di Massimo Recalcati, repubblica.it, 7 agosto 2016
Difficile in questa stagione non essere “toccati” da sconosciuti dove i luoghi di villeggiatura ci espongono alla frequentazione di spazi sempre più affollati. Nella prima riga di Massa e potere, Elias Canetti isola nella paura di essere toccato dall’ignoto una paura atavica dell’essere umano. «Dovunque, l’uomo evita di essere toccato da ciò che gli è estraneo». È qualcosa da cui può scaturire l’esperienza clinica del panico che solitamente colpisce proprio in luoghi di grande ammassamento di gente sconosciuta come sono gli aeroporti, i tunnel autostradali, le stazioni ferroviarie o i grandi centri commerciali, ovvero in tutti quei luoghi che l’antropologo Marc Augé ha definito paradossalmente “non luoghi” perché privi di identità storica, relazionale o antropologica. Se il non luogo offre il terreno più favorevole all’attacco di panico è perché il panico non è altro che la segnalazione drammatica dello smarrimento dei propri confini identitari interni e esterni. Fintanto che il confine sussiste il tabù del contatto con l’ignoto è preservato. Il problema è che il contatto con lo sconosciuto può far saltare in aria i nostri confini. In questo senso l’esperienza del panico può essere considerata come la forma più estrema di irruzione dell’ignoto e, nello stesso tempo, del tentativo impossibile di fuga dall’ignoto stesso, da tutto ciò che il soggetto non può governare, ovvero dall’incontro con l’eccesso della vita e l’imprevedibilità della morte.
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