Ballerini, Maiolo, Buffoli, Minazzi, Castigliego, Barbetta e altri sul Coronavirus

Ballerini: cari genitori la famiglia non basta a se stessa

«Noi genitori non bastiamo ai nostri figli. Con il lockdown siamo stati costretti a ricordare che la famiglia non è un clan e nemmeno un rifugio, che non basta a se stessa, ma che rappresenta il punto di lancio verso tutti gli incontri possibili». L’intervento dello psicanalista e scrittore

di Luigi Ballerini, vita.it, 25 giugno 2020

Adolescenza, questa invenzione novecentesca. Le età dell’uomo sono infatti due e solo due: infanzia e vita adulta. In mezzo accade lo sviluppo del corpo. In mezzo quel periodo, più o meno breve, che nessuno osa più chiamare con il nome giusto: pubertà. Il lemma stesso è caduto in disuso forse perché così sconvenientemente correlato al corpo, così spudoratamente allusivo. Un buon lemma, tuttavia, perché ciò che accade tra le due età e ne rimarca la differenza è proprio lo sviluppo sessuale. Con lo sviluppo il corpo si trasforma, alcune ghiandole iniziano a funzionare o a esprimersi più compiutamente, le ossa si allungano, i muscoli si potenziano, i tratti del viso cambiano, si evidenziano i cosiddetti caratteri sessuali secondari. Ma il corpo che cambia sperimenta anche pensieri nuovi, viene scosso da eccitazioni sconosciute prima, si pone questioni inedite. Freud ha sapientemente inventato un neologismo: Io-corpo. Si tratta del corpo animato dal pensiero, un body che senza pensiero sarebbe ridotto a un corpse (quello del tavolo anatomico).

Segue qui:

http://www.vita.it/it/article/2020/06/25/ballerini-cari-genitori-la-famiglia-non-basta-a-se-stessa/155979/

Le conseguenze della quarantena

Tra gli effetti indesiderati, l’abuso delle tecnologie digitali da parte dei giovani

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 21 giugno 2020

Durante la quarantena c’era chi aveva fatto previsioni rispetto alle conseguenze del lockdown. Diceva che avrebbe prodotto gravi effetti sulla salute psicologica e mentale degli individui e avrebbe fatto aumentare le dipendenze in tutte le sue forme. E così è stato. Secondo ricerche internazionali, infatti, e alcune interessanti indagini italiane di Centri d’intervento e sostegno sono emersi elementi che hanno portato a ritenere quanto le condizioni di isolamento prolungato siano state responsabili dell’aumento dei livelli di stress. Per contenere l’angoscia per il futuro che ha generato sconforto e stati depressivi, molti hanno «alzato il gomito» e hanno iniziato a bere. Altri che invece avevano già una dipendenza, hanno incrementato questo comportamento. L’idea che sottostava il consumo, era quella di aver bisogno di qualcosa di gratificante per sentirsi meglio e ridurre la paura.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/100135-le-conseguenze-della-quarantena-%E2%80%93-di-g.-maiolo%2C-psicoanalista.html

Un «trauma collettivo»

Per superarlo serve «l’oblio attivo», la capacità cosciente di dimenticare i ricordi negativi e bloccare quelli dannosi: solo così si riprende fiducia nel futuro

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 14 giugno 2020

È difficile fare bilanci di un tempo difficile da cui, peraltro, non siamo ancora usciti. Ma è fondamentale nel momento della ripresa, seppur a tappe, poter riflettere su quanto è accaduto. Perché la pandemia del coronavirus, non solo ha travolto ogni individuo, ma superando i confini geografici, ha traumatizzato l’intera società mondiale. Così è più corretto parlare di «trauma collettivo». Un’esperienza senza precedenti per cui non abbiamo casi che possono somigliare a ciò che è accaduto. Se pensiamo ad eventi come un genocidio di massa o lo Tsunami, a un terremoto devastante o all’attentato alle Torri gemelle di New York, percepiamo il loro forte impatto emotivo, ma sentiamo che non possono essere paragonati a quanto prodotto dalla pandemia che ha attraversato il pianeta in questi mesi.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/99911-un-%C2%ABtrauma-collettivo%C2%BB-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo,-psicoanalista.html

A lezione dal coronavirus

Il Covid-19 ha messo a nudo una malattia sistemica della nostra organizzazione economica e sociale

di Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi, ilsole24ore.com, 11 giugno 2020

Quante volte, durante il lockdown, ci siamo detti “questa è una lezione da imparare”, “niente sarà più come prima”. Quante volte ci hanno confortato con i mantra speranzosi “andrà tutto bene”, “diventeremo migliori”. In effetti, l’esperienza della quarantena e l’imprevisto confronto con la caducità, per alcuni fortunati ha coinciso con l’acquisizione non traumatica di stili e pensieri nuovi o ritrovati. Più attenzione al proprio mondo psichico e ai suoi bisogni, ripensamenti sull’uso del tempo, crescita mentale e affettiva innaffiata dalla solitudine. Anche gioie inattese. Copiamo qualche frase da email ricevute negli ultimi giorni: “Mi vergogno a dirti che questi due mesi a casa mi hanno fatto bene”. “Che assurdità, mentre il mondo moriva di dolore con mia moglie ho ritrovato l’intimità di una volta”. “Mi sono trasferita al mare e torno a Roma quando necessario. Ti abbraccio e spero che la clausura abbia portato benefici anche a te: per me è stata un toccasana”. Un gigantesco database di sogni che stiamo analizzando per ricerca in università, molte atmosfere oniriche angoscianti legate alle restrizioni sono animate da elementi trasformativi e generativi: animali da addomesticare, gravidanze, acque in movimento vitale.

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https://www.ilsole24ore.com/art/a-lezione-coronavirus-ADB08wW

Pandemia, incertezze e difficoltà: psicoanalisi del risveglio di una coscienza sociale

di Michele Piccolin, Guido Buffoli, lavocedibolzano.it, 10 giugno 2020

In questi mesi di paura ed incertezza sono emersi nella popolazione nuovi aspetti di confusione e smarrimento che hanno spinto diverse persone a reazioni contrastanti, rabbiose, anacronistiche e a volte scarsamente ragionate che, per certi versi, lasciano ampi margini di dubbio circa gli sviluppi futuri e la possibilità di sfruttare al meglio le opportunità che risiedono in ogni crisi, anche in questa. Il dr. Michele Piccolin, Psicologo forense e Consigliere dell’Ordine degli Psicologi di Bolzano intervista in merito il prof. Guido Buffoli, Medico, Neuropsichiatra, Psicoanalista e Professore all’Università di Padova.

Gentile Professore che cosa accade alla psiche delle persone con l’insorgere e il mantenersi della pandemia di COVID 19?

Va detto come premessa che due condizioni pesano molto sul clima sociale attuale: una scarsa prevedibilità ed una scarsa credibilità. Questi due fattori è noto che a livello psichico del singolo possono favorire disorientamento e, se presenti ad alto livello, disagio e malattia mentale. Risulta evidente a tutti che precedentemente all’epidemia vivevamo già in un clima di incertezze sia nazionali che internazionali collegati alle crisi socioeconomiche ma anche ai preoccupanti cambiamenti climatici della terra. Con l’aggiunta di questa epidemia il clima di incertezze si è ulteriormente aggravato specie perché si tratta di un nemico invisibile e poco conosciuto. Non è ancora del tutto chiaro da dove sia arrivato, come si sia diffuso, in che condizioni diventi più virulento, quali siano i soggetti più predisposti, quali immunità lasci nei guariti, se lasci danni permanenti o debolezze sul sistema immunitario. 

Segue qui:

https://www.lavocedibolzano.it/pandemia-incertezze-e-difficolta-psicoanalisi-del-risveglio-di-una-coscienza-sociale/

“Ripartire non basta. Servono occhi nuovi”

La psicologa Erika Minazzi rifiuta le parole più pronunciate del momento, che sembrano innescare un automatico ritorno al passato e consiglia: “Non tornate al passato, guardate avanti. E accettate qualche cambiamento”

Nella puntata numero 11 di “Psicologia in Pillole“, la dottoressa Erika Minazzi si sofferma sul concetto stesso di ripartenza: una parola che a lei non piace perché, dice, ci riporta automaticamente al prima. Occorre trovare, nel dramma, il motore del nuovo inizio, per lasciarci alle spalle ciò che vivevamo in maniera trascurata o distratta e soffermarci sull’esigenza di spalancare sul futuro un inedito sguardo. Il cambiamento, afferma la psicologa, psicanalista e psicoterapeuta, non è un rischio, ma un’opportunità.

 

La società della paura che genera mostri

Non sono le distanze o l’isolamento degli individui, ma i legami e la forza della vicinanza che ci possono aiutare a resistere ai pericoli del mondo

di Giuseppe Maiolo, 7 giugno 2020

Che la pandemia abbia cambiato il mondo lo sappiamo. Ha incrementato la paura che è specifica condizione umana e un sistema pervasivo di comunicazioni martellanti l’ha distribuita ovunque a dosi massicce e ha fatto sviluppare dappertutto tormento e insicurezza, angoscia e paranoie. Il guaio è che il ruminare intenso del terrore e dei pensieri colmi di immagini negative e carichi di ansia, sembra non arrestarsi. Neanche quando, a valutare la situazione attuale, il contagio sembra rallentare. Si sviluppa, al contrario, una ulteriore vena minacciosa di timori altrettanto contagiosi che alimenta scenari da panico, idee assurde e comportamenti estremi. Così cresce a dismisura la società della paura, quella di cui parla Vittorino Andreoli nel suo ultimo libro «Homo incertus». Quella che la continua e persistente dimensione di incertezza fa lievitare la preoccupazione del vivere a contatto degli altri e lo starsi accanto.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/99770-la-societ%C3%A0-della-paura-che-genera-mostri-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo.html

 

Non è andato tutto bene

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 7 giugno 2020

Chi muore giace e chi vive si dà pace. Così, con sofferto disincanto, commentava spesso la reazione umana agli eventi luttuosi mio padre, che con quegli eventi, aveva, da medico condotto in un paese della bassa bresciana, dolorosa confidenza. Mi ricordo ancora il suo viso affranto quando era tornato da una chiamata urgente in cui non aveva potuto far nulla per due fratelli morti uno dopo l‘altro a causa delle esalazioni di gas tossici (anidride carbonica) in un silos di cereali. Rammento il suo incredulo dolore quando aveva appreso che un paziente che lui aveva sperato di aver protetto dal suicidio inviandolo allora in ospedale psichiatrico, si era suicidato là poco dopo esservi giunto. Mio padre, una vita trascorsa tra parti, malattie, sofferenze, confidenze, piccole soddisfazioni, dolori e morti, sapeva che nella maggior parte dei casi il dolore del lutto, prima o poi, si attenua, consentendo di tornare alla vita. Aveva fatto l’esperienza che spesso le persone teatralmente inconsolabili erano le prime a consolarsi e che in altri casi invece il lutto rimane come una pietra nel cuore di uomini e donne ben oltre dopo che avevano dismesso i vestiti o i bottoni neri (chi se ne ricorda ancora?) impedendo loro di vivere.

