Il filosofo: «L’umanità è più fragile rispetto a quella uscita dalla Seconda guerra mondiale. Abbiamo una società debole, non abituata alla fatica, alla solidarietà»
di Walter Veltroni, corriere.it, 17 novembre 2020
Il professor Umberto Galimberti, acuto filosofo e analista del pensiero umano, ha recentemente pubblicato Heidegger e il nuovo inizio. Il pensiero al tramonto dell’Occidente. A lui chiediamo di ipotizzare ciò che sta accadendo, nel profondo delle coscienze, nel terremoto prodotto da questi mesi angosciosi. «Nella prima parte, con il lockdown di marzo, quella che si era verificata era una sorta di angoscia. Che non è la paura, perché la paura è un ottimo meccanismo di difesa. Vedo un incendio, scappo. Ha come oggetto qualcosa di determinato. Mentre l’angoscia non ha qualcosa di nitido davanti a sé. È quello che provano i bambini quando si spegne la luce nella loro stanzetta e loro non sono ancora addormentati. La sensazione spiacevole di non avere più punti di riferimento. Sia Heidegger, sia Freud che neanche si conoscevano, o quantomeno non si erano reciprocamente letti, definiscono l’angoscia il nulla a cui agganciarsi. Durante la prima crisi l’angoscia per la minaccia costituita dal rischio del contagio — chiunque poteva infettare chiunque — ha generato angoscia e consentito, per reazione, una disciplina generalizzata.
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