo di questo battito un primo volto — il più prossimo — dello straniero? La vita del cuore non è un’esperienza perturbante, come direbbe Freud, dove la familiarità più intima e l’estranietà più radicale si intersecano? La potenza autonoma della vita, la sua eccedenza, non è forse sempre in parte straniera a se stessa?
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