Segue qui:

Non è andato tutto bene

 

Quattro domande sul desiderio

1. Il desiderio di prossimità, la necessità di abbracciarsi, di scambiarsi segni di reciproco affetto e di amore, sembrano oggi aboliti a causa dei timori che i contatti possano generare veicoli di trasmissione del virus, così che la paura ha preso il sopravvento: possiamo essere gli untori dei nostri partner, genitori, amici. Desiderio e paura si escludono o possono coesistere e con quali conseguenze? Cosa determinerà – in una fase di coesistenza con il virus – l’impossibilità di riprendere la dimensione fisica, corporea, di alcune relazioni, in particolare quelle con gli anziani?

di Pietro Barbetta, doppiozero.com, 2 giugno 2020

Siamo stati abituati al desiderio di prossimità inteso come relazione corporea, tanto da averlo catalogato nei termini di habitus o “carattere nazionale”: il carattere nazionale del nord Europa versus quello latino, il carattere nazionale di alcuni paesi dell’estremo oriente – paradigmatico il pregiudizio sul Giappone – versus quello occidentale, ecc. Vero che alcuni comportamenti differenti, come il saluto, sono dominanti, in termini rituali. In Europa ci si stringe la mano, quasi fosse segno di sincerità e franchezza, in alcuni paesi orientali si usa l’inchino, a volte con le mani giunte. Darsi la mano sembra un segno di esagerata intrusività. Le stesse “mascherine”, che per noi sembrano un fastidio intollerabile, in alcuni paesi d’estremo oriente sono pratiche diffuse ben prima del virus. La caratteristica fondamentale del virus è il doppio volto, attivo e passivo. Si può contagiare, si può essere contagiati e purtroppo, dove si è stati indolenti nell’evacuazione degli anziani dalle residenze collettive, c’è stata una strage. Poi arrivano le ricerche, come quella pubblicata sul New England Journal of Medicine sul tallone d’Achille delle persone asintomatiche, ma la scienza è come la nottola di Minerva, spicca il suo volo sul far della sera, nel frattempo qui era deceduto oltre il 30% degli ospiti. Mai come in questi giorni ho letto, e mi sono appassionato al virus, e anche questo è stato un modo per andare incontro al desiderio, il desiderio dell’Altro, il desiderio di conoscere, cioè, di prendere posizione. Perché conoscere è prendere posizione.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/quattro-domande-sul-desiderio-1

 

Pandemia e piacere dell’isolamento

La claustrofilia non è solo paura di uscire in luoghi aperti, ma anche un incremento di quella paura dell’altro che minaccia il fragile involucro psichico, la pelle psichica che è stata costituita nell’auto-quarantena felice, al riparo dalla minaccia

di Gabriella Giustino, huffingtonpost.it, 1 giugno 2020

Una giovane donna italiana bloccata in un altro paese europeo per la pandemia e impossibilitata a tornare in Italia, mi racconta di avere sognato la casa della sua infanzia e dice: che strano! la casa era tutta tonda, lì stavo benissimo mi crogiolavo in un dolce torpore senza tempo e mi sentivo finalmente al sicuro. In questo sogno, è possibile vedere, al di là di altri significati legati alla storia individuale della paziente, come la pandemia possa talora aver attivato nelle persone fantasie claustrofiliche piacevoli. Questo immergersi nella casa tonda vivendo una sorta di piacere estatico è come chiudersi in un luogo mentale senza tempo, una casa-fortezza in cui trovare un idilliaco isolamento, annullando lo scorrere del tempo e rinnegando la morte.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/pandemia-e-piacere-dellisolamento_it_5ed4a3b0c5b681b1e357ed15

Ritorno a scuola per un giorno?

L’idea di salutare i compagni per l’ultimo giorno dell’anno è gesto simbolico che serve. Ma non sufficiente, ci vuole ben altro

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 31 maggio 2020

Da un po’ di giorni, finalmente, si parla di far tornare a scuola i bambini prima della conclusione dell’anno. Non è cosa di poco conto, anche se non vuol dire riaprire le scuole. L’idea di salutare i compagni per l’ultimo giorno dell’anno, come qualcuno ha detto, è gesto simbolico che serve. È vero, anche se in realtà servirebbe di più un tempo per concludere la sospensione forzata dell’attività scolastica e dare modo a bambini e ragazzi di trasformare le emozioni vissute. I piccoli hanno bisogno di raccontare le loro storie, elaborare la paura che ha allagato la mente dei genitori e la loro, l’angoscia della morte, la distanza sociale e l’isolamento forzato. Ai bambini che nonostante tutto hanno più risorse degli adulti e maggiore resilienza dei grandi, serve però un tempo adeguato per ri-cucire il passato al presente e ritrovare il mondo e le sue relazioni interrotte.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/99585-ritorno-a-scuola-per-un-giorno-di-g-maiolo-psicoanalista.html

Alternative

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 1 giugno 2020

Ai tempi, purtroppo ormai lontani, in cui studiavo medicina legale, il nostro professore ci raccontava tra il serio e il faceto dell’insolubile dilemma del prelievo di sangue all’automobilista in stato di ebbrezza. Nel momento in cui una persona al volante veniva sospettata di essere in preda all’alcool le veniva richiesto di sottoporsi ad un prelievo per determinare la concentrazione di alcol nel sangue. Si creava però il paradosso per cui qualora la persona avesse presentato un tasso alcolico elevato , il suo consenso a farsi prelevare il sangue non poteva considerarsi valido poiché, essendo appunto in stato di ebrezza, la sua capacità di intendere di volere era scemata. Dunque chi era ebbro la faceva franca. Allora trovavo ancora la cosa per certi versi divertente e la raccontai anche quando presi a lavorare in Svizzera. Qui però nessuno rise, tutti mi chiesero invece come era stato risolto il problema. Nel frattempo sono arrivati per fortuna l’etilometro e nuove norme del codice della strada. Mi tornava alla memoria questo episodio in occasione della recente disputa sulla app per il Contact Tracing, che ha suscitato un acceso dibattito spesso trasformatosi in sterile polemica tra partiti avversi secondo una tradizione secolare che nel nostro paese va dalle factiones (blu e verdi) del Colosseo ai guelfi e ghibellini a Bartali e Coppi e non può non attraversare anche scienza e tecnologia. Confesso di avervi preso parte anch’io con spirito non proprio obiettivo.
La questione è nota. Da una parte si argomenta che il metodo del contact tracing digitale ha consentito ad alcuni paesi (in particolare Taiwan, Corea del Sud) di ottenere straordinari risultati nel contenimento dell’infezione riducendo a numeri a due cifre le morti da covid 19. Dall’altra si ribatte che il contact tracing digitale rischia di mettere a repentaglio la privacy di milioni di persone e di costituire un cavallo di Troia per ulteriori impieghi e abusi di dati personali in condizioni anche meno straordinarie di quelle attuali. Un recente articolo  di valigia blu fornisce un ampio resoconto di tutti gli aspetti tecnici e legali della questione concludendo a sfavore del Contac tracing digitale. Non avendo né competenze informatiche né legali cerco di analizzare qui la proposta del contact tracing digitale da un punto di vista medico. Non mi sembra d’altro canto un’angolatura così eccentrica  dal momento che in caso di epidemia da sempre si effettua  il tracciamento, la ricerca cioè dei contatti precedentemente avuti dal paziente infettato in modo da risalire all’origine dell’infezione o comunque ad altre persone da lui incontrate e dunque potenzialmente infette per spezzare così la catena del contagio.

Segue qui:

Alternative

Videointervista ad Anna Maria Nicolò

da Youtube, 28 maggio 2020

Intervista di Bruno Ruffilli ad Anna Maria Nicolò per Next – La Stampa

Introduzione: Come sono cambiati i rapporti interpersonali in seguito al lockdown? La prof.ssa Anna Maria Nicolò, ospite alla nona puntata di Next – Il mondo che verrà, risponde alle numerose domande sulle difficoltà vissute dalle coppie, dai genitori e dai figli durante il periodo di distanziamento sociale e su come possiamo gestire le conseguenze sulla salute mentale. Anna Maria Nicolò, Neuropsichiatra infantile, Membro Ordinario AFT della S.P.I e dell’IPA, Presidente della Società Psicoanalitica Italiana. 

 

Gli effetti del trauma collettivo

Il Covid-19 e il «liberi tutti» con due scuole di pensiero opposte: starsene ancora in casa protetti, oppure voglia di riprendersi tutta la libertà perduta

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 25 maggio 2020

Al segnale di «liberi tutti» sembra che vi siano due reazioni dominanti: una di chi preferisce starsene ancora in casa protetto dai pericoli del contagio e al sicuro dal nemico che è ancora tra noi, e l’altra di coloro che hanno voglia di riprendersi tutta la libertà perduta e vedono la movida come un modo per compensare le insopportabili limitazioni di mesi di isolamento. Due comportamenti opposti, due polarità che si manifestano quando saltano gli equilibri e, come sta accadendo ora, ci sentiamo scombussolati dal terremoto psicologico della pandemia. Potremmo dire però che sono due facce della stessa medaglia. Ovvero potrebbero essere proprio gli effetti del trauma collettivo che ha attraversato la nostra esistenza. Il COVID-19 del resto ha prodotto un forte impatto emotivo di cui oggi si possono già intravvedere le reazioni.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/99377-gli-effetti-del-trauma-collettivo-%E2%80%93-di-g.-maiolo%2C-psicoanalista.html

Galimberti: “La natura si è vendicata con la pandemia. E l’uomo non sta imparando niente”

Il filosofo Umberto Galimberti : “Avremmo dovuto approfittarne per tornare a riflettere, ma sappiamo solo litigare e uccidere altre donne”

di Dario Crippa, ilgiorno.it, 25 maggio 2020

Milano, 26 maggio 2020 – Cosa insegna questa pandemia all’uomo? Un bel niente. La gente chiusa in casa avrebbe avuto occasione di riflettere, e invece…”. Umberto Galimberti risponde con franchezza. Filosofo, psicoanalista, autore di decine di libri, la sua è diventata una delle ultime voci della filosofia capaci di farsi conoscere, anche quando le sferza, dalle masse. In questi giorni di pandemia, con i ritmi dell’uomo sconvolti da un’emergenza sanitaria come non se ne vedevano di eguali da tempo, Galimberti riflette.

Perché è così pessimista?
“Da tempo viviamo nell’età della tecnica, che ci vede come i funzionari di apparati deboli nel momento in cui siamo tecnicamente più assistiti, in cui basta aprire un frigorifero per trovare da mangiare… in cui però non sappiamo più vivere al di fuori di questo enorme apparato tecnico. E la tecnica non apre scenari di senso o di salvezza, ma semplicemente funziona: come diceva Pasolini, non è progresso ma sviluppo”.

Segue qui:

https://www.ilgiorno.it/milano/cronaca/coronavirus-galimberti-1.5164755

Maschere, tra autenticità e oggettività

di Sarantis Thanopulos, Ginevra Bompiani, ilmanifesto.it, 23 maggio 2020

Ginevra Bompiani: «Caro Sarantis, nell’ultima nostra conversazione, avevi messo il dito su un punto cruciale: la spontaneità dei gesti si perde nell’imposizione di regole. È un aspetto spettacolare di questa quarantena, la perdita della spontaneità dei gesti e dell’autenticità del pensiero, divorati dalla paura e dai continui bollettini di guerra, che ci dettano ogni giorno condotte e pensieri. Quando viene a cadere l’autenticità, succede come in un vasto gioco di domino, dove rovesciando la prima tessera, le rovesci tutte. Se togli autenticità a gesti, parole e sentimenti, le tessere della tua vita ruzzolano una dopo l’altra, radendo al suolo l’intero edificio. La perdita dell’autenticità è il primo effetto di una politica farisea e perentoria; il suo strumento è la paura. Ora che giriamo per le strade, incontriamo persone con la mascherina sul viso, e altre che non ce l’hanno. Curiosamente, mi suscitano entrambe un sentimento fastidioso, che si potrebbe esprimere così: guarda questi fanatici, con la mascherina! Oppure: guarda questi come se ne infischiano! Insomma, sembra che non ci sia un comportamento giusto. In realtà nessuno dei due è giusto o sbagliato, semplicemente nessuno dei due è convincente. Se invece incontri un asiatico con la sua mascherina, tutto bene. Le loro precauzioni non sono nate ieri.

