«The Master», quella tentazione senza tempo di curare l’istinto

di Elisabetta Ambrosi, sexandthestress.vanityfair.it, 14 gennaio 2013

Non è un film su Scientology, ma molto di più. Chi si aspettava di trovare la storia della setta più vip d’America, o il racconto dei modi in cui gli adepti vengono adescati o sedotti, resterà deluso, e forse per questo il film non ha riscosso grandi successi di pubblico. Il regista Paul Thomas Anderson fa una scelta assolutamente originale: quella di centrare l’intera sceneggiatura solo sul rapporto psicologico ed emotivo tra Freddie, ex soldato, traumatizzato dalla guerra e forse anche dall’infanzia (sua madre è ricoverata in un manicomio). E Lancaster Dodd, capo carismatico del culto, che sia Scientology o altro poco importa. Il primo reagisce alla disperazione, quella che attraversa costantemente i suoi occhi, con l’alcol, la violenza, il desiderio sessuale. L’altro, di fatto un umanista allegro e con senso of humor, è un appassionato studioso dei meccanismi della psiche, in particolare di quelli che spingono gli individui a deviare verso il lato più bestiale. L’uno racconta con il suo corpo le conseguenze di emozioni incontrollate, come le onde del mare che ritornano più volte nel film, l’altro il tentativo di attraversarle quelle onde indenni, in barca, come quella su cui studia e lavora.

Non c’è traccia di follia né di Male Assoluto in questo leader, né nelle persone che lo circondano. A casa sua e dei suoi amici si svolgono esperimenti psicologici davanti a bambini e ragazzi, così come vere e proprie sedute pubbliche per tentare di superare eventuali traumi subiti in vite precedenti: sedute che appaiono molto simili a quelle tra un psicoanalista e un paziente. Non è un caso  che il protagonista del film sia un reduce di guerra, perché proprio sui soldati traumatizzati la psicoanalisi mosse i suoi primi passi. Freddie, poi, rappresenta esattamente quello che nella disciplina di Freud viene considerato un paziente forse intrattabile, incurabile, come suggeriscono ad un certo punto le persone intorno a Lancaster Dodd, in particolare la moglie Peggy.

Eppure il Maestro non fa mai un passo indietro dal suo tentativo di rendere Freddie simile a sé e a quelli che lo circondano. Per due motivi: il primo è che probabilmente, come sembra dire il regista quando i due bevono insieme le miscele alcoliche preparate dall’ex soldato per sopravvivere, i due estremi sono molto più vicini di quanto non appaiano e Dodd riconosce che molto di ciò che agita Freddie è dentro di lui. Ma proprio per questo, ed è il secondo motivo, in una sorta di transfert al contrario, cerca di salvare Freddie per addomesticare i suoi stessi impulsi di violenza e di sesso, che sfoga ad esempio masturbandosi, in una scena molto intensa. Ecco perché con Freddie non può fallire. Ecco perché lo richiama tempo dopo quando il culto è cresciuto e il suo personale processo di “sublimazione”, potremmo definirlo, si è spinto avanti, come testimonia l’enorme, fredda sala-tempio inglese in cui l’amico viene alla fine accolto. «Se tu non vuoi restare non ti far mai più rivedere». «Neanche in una prossima vita?», ironizza Freddie. «Se ci incontriamo in una prossima vita saremo nemici», risponde.

Il punto di vista del regista, la sua personale distanza da ogni tentativo di redimere, anche a fin di bene, persone distrutte e violente non viene espresso rappresentando un leader grottesco, folle, che plagia le menti, anche se in un paio di episodi fa capire chiaramente che la teoria di Dodd non tiene. La sua scelta è molto più sottile, ed è quella di mostrare come Freddie, nonostante le apparenze – sembra essere diventato un adepto, sembra finalmente addomesticato – in realtà resti esattamente quello di sempre, come se l’enorme sforzo terapeutico su di lui non lasciasse traccia. Gli insegnamenti del Maestro vengono addirittura, in una delle ultime scene, sbeffeggiati. Mentre il reduce Freddie, finalmente, scopa con una ragazza, un desiderio che lo attraverso fin dall’inizio, quando da soldato disegnava il corpo femminile sulle spiaggia per poi masturbarsi contro di lui.

Forse il regista Anderson potrebbe aver voluto dire che sì, persone come Freddie non sono redimibili, ma la scelta di tentare è comunque un nobile, quando tragico, tentativo. Eppure non è neanche questo, secondo me, la posizione del regista. Con una buona dose di ironia, Anderson sembra ipotizzare qualcosa di più beffardo: e se quello di cui abbiamo bisogno fosse davvero solo un’accogliente vagina femminile e un enorme seno, come quello modellato sulla spiaggia da Freddie? Se avesse ragione lui? Anzi, ancor più radicalmente (e romanticamente): e se questo desiderio fosse ciò che di più alto c’è? Sdraiarsi accanto ad un corpo amato e materno, l’unica terapia al dolore, proprio come la sua privazione è la vera fonte di dolore. In un certo senso, proprio l’intuizione da cui la psicoanalisi è nata, prima che l’astratta teoria prendesse il sopravvento e la psicoanalisi diventasse anch’essa una forma di sublimazione, più simile a un culto che all’abbraccio di un amore.

http://sexandthestress.vanityfair.it/2013/01/

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