Massimo Recalcati e i giovani sull’orlo di una crisi di nervi tra ansia, depressione e ritiro sociale

Un nuovo centro clinico diretto da Massimo Recalcati cura le sofferenze più diffuse del nostro tempo. Un malessere generazionale che ha una solo cura: riscoprire il desiderio

di Roselina Salemi, elle.com, 26 gennaio 2020

È una villetta degli anni Venti, 1.500 metri quadrati in un quartiere poco mondano, quasi familiare, di Milano. È stata inaugurata lo scorso ottobre e il trasloco è appena finito, perciò odora di nuovo, come una saponetta appena scartata dalla confezione. Colori chiari alle pareti, molta luce. Non c’è traccia dell’ansia e della depressione che accoglie e comprende. Eppure è un vero e proprio centro clinico, una camera di compensazione del dolore, un luogo dove confluiscono Jonas (onlus fondata da Massimo Recalcati nel 2003), Telemaco, Gianburrasca, Divergenze e l’Accademia di alti studi delle scienze della nutrizione. Un corso di specializzazione sui “nuovi sintomi” partirà quest’anno, perché, sostiene Recalcati, c’è bisogno di capire la sofferenza che attraversa tutte le età e tutti gli strati sociali. Il centro segue 250 persone e molti sono giovani, o giovanissimi, ragazzi indecisi a tutto, smarriti, che hanno attacchi di panico (ne parla anche Sofia Viscardi nel format Venti su YouTube) che non sanno rispondere a domande tipo: “Che cosa farai da grande?” perché non riescono ad avere sogni. Perché sono schiacciati dal senso di inadeguatezza. Perché sono iperconnessi eppure soli. Perché oscillano tra mancanza di lavoro e richiesta di performance sempre più alte. Tutto questo genera il disagio che Massimo Recalcati racconta nel saggio Le nuove melanconie (Raffaello Cortina, in vendita su Amazon) cercando di decifrarle, di spiegare in che cosa sono diverse dal passato.

Lei parla di nuovi sintomi. In che senso nuovi?

Conosciamo l’esistenza delle malinconie: senso di colpa devastante, continui auto-rimproveri. Vita senza slancio, senza entusiasmo, senza desiderio. Questo quadro oggi appare modificato. Resta, senza dubbio, la spinta alla chiusura nei confronti della vita, ma non troviamo più la dimensione del senso di colpa che connotava la melanconia classica. In primo piano è la vita che ha paura della vita, costruisce un muro che ne restringe l’orizzonte. Accade a una mia paziente gravemente anoressica che, anziché nutrirsi preferisce succhiare la propria lingua. La lingua non è più un ponte verso l’altro, ma esaurisce l’orizzonte del mondo.

Segue qui:

https://www.elle.com/it/magazine/interviste/a30497823/adolescenza-problemi-cura-massimo-recalcati/

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