Segue (previa registrazione gratutita) qui:

https://ilmanifesto.it/maschere-tra-autenticita-e-oggettivita/

Coronavirus, Slavoj Zizek: non esiste un ritorno alla normalità

In un nuovo libro, anticipato da L’Osservatore Romano, il filosofo sloveno si dice convinto che «una sospensione della socialità è qualche volta il solo accesso all’alterità»

di Jacopo Scaramuzzi, lastampa.it, 20 maggio 2020

«Non esiste un “ritorno alla normalità”, la nuova “normalità” dovrà essere costruita sulle rovine delle nostre vecchie esistenze, o ci troveremo immersi in un nuovo barbarismo i cui segnali sono già chiaramente intuibili adesso». Lo scrive il filosofo sloveno Slavoj Zizek, «ateo cristiano», in un testo anticipato in Italia da L’Osservatore Romano nel quale si dice convinto che il distanziamento sociale rafforzerà il legame con gli altri: «Una sospensione della socialità è qualche volta il solo accesso all’alterità». Studioso di marxismo, di idealismo tedesco e di psicanalisi lacaniana, Zizek ha appena pubblicato il libro “Virus” (Ponte Alle Grazie), nel quale, riporta sul giornale vaticano Lorenzo Fazzini, nota come il sorgere del coronavirus abbia funzionato come amplificatore di alcune tendenze positive e altre negative della nostra società. Sul fronte negativo, «l’attuale diffusione dell’epidemia di coronavirus ha portato ad un’altrettanto vasta epidemia di virus ideologici che erano dormienti nella nostra società: fake news, teorie cospiratorie paranoiche, esplosioni di razzismo». Ma anche, e soprattutto, tanta, tanta solidarietà.

Segue qui:

https://www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/05/20/news/coronavirus-slavoj-zizek-non-esiste-un-ritorno-alla-normalita-1.38867522

«Ci credevamo onnipotenti, lo spirito di servizio può curare l’identità ferita»

Lella Ravasi psicanalizza la Milano del Covid. «Non è una guerra, sono crollate le finte certezze. Il Duomo, la Madonnina: c’è bisogno di simboli»

di Giangiacomo Schiavi, milano.corriere.it, 20 maggio 2020

Milano, il Duomo, la Madonnina. Prima l’arcivescovo Delpini, che prega con i versi di una storica canzone. Poi il sindaco Sala che invoca protezione per i suoi cittadini. Da lassù una volta veniva anche un messaggio, si vedevano passare i treni ed erano quelli del lavoro, della speranza, della vita. Ma oggi che cosa significa questo pellegrinaggio, in apparenza mediatico, per centinaia di migliaia di cittadini con la mascherina, negozianti preoccupati, artisti senza pubblico, studenti lontano dalle scuole, milanesi senza Milano? «È un bisogno di senso», dice Lella Ravasi, psicanalista, abituata al lavoro di cura e all’esplorazione del dolore. Bisogno di definire un percorso, di darsi nuovi obiettivi, di essere ancora Milano. La città che si risveglia e cerca di ritrovarsi nei suoi antichi simboli è sfidata a cambiare: non si può fermare nonostante lo smarrimento provocato dalla lunga clausura, ma dopo aver corso coi primati intestandosi la leadership nel Paese, si è scoperta fragile, vulnerabile.

Segue qui:

https://milano.corriere.it/notizie/cronaca/20_maggio_20/ci-credevamo-onnipotenti-spirito-servizio-puo-curare-l-identita-ferita-fbd5e164-9a5c-11ea-b9b1-0c64bed81692.shtml

Restare a casa o uscire?

C’è in giro un dubbio. Un inquietante dilemma che, se non contagia quanto il COVID-19, ci va vicino

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 17 maggio 2020

C’è in giro un dubbio. Un inquietante dilemma che, se non contagia quanto il COVID-19, ci va vicino. L’interrogativo è «Restare in casa o uscire?» «Star dentro o fuori?». Sembrerà strano ma lo vivono in molti da quando si è aperta la Fase 2 che ha posto fine alla quarantena. In alcuni il dubbio genera conflitto e, per quanto paradossale visto il desiderio comune di tornare alla vita sociale, produce tensione e ansia. Non è una battuta casuale quella del «Quasi quasi non esco più!» pensata forse da chi ha attraversato il lockdown senza grosse difficoltà, con poche ristrettezze fisiche e pochi doveri familiari. Ma non è un’idea rara.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/99164-%C2%ABrestare-a-casa-o-uscire%C2%BB%3F-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo%2C-psicoanalista.html

L’altro ci angoscia, ma l’altro siamo anche noi stessi

di Andrea Baldassarro, huffingtonpost.it, 15 maggio 2020

Quello che la pandemia attuale sta indubbiamente mostrando, e che non può non interessare in modo particolare lo psicoanalista, è l’angoscia dell’altro: l’altro diventa sempre più qualcosa che ci può danneggiare, che incute timore, e da cui difendersi. Dunque è legittimo diffidarne, temerlo, proteggersi da esso: l’estraneo che siamo noi stessi viene del tutto spostato all’esterno, fuori di noi. È il trionfo della paranoia e delle sue – ormai giuste – ragioni. E così, abbiamo assistito ad uno “sdoganamento” della paranoia ed anche della fobia: non c’è più patologia nel temere il contatto dell’altro, così come è giusto, necessario e opportuno diffidare dell’altro, in quanto semplicemente altro: ma anche noi siamo l’altro per l’altro. Infatti, nulla è forse così Unheimlich, perturbante – inquietante direi – del fatto che noi stessi potremmo essere portatori dello stesso contagio che temiamo da parte dell’altro. Noi stessi siamo così allo stesso tempo quell’estraneo che vorremmo tenere a distanza.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/laltro-ci-angoscia-ma-laltro-siamo-anche-noi-stessi_it_5ebe80abc5b6344b6981b633

Intervento di Massimo Recalcati alla Giornata internazionale della famiglia del 15 maggio 2020

Diario di uno psicoanalista al tempo del Covid

di Massimo Recalcati, la Repubblica, 15 maggio 2020

Mentre nuvole scure si addensano al nostro orizzonte legate alle profonde perturbazioni economiche e sociali della pandemia, la mappa della sofferenza psichica generata dal Covid 19 appare frastagliata e per certi versi sorprendente. Il primo paradosso che registro nel mio lavoro clinico è che non aumentano solo i sintomi (angoscia, fobie, ritiro sociale, insonnia, depressione, difficoltà sessuali), ma anche strane forme di benessere.
Per provare a comprendere quello che sta accadendo conviene tenere presente una osservazione clinica di Freud: l’apparizione di un tumore può guarire il soggetto da una grave psicosi. È qualcosa che stiamo sperimentando: l’irruzione di un reale orribile – quello del tumore o del Covid 19 e delle sue conseguenze non solo sanitarie ma anche economiche e sociali – si rivelano assai più violente del delirio. Se lo psicotico vive separato dalla realtà, il trauma del tumore o del virus lo riporta bruscamente ad una realtà che non può più essere aggirata, liberandolo paradossalmente dalle sue angosce più deliranti. In parole più semplici la realtà si sarebbe fatta più delirante dello stesso delirio!

Segue qui (Vai a pubblicazioni, articoli, data indicata sopra)

https://www.massimorecalcati.it/articoli

TEMPO DEBITO. Sulla temporalità all’epoca del corona virus

di Giancarlo Ricci, retedipsicoanalisi.cloud, 11 maggio 2020

A tempo debito. Tutto riprenderà a tempo debito. “A tempo debito” è un’espressione che troviamo spesso in Boccaccio, nel Decameron, tra le parole di coloro che si erano rifugiati in campagna per trovare scampo alla peste che dilagava a Firenze. Dunque i rifugiati aspettano a tempo debito il ritorno alla vita normale. Come la vita dei monaci che pregano e cantano “alle debite ore”, così, nel Decameron, i dieci giovani scandiscono le loro giornate con varie attività tra cui appunto, a turno, il racconto di fantasiose novelle. Alcune delle quali abbastanza licenziose, quasi a indicare, nella distanza tra le parole e i fatti, un volto inedito della sublimazione. Le cose rimangono sospese e a tempo opportuno riprenderanno. L’espressione a “tempo debito”, al di là del Decameron, mi sembra tracci nascostamente una serie di rinvii.  Significherebbe a tempo dovuto, a tempo opportuno; implica una sospensione, uno stare fermi, un’attesa. Del resto la parola tempo rinvia a taglio, separazione, divisione. Ecco il punto dolente: siamo separati e isolati rispetto a una temporalità precedente. Ci troviamo, come in un brano musicale, fuori tempo, senza ritmo o in un ritmo sincopato. L’attesa introdotta dal “tempo debito” divide, ci separa dal mondo. Ogni attesa in fondo instaura una distanza tra l’adesso e il dopo, tra quello che chiamiamo presente e futuro.  Tuttavia, in un certo senso è il dopo che trascina l’adesso, è il futuro che assegna un senso al presente, che lo forgia nelle sue aspettative. In fin dei conti è il desiderio quell’istanza che trascina, talvolta vorticosamente, l’adesso verso un dopo; quasi lo istituisce. E ancora: l’adesso è il tempo della preparazione, dell’organizzazione; il dopo sarà il tempo della soddisfazione, del godimento. In fin dei conti l’economia del nevrotico è tale perché si scontra immancabilmente con questo contrattempo. Egli vorrebbe che in simile economia rimanesse fuori gioco il reale, quella spaccatura che si insidia in ogni aspettativa, quella distanza imponderabile che rende impossibile una linearità tra presente e futuro.

Segue qui:

https://www.retedipsicoanalisi.cloud/tempo-debito-sulla-temporalita-allepoca-del-corona-virus/

Il desiderio e gli affetti stabili

di Sarantis Thanopulos, Ginevra Bompiani, ilmanifesto.it, 9 maggio 2020

Ginevra Bompiani: «Uno dei problemi del ricevere ordini, è il fatto che presto vi rotola dentro la stupidità. E ci si ritrova, non tanto alle prese con l’ubbidienza, quanto con il buon senso del ridicolo. È successo molte volte in questa Pandemia: i cosiddetti reggitori del mondo hanno fatto a gara di imbecillità, incompetenza e improvvisazione. Noi per fortuna abbiamo un capo del governo, che si tiene sempre nell’Aurea Mediocritas, a prudente distanza fra due fuochi. Ma perfino lui, a furia di avanzare solitario nella mistificazione, finisce per inciampare nell’assurdo. Oggi riguarda le persone da visitare nella fase due. Anche stavolta sarà il grande fratellone a darci le indicazioni necessarie: i congiunti! Oddio, e chi sono? A essere precisi, ‘congiunto’, participio passato, è la persona o cosa che ha subito l’azione di ‘congiungere’. E a rigore non si potrebbe dire dei parenti, che sono nati consanguinei. Perciò il governo si è affrettato ad allargare il termine ad ‘affetti stabili’. E qui il dubbio cade nello stupore: in che modo la stabilità di un affetto difende dal contagio? È stata la Signora Bonetti a suggerire questa parola? È dunque proibito innamorarsi (rapporto instabile, incerto, essenziale)? E fare sesso si può?

