di Claudio Risè, ilgiornale.it, 8 novembre 2016
Ammettiamo che sia vero, che sia «un po’ troppo cattivo». E che, come al solito, anche qui Renzi faccia le cose molto più semplici di quello che sono. Come se «essere cattivi» fosse facile come dire una battuta, e non ci fossero di mezzo codici morali, visioni del mondo, istinti (che sono pur sempre lì, anche se lui non ne sa niente). Lo sapeva invece bene il filosofo francese Alain ammonendo che fare «il buon (…) tiranno non è così facile». In questo campo, dunque, sempre meglio non darsi troppe arie.
Eppoi: si sente il bisogno, oggi, di presidenti del Consiglio «un po’ troppo cattivi»? Quando gli interi Stati Uniti, indipendentemente da come voteranno, sono disgustati dell’incontenibile e inutile cattiveria e aggressività dei rispettivi candidati, che avrebbero anche tratti interessanti se non mancassero così platealmente (quasi provocatoriamente) di qualsiasi tratto di bontà e amore? Quando al di là delle Alpi c’è un presidente che coi giornalisti prende in giro i poveri chiamandoli «i senza denti»? Quando il presidente delle Filippine sta forse riuscendo a risolvere il problema della droga facendo sparare a centinaia di migliaia di drogati che non smettono di farsi? Quando, tra la costernazione di molti, la politica in tutto il mondo è «guidata dalla rabbia, aggressività e disperazione», come ha scritto ieri Mark Lilla della Columbia University?
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