Segue qui, previa registrazione sul sito della testata:

https://ilmanifesto.it/il-desiderio-e-gli-affetti-stabili/

Ritorno all’aperto

di Massimo Recalcati, La Stampa, 7 maggio 2020

Non ricordo negli ultimi anni una primavera così bella. Mentre il mondo deve affrontare una emergenza mai conosciuta prima. Pensiamo alla fase due come ad una lenta risurrezione dal trauma. La nostra fantasia vorrebbe tagliare finalmente i ponti con l’orrore, dimenticare l’incubo, ricominciare, pensare l’inizio come un ricupero del mondo com’era prima del virus, la sua guarigione come una restitutio ad integrum. Ma questa è, appunto, solo una fantasia infantile e fatalmente regressiva che vorrebbe sopprimere l’asperità della terra di mezzo: il disastro non è infatti alle nostre spalle perché vi siamo e vi saremo ancora tutti immersi per molto tempo. Il tempo critico e doloroso del trauma non è finito ma, anzi, condizionerà pesantemente il nostro avvenire.
Sicché la riapertura (fase 2) non è la semplice antitesi della tesi della chiusura (fase 1), per la semplice ragione che l’intrusione del virus nelle nostre vite non si è esaurita.

Segue qui (Vai a pubblicazioni, articoli, data indicata sopra)

https://www.massimorecalcati.it/articoli

Massimo Ammaniti: “Tra gli italiani vince la responsabilità di gregge”

Lo psichiatra promuove la prima giornata della Fase 2: “Ora ci troviamo nell’Agorà. Responsabili e inaspettatamente orgogliosi”

di Adele Sarno, huffingtonpost.it, 5 maggio 2020

“Gli italiani stanno dimostrando un grande senso di responsabilità. Hanno interiorizzato le regole che sono state date durante il lockdown e oggi sono pronti ad affrontare la Fase 2 con la stessa serietà. Merito ‘dell’effetto gregge psicologico’, siccome tutti stanno a casa e sono responsabili, allora lo sono anche io”. Il professor Massimo Ammaniti, psicoanalista e neuropsichiatra infantile, parla ad HuffPost degli italiani alle prese con la convivenza con il Coronavirus e della capacità di gestire una situazione di emergenza come questa. “Ora ci troviamo nell’Agorà, e questa è troppo ampia per cui bisogna continuare a mantenere dei comportamenti di autocontrollo”.

Professore Ammaniti, è il primo giorno della Fase 2 e non ci sono stati assembramenti, e laddove le regole non erano chiare è prevalso il buon senso e i cittadini si sono autogestiti. Siamo diventati un popolo esemplare?

“In questi due mesi gli italiani hanno interiorizzato le regole che sono state date, le hanno assorbite e fatte proprie. Nonostante le sofferenze, i fastidi, le ansie, la gente si è resa conto che questa è una pandemia, e che bisogna evitare il contagio. È come se tutti si sentissero responsabilizzati verso se stessi ma anche rispetto agli altri. Nelle famiglie, per esempio, genitori, adolescenti e bambini, hanno accettato di non vedere i nonni per proteggerli. Per cui nonostante le attese, e nonostante alcuni episodi limitati di trasgressione, le persone hanno accettato le limitazioni. E lo hanno fatto tutti. Anche i giovani, e soprattutto gli adolescenti. Potevano esserci reazioni di sfida, di insofferenza, di rabbia e invece è prevalso il buonsenso. Io lo chiamo effetto gregge psicologico, siccome tutti stanno a casa e sono responsabili, allora lo sono anche io. E questo è l’atteggiamento che prevale anche nella Fase 2″.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/massimo-ammaniti-fase2-coronavirus_it_5eb01568c5b6185e91f37a13

 

Quattro domande sul desiderio

di Massimo Recalcati, Silvia Lippi, Matteo Lancini, doppiozero.com, 7 maggio 2020 

La pandemia scatenata dal coronavirus ha modificato, e probabilmente modificherà ancora anche a breve scadenza, i comportamenti che riguardano i corpi e le relazioni fisiche tra gli esseri umani. Ti chiediamo di rispondere ad alcune domande per capire in che modo a tuo parere potrà cambiare tutto questo. 

1. Il desiderio di prossimità, la necessità di abbracciarsi, di scambiarsi segni di reciproco affetto e di amore, sembrano oggi aboliti a causa dei timori che i contatti possano generare veicoli di trasmissione del virus, così che la paura ha preso il sopravvento: possiamo essere gli untori dei nostri partner, genitori, amici. Desiderio e paura si escludono o possono coesistere e con quali conseguenze? Cosa determinerà – in una fase di coesistenza con il virus – l’impossibilità di riprendere la dimensione fisica, corporea, di alcune relazioni, in particolare quelle con gli anziani?

Massimo Recalcati, psicoanalista 

Cammino sul marciapiede di una via di Milano e di fronte a me vedo avvicinarsi la sagoma di un mio simile. Scatta un sentimento di solidarietà spontaneo, di accomunamento, di condivisione. Stiamo vivendo insieme una prova difficile, siamo circondati dalla morte, dalla paura, siamo smarriti. Il primo moto è quello di avvicinarmi e scambiare la parola. L’abbraccio è reso impossibile dalla necessità del distanziamento sociale. Ma la parola no. Allora potrei chiedere al mio simile come vive, cosa pensa di questa situazione, come resiste. Ma quasi in sincronia con questo primo sentimento di solidarietà scatta in me un altro sentimento: quello della diffidenza e del sospetto. Se fosse, il mio simile, a portare il virus, ad essere un suo possibile diffusore? Questo pensiero mi raffredda e mi rende lucido.

Più sotto il link per la conclusione del testo dell’autore e i contributi degli altri autori. 

Silvia Lippi, psicoanalista  

Nel periodo di confino, “il desiderio di prossimità nei confronti dell’altro, la necessità di abbracciarsi, di scambiarsi segni di reciproco affetto e di amore” come scrivete, non sono per forza aboliti, ma sospesi. Sospesi nel senso di “rimandati”, “spostati”, “immaginati”. L’isolamento incrementa l’immaginazione, che non nuoce di certo in questi momenti speciali della nostra vita. Immaginare di riabbracciare i propri cari anche se non si sa quando, è una sensazione potente e attiva, sempre se si riesce a non farsi prendere dalla paura dell’abbandono, della perdita, e dal bisogno immediato di essere dove non si può essere. Mi sono resa conto, ascoltando i miei pazienti anche a distanza, delle incalcolabili risorse del desiderio, che persevera nel suo essere, come direbbe Spinoza, fino a quando non trova una causa esteriore che lo blocca. Il Covid-19, secondo me, non l’ha bloccato questo desiderio, per lo meno nella maggioranza delle persone che ho incontrato, nella vita e nella mia pratica di psicoanalista, ad eccezione ovviamente dei casi di morte.

Matteo Lancini, psicoanalista

Quando pensiamo al rapporto dialettico che gli individui hanno con la dimensione del desiderio va fatto un distinguo e una premessa che consenta di inquadrare più propriamente di cosa si stia parlando. Il primo punto riguarda l’età di chi desidera e il secondo riguarda la rappresentazione soggettiva che assume l’oggetto del desiderio da parte di chi lo desidera. Pensando alle generazioni nate fino alla prima metà degli anni settanta, possiamo ritrovare una capacità di dialogare con il desiderio come dimensione che fa parte della crescita e della quotidianità del soggetto. In questa cornice, aumento del desiderio, rinuncia al desiderio, confronto tra desiderio e realtà possono essere considerati oggetti di una dialettica attiva che si confronta con gli eventi e il susseguirsi degli ostacoli, più o meno intensi, con cui la soddisfazione del desiderio si trova costretta a fare i conti. Desiderio e paura ai tempi del coronavirus diventano i poli dialettici nella mente di adulti che di fronte ai divieti possono posizionarsi lungo un continuum che ha due estremi. Da un lato chi di fronte al giogo sente una pressione desiderante maggiore, incontenibile, che muove all’azione come forma bioniana di difesa (l’attacco), dall’altro chi invece risponde al rischio e al divieto paralizzandosi, spegnendosi, fuggendo quindi dal desiderio e riuscendo ad addomesticarlo fino a neutralizzarlo.

Tutti i contributi sono qui disponibili:

https://www.doppiozero.com/materiali/quattro-domande-sul-desiderio

Mezz’ora col Corriere, come la nostra mente reagisce alla pandemia? intervista allo psicoterapeuta Luigi Zoja

L’emergenza sanitaria, la quarantena e ora la fase 2: le ripercussioni psicologiche di una situazione senza precedenti

di Roberta Scorranese, CorriereTv, 4 maggio 2020

Fonte: https://www.facebook.com/corrieredellasera/videos

Sulla soglia della fase 2, il diritto ad aver paura

di Giuseppe Saraò, huffingtonpost.it, 4 maggio 2020

È iniziata la “mitica” fase 2, tanto attesa e desiderata dopo un confinamento duro e doloroso. Le autorità ci hanno costretto a una vita di clausura, hanno scelto la salute pubblica pur fra tante esitazioni e contraddizioni. Ma è anche vero che in queste settimane sono emersi un senso della collettività che pensavamo di non avere, comportamenti di responsabilità e movimenti di solidarietà, un sentirsi sulla stessa barca di fronte a una tempesta paurosa e smisurata. Adesso si cominciano a fare dei bilanci, ci sono perdite di vite umane e famiglie che non hanno avuto il diritto di seppellire i propri morti. Si riscopre la necessità di una sanità pubblica efficiente, sanità spesso bistrattata in questi anni da tagli e ristrutturazioni selvagge. Inoltre, sempre di più emergono preoccupazioni per le sorti dell’economia; alcuni mestieri e professioni sono in grande difficoltà (pensiamo ai liberi professionisti, al settore del turismo, della ristorazione…), soprattutto si respira, insieme alla speranza di ripartire, un clima di incertezza per quello che accadrà.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/sulla-soglia-il-rifugio-e-la-paura-di-affrontare-lo-spessore-della-realta_it_5eafb864c5b64d204962b114

Cosa ci aspetta fuori?

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 3 maggio 2020

Confesso di avere un’antica ruggine con il sostantivo „congiunto“. Fin da quando, bambino, raccontai un’innocente barzelletta usando il termine in modo inappropriato e una mia zia, maestra, me ne chiese arcignamente conto guastando quel poco di ironia che mi sforzavo di suscitare e facendomi arrossire come un peperone. Dalla paradossale situazione giuridico-cabarettistica di questi giorni devo dedurre che anche gli altri 60 milioni di concittadini hanno analoghe difficoltà linguistico-semantiche e che il governo le ha risolte solo ieri. Al di là della facile ironia, la cosa è, come spesso in Italia succede, tragica essendo specchio di un assurdo rapporto di potere tra cittadini e istituzioni ben descritto dal Tweet di @stefanoepifani:

Anni di battaglie civili, e poi arriva uno Stato che si arroga il diritto – senza alcuna reale motivazione collegata alla sicurezza – di dirci chi possiamo vedere e chi no, entrando nel merito del valore delle relazioni. Che – per questo si – si dovrebbe subito scendere in piazza

Se poi confrontiamo la querelle italiana sul congiunto con la chiarezza esplicativa e la serietà scientifica del discorso della Merkel abbiamo non solo lo spaccato della distanza che in termini di educazione civica e scientifica ci separa dalla Germania e da tanti altri paesi ma anche una veritiera fotografia delle aspettative reciproche di Stato e cittadini in Italia in tempi di Coronavirus.

Segue qui:

Cosa ci aspetta fuori?

Non è che con lo smart working stiamo lavorando troppo?

Una nuova ricerca condotta negli Stati Uniti ha scoperto che le ore di lavoro da casa sono aumentate. Due esperti spiegano perché in lockdown è così difficile staccare (e come riuscirci)

di Marzia Nicolini, vanityfair.it, 2 maggio 2020

La modalità di smart working messa in atto dalla maggior parte delle aziende durante la pandemia di Covid-19 sta avendo un fortissimo impatto sulle ore di lavoro effettive. Che sembrano aumentate a dismisura.

PIÙ ORE DAVANTI AL PC CON IL LAVORO DA REMOTO
In queste settimane di quarantena, la società NordVPN (specializzata in fornitura di servizi di rete) ha condotto un’indagine negli Stati Uniti, scoprendo che, in media, la giornata lavorativa da casa si è allungata di quasi il 40%. Vale a dire che in lockdown, gli americani lavorano fino a 11 ore al giorno, invece che le canoniche 8. E, a giudicare dai commenti sui social e dai tanti articoli dedicati al tema, pare sia una realtà estensibile a tutte le nazioni in quarantena: per i lavoratori da casa, la difficoltà di staccare è tanta e a questo spesso si aggiungono richieste senza limiti di orario da parte di capi e colleghi, oltre a una certa ansia che spinge a volersi mostrare iper produttivi per non perdere il proprio lavoro o ruolo.

Segue qui:

https://www.vanityfair.it/mybusiness/news-mybusiness/2020/05/02/smart-working-coronavirus-lavoro-da-casa

Quarantena e depressione

Chi è più esposto è bene che chieda immediato aiuto psicologico e psichiatrico non appena aumentano l’angoscia e la mancanza di speranza

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 2 maggio 2020

Preoccuparsi per il futuro e pensare a come sarà la ripresa che si profila o immaginare quando potremo tornare a fare le cose di prima, è cosa comune durante la quarantena. Ma allo stesso tempo, com’è stato evidenziato da uno studio pubblicato di recente sulla rivista scientifica The Lancet, il lockdown che oltrepassa i 15 giorni, produce stress i cui sintomi immediati sono quelli dell’ansia severa. La forzata clausura mette in moto un flusso continuo di pensieri spesso intrusivi e negativi e scatena paure irrazionali. Pare non conti tanto che le fonti d’informazione siano affidabili e nemmeno che si sappia come difendersi per contrastare la diffusione del contagio. Bastano le tante immagini invasive della pandemia, quelle degli ospedali o dei camion con le bare, a scatenare una continua e angosciata ruminazione.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/98754-quarantena-e-depressione-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo%2C-psicoanalista.html

Psicoanalisi del Covid da un letto di ospedale

Cosa succede quando è un medico a trovarsi dall’altra parte della barricata? Il diario di uno psicoanalista milanese che, colpito dal virus, ha trascorso due settimane in terapia subintensiva condividendo incubi e gioie di colleghi e infermieri. A cui ora può dire grazie

di Pietro Roberto Goisis, Venerdì di Repubblica, 1 maggio 2020

Non sapevo cosa sarebbe successo. Fin dall’inizio dell’emergenza il mio stato d’animo era sereno. Consapevole della situazione che si stava profilando, attento alle norme comportamentali, vivevo in una sorta di convinzione onnipotente che non sarei stato contagiato, che avrei dovuto proteggere gli altri e dare il buon esempio. Ancora ignoravo che quello del 29 febbraio e 1° marzo 2020 sarebbe stato l’ultimo weekend di libertà. Ero tornato a Milano domenica sera. Accolto a Malpensa con termometri a infrarossi. Niente febbre. L’aeroporto sembrava blindato, surreale. Questo, se ci ripenso, è stato il primo momento di paura. Ma io sono stato attento, non sono mai uscito, non ho visto nessuno. Solo i miei pazienti. Sani. “Dottore… per davvero, come sta?”. Con questa domanda Edgardo apriva la prima seduta della settimana zero del Covid-19. È lunedì 24 febbraio, mattina presto, ha chiesto di non venire di persona, ma di parlarci via Skype. È un giovane uomo, elegante e flessuoso, famiglia della buona borghesia, che lavora con passione in campo artistico. In genere, pur coinvolto nel nostro percorso, mantiene un certo signorile distacco, tale da farmi ogni tanto interrogare sul suo effettivo coinvolgimento nella terapia.

Segue qui:

il venerdì di Repubblica 1/05/20 Psicoanalisi del Covid da un letto d’ospedale. R. Goisis

https://rep.repubblica.it/pwa/venerdi/2020/04/30/news/diario_dello_psicoanalista_roberto_goisis_malato_guarito_di_covid-255211862/

Coronavirus, l’intelligenza artificiale per evitare assembramenti: “Usiamo webcam ma garantiamo la privacy”

di Andrea Lattanzi, video.repubblica.it, 29 aprile 2020

“L’imminente arrivo della fase-2 dell’emergenza covid aumenterà il ricorso a queste tecnologie”. Mario Puccioni, psicanalista e fondatore della start-up Binoocle, spiega come funziona Vision2, un sistema che unisce elementi di intelligenza artificiale e di computer vision per “monitorare comportamenti a rischio contagio in ambienti sociali e commerciali”. “Lavora implementando un software anche su semplici webcam che – racconta Puccioni – è in grado di comprendere se in un dato ambiente c’è un numero di persone maggiore di quello preimpostato, oppure di stabilire se un soggetto indossa o meno una mascherina. In caso negativo emette un suono per avvisare”. L’idea, nata tra Firenze e Milano durante l’emergenza Covid, ha già trovato applicazioni commerciali ma mira anche a conquistare spazi pubblici e culturali, “come parchi, teatri o musei”. Aspetto particolarmente caro a Binoocle sembra essere quello della privacy: “Vision2 funziona più come un sensore, non produce registrazioni né dati”. Questo tipo di tecnologia, sviluppata anche in ambito di ricerca accademica, non utilizza software di riconoscimento facciale.

Qui il video:

https://video.repubblica.it/tecno-e-scienze/coronavirus-l-intelligenza-artificiale-per-evitare-assembramenti-usiamo-webcam-ma-garantiamo-la-privacy/359260/359814

La fine del culto dell’io

di Marco Grieco,  vaticannews.va, 30 aprile 2020

Con oltre 26 mila vittime italiane risultate positive al covid-19, tutti noi, più o meno indirettamente, ci siamo confrontati con la morte. Le immagini delle salme nei cimiteri deserti, le testimonianze del congedo di tanti anziani schermati da un display digitale, ci rivelano una verità semplice: che la morte è unita alla vita, e non esiste vaccino o pseudo-verità che possano separarla. Viene in mente la pagina del diario di Etty Hillesum in cui la scrittrice olandese, commentando la ferocia della Shoah, scriveva: «Sembra quasi un paradosso: se si esclude la morte non si ha mai una vita completa; e se la si accetta nella propria vita, si amplia e si arricchisce quest’ultima» (Etty Hillesum, Diario, 3 luglio 1942). Alla luce degli eventi traumatici che stiamo vivendo, lo psicoanalista e accademico Massimo Recalcati riflette su una nuova presa di consapevolezza. Se è vero che il coronavirus ha trovato un uomo impreparato ad affrontare le sfide, questa potrebbe rivelarsi come l’occasione feconda per ripensare al punto nodale della vocazione umana: la fratellanza, l’unico strumento di difesa della vita contro la morte.

Professore, qual è la lezione principale che ci sta dando il virus?

È una lezione traumatica e dolorosissima. Ma sarebbe ancora più drammatico e doloroso se non riuscissimo a tenere conto di questa lezione, ricominciando a vivere come prima, come se nulla fosse accaduto. Questa lezione riguarda per me due grandi temi. Il primo è quello della libertà. Il covid-19 insegna che quella concezione della libertà che abbiamo coltivato in Occidente negli ultimi decenni, la libertà come proprietà individuale, come arbitrio della volontà, è una concezione vuota e monca. Nessuno può salvarsi da solo, perché la forma eticamente più alta della libertà è la solidarietà. Nel testo biblico c’è un passaggio intenso in Qoèlet dove si dice che se uno cade c’è bisogno di un altro per rialzarsi, se uno cade ed è solo, non può rialzarsi. È la prima lezione tremenda del virus. La seconda riguarda la violenza ecocida dell’uomo. Papa Francesco ci aveva ammoniti nella sua Laudato si’: noi non siamo padroni della natura. L’umanismo non può essere confuso con la furia antropocentrica del dominio dell’uomo sulla natura. Quello che sta accadendo ha come presupposto il superamento di un limite. Abbiamo violentato il nostro pianeta. La violenza dell’epidemia è una violenza di ritorno della nostra stessa violenza.

Segue qui:

https://www.vaticannews.va/it/osservatoreromano/news/2020-04/la-fine-del-culto-dell-io.html

Cinque domande sullo scenario futuro II

di Nicole Janigro, doppiozero.com, 29 aprile 2020

1. Quali saranno a tuo parere i principali cambiamenti che la pandemia del coronavirus ha prodotto? Provando a differenziare tra aspetti sociali, economici e culturali.

Come nel gioco tradizionale un, due, tre, stella!, il mondo si è immobilizzato quando il coronavirus lo ha guardato. Una fotografia in formato planetario ci ritrae, contemporaneamente, uniti e divisi. Uniti dalla universale condizione umana, divisi per età e sesso, nord sud est ovest del mondo, poveri e ricchi, residenti e migranti, bianchi e neri, e tutti gli others, tra chi abita case e chi baraccopoli. Oppure è homeless. Il coronavirus agisce democraticamente, ma seleziona socialmente. Come accade nei dipinti di Egon Schiele, che scandagliano l’infrastruttura nascosta del corpo, ci ha fornito una lastra da studiare. Ha permesso di guardare qualcosa che, sotto, albergava, ma restava celato: un virus invisibile ha scoperchiato il visibile. Il lockdown ha agito da rilevatore della tipologia psicologica individuale, ha enfatizzato le caratteristiche del sistema glocal. Ha già prodotto movimenti di popolazioni, denaro, affetti e pulsioni. Ha costretto tutti a diventare consapevoli delle modalità di separazione e di attaccamento, a scoprire, come capita nelle emergenze, le nostre miserie e le nostre nobiltà. La minaccia esterna, soprattutto nelle metropoli, ha concentrato lavoro e famiglia, energie ed interessi indoor, il quotidiano è diventato il centro di gravità permanente. Pubblico e privato si sono fusi in una simbiosi sola. Pochi metri quadrati hanno sintetizzato il casa-lavoro femminile e maschile, la solitudine dei vecchi diventata emarginazione, l’orizzonte vuoto dei giovani che le crisi le patiscono di più (perché hanno meno storia alle spalle, e la recessione del 2008 hanno appena immaginato di superarla), l’interdizione dello spazio per i bambini. Si avverte forte il bisogno di pensare politicamente, nel senso della polis. Le modalità di diffusione del virus sottolineano l’interdipendenza tra l’io e il noi. L’emergenza legittima il desiderio di utopia che, nel caso italiano, alla fine degli anni Settanta del Novecento, si era drammaticamente interrotto, producendo diffidenza nei confronti di ogni proposta di cambiamento radicale. Il movimento di protesta si è atomizzato in isole di testimonianza, soprattutto civile (il volontariato italiano coinvolge 6 milioni e mezzo di persone, il 12,6 della popolazione) e sopperisce alla crisi del welfare (la Croce Rossa è volontaria!). La ricostruzione del post-virus qui trova risorse. Anche l’esperienza femminile potrebbe rappresentare modalità di scambio più capaci di comporre il ritmo pubblico con quello privato.   La solidarietà prodotta dal nemico unico si può rinfrangere nel momento del ritorno outdoor. Perché, e penso all’Italia, la diseguaglianza economica si sta già intrecciando all’insensatezza della burocrazia e dell’amministrazione statale, e la perdita di fiducia sociale (un tema della sociologia delle società post-comuniste) rende difficile credere a una società civile.Dal punto di vista economico si ipotizza una Grande Depressione, le prospettive, però, sono fortemente segnate dalle forme economiche e sociali, dalle tradizioni culturali nazionali.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/cinque-domande-sullo-scenario-futuro-2

Cinque domande sullo scenario futuro II

di Gustavo Pietropolli Charmet, doppiozero.com, 29 aprile 2020

1. Quali saranno a tuo parere i principali cambiamenti che la pandemia del coronavirus ha prodotto? Provando a differenziare tra aspetti sociali, economici e culturali

Ha dimostrato la facilità con la quale sarebbe possibile effettuare un colpo di stato e abolire le libertà democratiche da parte di un comitato tecnico scientifico in nome della “protezione civile” e della “Salute pubblica”. Ha dimostrato la disponibilità dei nuclei familiari a mobilitarsi per difendere i propri cuccioli, proteggere gli anziani in considerazioni della inefficienza pericolosa della cultura dei vertici amministrativi e politici che ha trasformato le strutture sanitarie di “eccellenza” in centri pubblici di diffusione del virus grazie ai tagli della spesa e alla resa alla sanità privata.

2. Due questioni sono emerse con evidenza da questa crisi sanitaria: la globalizzazione economica e la comunicazione planetaria; a tuo parere, anche se difficile fare previsioni, come cambieranno le cose? 

È difficile fare delle previsioni.

3. Negli ultimi decenni si è parlato ampiamente della crisi dei temi umanistici, dell’umanesimo tradizionale, a vantaggio della tecnologia e della scienza come motori dello sviluppo e del cambiamento. A tuo parere sarà ancora così o l’elemento umanistico, coi suoi valori, torna di attualità? E di quale umanesimo si tratterà?

Potrebbe darsi che gli straordinari effetti positivi che ha avuto il blocco delle attività produttive e della circolazione delle persone sull’inquinamento convinca dell’utilità di moderare lo strapotere della “scienza” e della tecnologia a vantaggio di una organizzazione mondiale che metta in primo piano la condizione umana e la sua fragilità.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/cinque-domande-sullo-scenario-futuro-2

Più autonomi, meno indipendenti

di Luigi Ballerini, sicilianpost.it, 28 aprile 2020

Il coronavirus ha colpito i nostri corpi, ha provato a mettere in ginocchio l’economia, ha fatto riscrivere le norme di comportamento e ci ha costretti a ridisegnare la socialità. Non poteva non colpire le nostre famiglie anche a livello dei rapporti. A questo riguardo, però, non ha creato nulla di nuovo, ha piuttosto svelato. Si è comportato come fosse una novella cartina al tornasole. Sappiamo che quella tradizionale è in grado di rilevare se un ambiente è acido, virando al blu, o basico, virando al rosso. Allo stesso modo, questa così nuova ha saputo rilevare e rivelare se i rapporti andavano già bene o se zoppicavano. In qualche caso ha semmai funzionato da enzima in un processo di catalizzazione. L’enzima, infatti, prende parte a una reazione, la facilita, la accelera ma ne esce inalterato. Così ha fatto il virus.

Non ha avuto il potere di rovinare o aggiustare i rapporti, li ha messi alla prova. Lo ha fatto nel senso più proprio del termine, ossia ha provato la loro tenuta. All’improvviso le porte delle nostre case sono diventate barriere invalicabili e le mura, nuovi confini di una geografia segregativa, hanno rigidamente distinto un fuori e un dentro. Nessuna più fluidità né possibilità di contatto e interazione. Così costretti a una convivenza forzata e ineludibile, potevano i rapporti familiari non restarne affetti? È pertanto successo che dove le cose andavano bene prima hanno continuato a farlo anche nella costrizione del lockdown, certo non senza qualche litigio e insofferenza dati dalla vicinanza stretta e dalle tante preoccupazioni che sono insorte negli animi. Fra i più giovani talora si è verificata persino una riscoperta di fratellanze e sorellanze, sono insorte nuove complicità, si sono stabilite impreviste alleanze, certi legami che sembravano essersi raffreddati con il tempo si sono inaspettatamente ravvivati, si sono riattivate passioni condivise e attività creative. Lo stesso è accaduto ad alcuni adulti che hanno visto rinnovare il loro legame riscoprendosi capaci di gesti di attenzione e di cura reciproca che si erano smarriti dentro la distrazione e la fretta della quotidianità, è ripreso un flusso di parola fatto di rispetto e ascolto reciproco. Per tutti stare insieme forzatamente è risultato pesante e difficile in alcuni momenti, ma ad alcuni, in fondo, non è andata poi così male.

Segue al link qui sotto, dove scaricare l’E-Book di Autori Vari “Il giorno dopo”:

L’era dell’autorevolezza: 27 visioni per il mondo che verrà nell’e-book “Il giorno dopo”

Ciò che ci rende umani, malgrado tutto

di Amedeo Falci, huffingtonpost.it, 28 aprile 2020

Nella ricorrenza del 25 aprile, in qualche intervento si è letto ‘non temo il virus perché ho già convissuto con la paura della guerra e della lotta partigiana’. Ecco il punto. Le paure della malattia, anche in un’epidemia grave, diventano più realisticamente affrontabili se si riesce a porli nella dimensione relativa di altre esperienze traumatiche da cui si è riusciti a recuperare un senso. Questo non vuol dire che bisogna essere stati in guerra. Ma che certamente nella prima parte dell’onda infettiva si è avuto un diffuso senso di shock e paralisi rispetto all’emergenza traumatica. Impreparati ad una dimensione apocalittica. A causa della nostra cultura postmoderna che ha alimentato l’illusione di un’esistenza garantita da irruzioni catastrofiche. O forse per la diffusa laicizzazione che ha smontato l’attesa di castighi epocali e biblici (niente cavallette, per adesso). L’irruzione epidemica ha comunque sconvolto le nostre irrealistiche sicurezze, determinando un primo impatto rallentato, stupito, negazionista. È occorso più di un mese perché ci si rendesse conto che l’invasione era già in atto. La necessità di un lockdown sociale per bloccare la diffusione virale ha insieme salvato, protetto, ma anche inibito quelle reazioni difensive al pericolo basate sulla iperattivazione, sul movimento, sull’escogitare idee di fuga e di ‘combattimento’.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/cio-che-ci-rende-umani-malgrado-tutto_it_5ea7f01bc5b6dd3f908a8bfb

Il modo giusto di vivere l’isolamento

di Slavoj Žižek, internazionale.it, 19 aprile 2020

Permettetemi di cominciare con una confessione personale: mi piace l’idea di essere confinato nel mio appartamento con tutto il tempo a disposizione per leggere e lavorare. Anche quando viaggio, preferisco stare in una bella camera d’albergo e ignorare tutte le attrazioni del posto. Leggere un buon saggio su un quadro famoso per me è meglio che vedere lo stesso quadro in un museo affollato. Ma ho notato che ora questo mi rende più difficile, non più facile, essere costretto a stare a casa. Perché? Lasciatemi citare ancora una volta la famosa battuta del film di Ernst Lubitsch Ninotchka: “Cameriere! Un caffè senza panna, per favore”, “Mi dispiace, signore, non abbiamo panna, solo latte, va bene anche un caffè senza latte?”. A livello pratico, il caffè rimane lo stesso, l’unica cosa che possiamo fare è trasformare il caffè senza panna in caffè senza latte, o ancora più semplicemente, aggiungere la negazione implicita e fare di un caffè semplice un caffè senza latte. Rispetto al mio isolamento non è la stessa cosa? Prima della crisi era un isolamento “senza latte”. Sarei potuto uscire, ma sceglievo di non farlo. Ora è il semplice caffè dell’isolamento senza possibilità di una negazione implicita.

Il mio amico Gabriel Tupinamba, uno psicanalista lacaniano che lavora a Rio de Janeiro, in un’email mi ha fatto notare questo paradosso: “Le persone che già lavoravano da casa sono le più ansiose e le più esposte al rischio delle peggiori fantasie d’impotenza, perché a determinare la singolarità di questa situazione nella loro vita quotidiana non è un cambiamento di abitudini”. Il concetto è complicato ma chiaro: se non c’è stato un grande cambiamento nella nostra realtà quotidiana, il pericolo viene vissuto come una fantomatica fantasia senza precedenti e per questo ancora più potente. Non ci dimentichiamo che nella Germania nazista l’antisemitismo era più forte nelle zone in cui la presenza degli ebrei era minima: la loro invisibilità li rendeva fantasmi terrificanti.

Segue qui:

https://www.internazionale.it/opinione/slavoj-zizek/2020/04/19/vivere-isolamento

Accettare il dopo

di Giuliano Castigliego giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 26 aprile 2020

Siamo alla soglia del dopo. Nonostante desideriamo come mai uscire finalmente da casa, spostarci liberamente senza più autocertificazione, incontrare chi vogliamo, riprendere le nostre attività e le nostre abitudini, e magari andare anche dal barbiere, abbiamo a tratti paura, di precipitare nell’ignoto dopo il 4 maggio, come se stessimo varcando le colonne d’Ercole. Sulle indicazioni del governo e sui suggerimenti delle svariate task force che l’hanno consigliato potremo, si sa, contare relativamente. Se e quando arriveranno, le nuove regole si presteranno alle più svariate interpretazioni e le interpretazioni delle norme riempiranno probabilmente più pagine di quelle dei sogni. Dovremo arrangiarci per conto nostro. Per fortuna ci siamo avvezzi. In Germania la cancelliera Merkel ha saputo spiegare con parole semplici concetti statistici e morali complessi, negli USA Trump ha violentato in poche battute principi chimi e fisici basilari della medicina, a noi illustreranno verosimilmente la retorica degli abbracci ritrovati a rate. A ciascuno (democraticamente) il suo.

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Accettare il dopo

Genitori e bambini. Il gioco come via d’uscita all’angoscia

Aiutare il figlio ad avere una prospettiva di fiducia nella vita fa bene anche al genitore

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 26 aprile 2020

Richiusi forzatamente in casa le relazioni genitori e figli, sono decisamente mutate e le dinamiche che le alimentano nuove e inusuali. Oggi vengono narrate attraverso contatti fisici continui dove distanza e vicinanza hanno perso di significato e, forse, annullato il confine e lo spazio personale dell’intimità. Voci e sguardi, pensieri e azioni, pause e necessità individuali intrecciati a di stati d’animo ambivalenti e difficili da gestire per chiunque. Se prima di questa clausura forzata, la relazione seguiva l’intermittenza scandita dalla giornata di lavoro degli adulti, dai tempi della scuola dei figli e dall’andirivieni delle cose quotidiane, degli interessi e dei bisogni più o meno autentici dei vari membri, adesso tutto è continuo e forzatamente costretto dentro al perimetro corto delle stanze.

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https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/98556-genitori-e-bambini.-il-gioco-come-via-d%E2%80%99uscita-all%E2%80%99angoscia.html

Sepolti simboli del taglio con la vita

La civiltà nell’era del Coronavirus. La nostra storia psichica reagisce alla contingenza di una perdita sulla base dei vissuti remoti di altri lutti, anche simbolici: dal Freud del 1915 a Jung, a Hadot, a Harrison

di Romano Màdera, ilmanifesto.it, 26 aprile 2020

Da che la specie umana ha vita, ogni perdita dei nostri cari è accompagnata da gesti che ritualizzano l’espressione dei sentimenti, e anche da questa prospettiva, la mutilazione dei rituali del lutto è una strage emotiva che si aggiunge. L’impossibilità di salutare il morente, di dare sepoltura al suo corpo ricapitolandone la memoria, non è un effetto collaterale del coronavirus (come di altre epidemie) ma una delle sue più amare e traumatiche conseguenze. L’impossibilità di seppellire i morti – nella tradizione cattolica la «settima opera di misericordia corporale» – rende esponenziale l’angoscia, che si nutre della mancata possibilità di onorare i defunti. Come per i morti di guerre da noi lontane, come per i naufraghi nei mari a noi vicini, un taglio interviene nell’unica forma di vita che ci rimane durante e dopo il lutto, investendo la consistenza anche simbolica della vita.

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https://ilmanifesto.it/sepolti-simboli-del-taglio-con-la-vita/

Meritiamo il diluvio?

di Massimo Recalcati, La Repubblica – Robinson, 25 aprile 2020

Abbiamo forse meritato il male a causa del nostro fare il male? Abbiamo reso maledetta la terra a causa del nostro maledire la terra? Abbiamo dovuto subire una devastazione senza precedenti perché siamo stati i protagonisti di una più estrema devastazione? Sono queste le domande principali che la vicenda biblica del diluvio e del profeta Noè rilancia con sconcertante attualità. Il diluvio biblico non è forse una delle immagini mitiche più dirompenti della maledizione che colpisce il genere umano? Nel suo racconto sappiamo che all’origine della violenza divina che decreta l’annientamento del creato attraverso la furia delle acque è la malvagità umana che consiste nell’aver disprezzato il dono della creazione: «Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre» (Gn, 6, 5). La decisione di Dio di ricorrere al mezzo estremo del diluvio reagisce alla violenza senza limiti dell’uomo.

Segue qui:

Segue qui (Vai a pubblicazioni, articoli, data indicata sopra)

https://www.massimorecalcati.it/articoli

Parla lo psicanalista Maurizio Montanari: “Emergenza suicidi, perdere il lavoro per qualcuno è perdere la vita”

La pandemia ha contribuito a acuire sofferenze pregresse dell’anima non sempre visibili

di Marta Migliardi, quicomo.it, 24 aprile 2020

Il suicidio è un tema delicato da affrontare, sempre. Ancora di più in un momento dove le fragilità individuali sono esposte per l’incertezza da cui siamo bombardati in questo periodo di crisi mondiale. Non sono aggiornati i numeri, ma è indubbio che una situazione come quella creata dal coronavirus potrebbe aumentare i casi di suicidio. Ne parliamo con il noto psicoanalista Maurizio Montanari, Responsabile del centro di psicoanalisi LiberaParola e collaboratore del Fatto Quotidiano, che ci mette a disposizione la sua esperienza e la sua professionalità. In primo luogo, infatti, è bene affrontare questi temi con persone realmente preparate. «Cominciamo con lo specificare che è sbagliato dire che è l’isolamento che porta necessariamente a gesti estremi, dice Montanari, piuttosto è più probabile che ci siano problematiche e patologie pregresse che, in molti casi sono compensate dal lavoro e quindi, venendo a mancare l’impegno quotidiano nonché l’ingaggio col legame sociale, vengono a galla». In questo senso è sbagliato o comunque una semplificazione scorretta parlare di suicidi legati al coronavirus.

Segue qui:
https://www.quicomo.it/attualita/coronavirus/psicanalista-maurizio-montanari-emergenza-suicidi.html

Umano/disumano. Verso quale forma di umanità?

di Lorena Preta, huffingtonpost.it, 23 aprile 2020

Ci si chiede come sia potuto accadere. Come abbiamo potuto anche solo concepire che i nostri cari possano morire da soli, che possano essere sepolti senza un rituale di alcun tipo, che i vecchi diventino improvvisamente una categoria onnicomprensiva, tutti uguali qualunque cosa facciano, qualunque stato psicofisico abbiano, solo corpi fragili da difendere fisicamente. Cosa è successo? E’ come se ogni evento umano fosse diventato malattia. Non solo il Covid è malattia, ma la realtà umana nei suoi vari aspetti è vissuta come malattia. O almeno questo sembra essere passato nella mentalità diffusa, almeno fino a pochi giorni fa, qualche volta dolorosamente ma per lo più passivamente, come un dato di fatto a cui non si può reagire in alcun modo.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/umanodisumano-verso-quale-forma-di-umanita_it_5ea2cae9c5b6d376358dcc29

Quel bisogno d’incontro che ci fa alzare al mattino

di Mariolina Ceriotti Migliarese, avvenire.it, 23 aprile 2020

Perché dobbiamo alzarci, alla mattina? Questo tempo di forzata distanza dalle consuete attività sta poco alla volta mettendo a fuoco questa domanda, che è centrale per la nostra vita. Ci alziamo per andare a lavorare o per portare i bambini a scuola, ci alziamo per andare in gita, al ristorante, dai nonni, persino a Messa… Ma in questo ormai lungo “non poter fare”, quali sono i motivi che abbiamo per alzarci? È una domanda che di solito la vita pone quando arriva la vecchiaia; ma in questo caso spesso non la prendiamo sul serio e ci limitiamo ad ancorarci al momento presente: le piccole cose, la sopravvivenza. Altre volte è una domanda che irrompe in circostanze particolari, come malattie invalidanti che interrompono i nostri percorsi consueti, o un lutto grave che ci colpisce e ci disarciona. Ma l’eccezionalità dell’evento trasforma in questi casi la domanda e la risposta in questioni intime e personali.

Segue qui:

https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/quel-bisogno-d-incontroche-ci-fa-alzare-al-mattino

Coronavirus: fra desiderio di libertà e fughe impossibili, i nostri sogni nei giorni dell’isolamento

Il virus si è insinuato nel nostro inconscio e si affaccia nelle nostre notti. Scriveteci e lo psicoanalista Vittorio Lingiardi  ci aiuterà a capire come sono cambiate le nostre visioni notturne

di Michela Marzano, repubblica.it, 20 aprile 2020

Contagio, isolamento, lockdown, mascherine, distanza di sicurezza, test, vaccini: è tutto nuovo l’universo linguistico nel quale ci troviamo immersi da alcune settimane. Esattamente come nuove sono le abitudine, le paure e le speranze che scandiscono la quotidianità. Chiusi in casa, siamo tutti a caccia disperata di notizie e informazioni per capire se, come, e quando usciremo dall’emergenza legata alla pandemia Codiv-19. Ma ne verremo mai davvero fuori? E poi? Cosa succederà quando ricominceremo a uscire, a lavorare, a prendere un treno o un aereo? Cosa significherà convivere con un virus ancora in parte ignoto, che ha mietuto ovunque decine di migliaia di vittime, ha costretto tante persone a non poter nemmeno dire “addio” a un parente o a un amico, e ha mandato in tilt l’economia mondiale?

https://www.repubblica.it/cronaca/2020/04/20/news/coronavirus_incubi_e_fughe_impossibili_cosa_sognamo_nei_giorni_dell_isolamento_-254500732/

La psicoanalisi a “distanza sociale”: un mestiere impossibile?

di Cristina Saottini, huffingtonpost.it, 21 aprile 2020

All’inizio è stato uno shock, in pochi giorni, poche ore, siamo passati da una vaga preoccupazione per la salute degli “anziani” a essere chiusi in casa e a dover organizzare la vita intorno a questa nuova, sconvolgente evenienza. Abbiamo cominciato a doverci sentire comunità, a reagire in modo forte e solidale, a cantare dai balconi, a esporre la bandiera, ad affermare che non ci avevano veramente separati. In Lombardia c’era quasi un vago orgoglio nel sentirsi in prima linea, nell’essersi fatti carico della croce. Ma inevitabilmente dopo tutte queste settimane siamo più stanchi e la quota depressiva del trauma si fa sentire, forte. Si avverte di più il collasso dei parametri di spazio e tempo che regolano, senza che ce ne accorgiamo, la nostra quotidianità. A molti capita di non ricordare quale è il giorno della settimana, in questo sabato senza fine.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/la-psicoanalisi-a-distanza-sociale-un-mestiere-impossibile_it_5e9eae9bc5b6b2e5b8379898

Bambini al rientro scolastico

Il tempo del dopo: la mancanza di un confronto diretto tra loro e gli insegnanti potrebbe impedire di «chiudere» mentalmente il brutto capitolo della quarantena

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 20 aprile 2020

È un tempo lungo quello del lockdown, ma ora si comincia a parlare del tempo del dopo, quello della ripresa. Molti però sono gli interrogativi, i dubbi e le domande che affiorano. Riguardano tutti ma in particolare i bambini e il loro rientro a scuola. Come torneranno a sedere nei banchi, a quale distanza, quali attività da fare? Che reazioni avranno all’incontro con gli altri dopo un paio di mesi di sospensione e distanza fisica? Interrogativi necessari perché come tutti noi, anche i bambini possono portare internamente le tracce dello stress prolungato dato dalla quarantena e i motivi dell’angoscia che si è generata. E anche loro hanno bisogno di trovare significati a quello che è accaduto.
Più ancora di bisogno di luoghi e persone con cui condividere le esperienze fatte, non tanto l’oggettività degli eventi vissuti, quanto come sono stati attraversati.
Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/98378-bambini-al-rientro-scolastico-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo%2C-psicoanalista.html

Cinque domande sullo scenario futuro

di Romano Màdera, Claudio Piersanti, Claudio Bartocci, doppiozero.com, 22 aprile 2020

Con queste cinque domande ci prefiggiamo di individuare i nodi che la crisi sanitaria del Covid-19 con le sue conseguenze ha provocato a livello mondiale, con l’idea che, come disse anni fa un economista americano, la crisi, per quanto terribile, è un’occasione da non perdere.

Romano Madera, psicoanalista – 1. Quali saranno a tuo parere i principali cambiamenti che la pandemia del coronavirus ha prodotto? Provando a differenziare tra aspetti sociali, economici e culturali.

Intanto grazie a Doppiozero per avermi invitato a rispondere a queste domande che possono servire a inquadrare il famoso cigno nero. Vorrei però provare a guardarlo secondo una prospettiva anamorfica: un “cigno periodico trasformista”, che ogni tanto appare sotto le forme di virus, ogni tanto di guerra, ogni tanto di conti economici e finanziari che non tornano. Ogni sempre, invece, in catastrofi sociali e psichiche di parti consistenti degli umani. La disuguaglianza sociale sta crescendo da decenni. Dalla crisi del 2008 non si è certo usciti invertendo la tendenza, sempre più evidente dagli anni Ottanta in poi. Basta uno sguardo alle tabelle del World Inequality Report del 2018. Se solo si riuscisse a capire la sentenza di condanna al nostro modo di vivere, di produrre, di consumare che traspare da quei numeri, non potremmo evitare di prendere atto della necessità di trasformazione radicale che si imporrebbe a chi abbia l’ardire di pensare in grande e di guardare lontano. Il virus è certo tremendo di suo, pur se incomparabilmente meno tragico delle epidemie premoderne e moderne (una per tutte, la spagnola, che è già stata ricordata sulle pagine di Doppiozero da Marco Belpoliti), ma funziona anche come meccanismo scatenante di una condizione di crisi strutturale soggiacente, che può reiniziare per un problema finanziario che parte da crediti inesigibili come i mutui subprime, oppure da un’infezione a raggio mondiale. Niente di nuovo, in realtà, nell’economia-mondo capitalistica. Nel 1637 in Olanda un bulbo di tulipano poteva essere venduto al prezzo del salario di un anno e mezzo di un muratore. Quando il prezzo crollò venne giù l’economia internazionale. I Lehman Brothers furono il fattore scatenante del 2008.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/cinque-domande-sullo-scenario-futuro-1?fbclid=IwAR0k-FlX95C6oT7S-Ky-AbZAyX1-0PVKghDPtNxSZ6AO14MMQ2MIwNkn6fI

Coronavirus, quanti sogni strani per stress da epidemia ma sono un aiuto

di Riccardo De Palo, ilmessaggero.it, 15 aprile 2020

Quanti sogni, all’epoca del coronavirus. Immagini oniriche vivide, cinematografiche, spesso opprimenti, come in un romanzo di Orwell; oppure incubi terrificanti, che ci svegliano di soprassalto. Molti psicologi – in tutti i Paesi interessati dall’epidemia – hanno notato che, in questo periodo, le persone sognano più del solito, e spesso ricordano tutto, in maniera vivida, persistente. Questo perché, spiegano, dobbiamo elaborare la realtà che ci circonda, renderla accettabile, farcene una ragione; oppure – è il caso degli incubi – non ci riusciamo, poiché il ricordo del trauma che abbiamo vissuto è ancora troppo potente.

LA TECNICA
Il New York Times ha raccontato il fenomeno in un lungo articolo, in cui si spiega anche come cercare di scegliere cosa sognare. Deirdre Barrett è una psicologa e ricercatrice dell’Harvard Medical School, che ha studiato questi temi per decenni, e che sta raccogliendo dati sugli effetti della pandemia sulle nostre menti. Molti americani, ha notato, hanno subito un «cambiamento significativo» nelle loro vite; e questo non può che ripercuotersi sulla qualità (e sulle immagini) del sonno. Paura di spegnere la luce del comodino? Per la dottoressa Barrett, è possibile decidere, entro certi limiti, cosa sognare, seguendo una certa tecnica. Lei la chiama incubazione. Vediamo come funziona.

Segue qui:

https://www.ilmessaggero.it/salute/focus/coronavirus_sogni_strani_stress_aiuto_ultime_notizie_15_aprile_2020-5171176.html

Il Messaggero 15/04/20 Quanti sogni strani nell’era dell’epidemia

Covid: gli adolescenti come stanno? Ce lo racconta lo psicologo Andrea Panìco

di Redazione, smemoranda.it, 21 aprile 2020

I ragazzi come stanno? Ce lo siamo chiesti dal secondo giorno di isolamento forzato da COVIDSono stati i primi ad entrare in lockdown e gli ultimi che ne usciranno. Save the children avverte che molti rischiano di rimanere isolati rispetto alle loro classi: il 42% dei minori in Italia vive in case sovraffollate e il 7% è vittima di un grave disagio abitativo. Solo 1 famiglia su 3 ha un computer e 1 su 10 un tablet. Il lockdown che stanno vivendo i bambini e gli adolescenti in Italia chiusi tra le mura delle loro case, in molti casi sovraffollate e prive di spazi adeguati, rischia di creare gravi ripercussioni sulla loro crescita”. E chi se ne sta occupando a parte i genitori e gli insegnanti da remoto (con risultati più o meno felici…)? Si sta parlando poco di loro, di come la stanno vivendo e come sarà dopo. E poi come è l’adolescenza imprigionata? Il corpo che mentre cambia viene messo a freno avrà delle ripercussioni sulla testa? Lo abbiamo chiesto ad Andrea Panìco, psicoanalista e psicoterapeuta, presidente dell’associazione Telemaco di Jonas – MilanoCentro di clinica psicoanalitica per l’adolescenza. L’associazione Telemaco, che da tempo segue gli adolescenti e le famiglie degli adolescenti, ha subito messo in azione un pronto intervento per i ragazzi a casa. Gli psicologi e gli psicoanalisti di Jonas Milano, Gianburrasca e Telemaco Milano offrono ascolto psicologico gratuito a chi, in questi giorni difficili, è chiamato a confrontarsi con la solitudine e l’angoscia. Questi psicologi possono allora cominciare a dirci cosa sta succedendo e a immaginare cosa potrebbe succedere? Buongiorno Andrea, cosa sta succedendo in questi giorni nel vostro centro? Sono aumentante le richieste di aiuto? 

Buongiorno Smemoranda, il centro è fisicamente chiuso, ma fortunatamente il nostro lavoro permette la modalità da remoto. Abbiamo attivato un servizio gratuito di sportello di ascolto telematico per l’emergenza Covid dedicato ai giovani e alle loro famiglie. La situazione è ancora molto fresca, la maggior parte delle domande arriveranno quando l’adrenalina del momento sarà un po’ scesa, ma qualcuno ha già iniziato a contattarci.

La prima urgenza alla quale avete dovuto far fronte con i ragazzi e le famiglie quale è stata?

Indubbiamente le complicazioni imposte dalla convivenza forzata, in particolare la gestione della privacy personale, sia per i ragazzi che per i genitori. Alcune persone fanno i colloqui in bagno o in auto, e comunque le dinamiche quotidiane ci richiedono maggiore flessibilità e variazioni di orario. D’altra parte l’adolescenza è il tempo in cui si impara ad abitare i propri spazi e la quarantena aumenta il livello di difficoltà.

Segue qui:

https://www.smemoranda.it/covid-adolescenti-intervista-andrea-panico-associazione-telemaco/?fbclid=IwAR3iiVMPDNdDh4ekOh4WiePeLlQ-BZrhjqZu85QR5FN_JT2Td_eoO07jARU

Coronavirus, elaborare il lutto

da raiplayradio.it, Tutta la città ne parla20 aprile 2020 

Come elaborare il dolore per i tanti morti per Coronavirus, lontani dai propri cari. Fare i conti con la morte come momento sociale. Accanto al dolore per le perdite, alle riflessioni sull’economia, alle previsioni della scienza, la morte di tante persone è qualcosa che ci scava dentro. Quelle immagini da Bergamo, quelle bare, resteranno a lungo dentro di noi. Che fare di fronte al vuoto, al trauma? Una domanda universale che vale per il singolo o per la famiglia che ha perso qualcuno, vale per una comunità che dovrà elaborare un lutto nazionale. Gli ospiti: Davide Sapienza, giornalista, traduttore, scrittore, esploratore, vive da molti anni in Val Seriana , tra i suoi libri ricordiamo  l’ultimo, Il geopoeta. Avventure nelle terre della percezione (Bolis Edizioni, 2019). Sul Sole 24 Ore il 17 aprile ha firmato il pezzo “Questo dolore ci sarà utile: non possiamo più mentire”; Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, tra i suoi libri ricordiamo  La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo (Feltrinelli, 2018). Sul suo sito internet è possibile trovare una serie di podcast, l’ultimo è dedicato proprio al tema del Coronavirus; Silvia Canuti, direttrice della Caritas diocesana di Mantova. I primi sportelli sono stati creati già a inizio marzo, seguono al momento 25 famiglie, soprattutto si occupano di figli che non hanno potuto salutare i genitori; Davide Sisto, filosofo e tanatologo, il suo ultimo libro è La morte si fa social (bollati Boringhieri, 2018; Marco Aime, antropologo e scrittore, insegna all’Università di Genova, il suo ultimo libro è Classificare, separare, escludere. Razzismi e identità (Einaudi, 2020).

Al link la puntata della trasmissione; l’intervento di Galimberti è a 15 ‘dall’inizio del programma:

https://www.raiplayradio.it/audio/2020/04/TUTTA-LA-CITTAapos-NE-PARLA-ddcab73b-1121-4c9a-a237-348cee42e027.html

Le f(r)asi della rabbia

di Giuliano Castigliego giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 19 aprile 2020

L’aggressività è una parola valigia. Include in sé significati diversi, quasi antitetici, sia il significato negativo di ostile, violento sia quello positivo in termini di affermazione, successo, vitalità, riuscita. Quest’ambivalenza non è strana se si considera che “deriva dal latino adgredior che letteralmente significa «avvicinarsi», ma che può anche essere inteso come «assalire», «accusare», «intraprendere», «cominciare»” (Treccani). Detta così è affascinante, ma come si fa a capire quando è “un’aggressività ostile, ossia un atto di aggressione che deriva da sentimenti di rabbia con l’intenzione di infliggere dolore”, e quando invece è “un’aggressività strumentale, intesa come strumento o mezzo per raggiungere obiettivi e superare ostacoli“ (Treccani)? Mi sembra che in Italia in questa fase della pandemia oscilliamo tra questi due poli dell‘aggressività. Da una parte un senso di scoraggiamento e di ribellione di fronte alla scoperta di inammissibili impreparazioni, tragiche omissioni, errori madornali nel gestire la sanità in particolare lombarda. Nel „lontano“ 6 aprile, quando cominciavano ad emergere le prime inoppugnabili documentazioni di incompetenze e errori, così scriveva @silviabar12:

Quando il dolore s’allenta, la preoccupazione diminuisce un poco, la lucidità diventa spietata. E ti fa vedere ciò che non avevi notato.
Tutto diventa più chiaro e ti invade un senso di sconforto e
di ribellione.

Segue qui:

Le f(r)asi della rabbia

Inventario

di Nicole Janigro, doppiozero.com, 19 aprile 2020

“Come stai?” ha perso la sua frettolosità formale, è diventato un interrogativo sostanziale da cui dipende l’esistenza nostra e delle nostre tante famiglie allargate. In questi giorni non ci incontriamo, il verbale risucchia il non verbale, la comunicazione ridiventa orale, sono le parole che toccano e nutrono, che devono raccontare emozioni che non possono diventare gesto. Dai dispositivi passa un flusso che unisce la solitudine delle moltitudini, concede il perditempo della chiacchiera: ho parlato con mia madre fino alle due di notte, ho sentito amici che non vedevo da anni, ho finalmente chiarito…  L’estetica del mostrarsi, quella che coccolavamo e perfezionavamo, è svaporata, il corpo si è fatto insormontabile con i suoi significati arcaici di paura e morte. “In alcune condizioni di malattia somatica (organica) il corpo-soggetto (Leib) si trasforma in corpo-oggetto (Körper)” scrive Eugenio Borgna in Le metamorfosi del corpo, postfazione all’ormai classico, Il corpo, di Umberto Galimberti (Feltrinelli, 1983). Anche se l’impegno strenuo di chi lotta in ospedale è capace di trasformare il paziente numero in una persona da salvare.

Sottocoperta, ci mettiamo alla prova. Testiamo su di noi la tecnica del prigioniero. Nel tempo bloccato smetto di fumare, di bere, mi metto a dieta, faccio yoga, ripasso l’inglese, mi iscrivo a un corso di musica. Si fanno i conti con se stessi. Alla lettera, perché è la vita di ognuno il testo che abbiamo continuamente davanti, è il qui e ora la postazione dalla quale ci troviamo, stupiti e sbigottiti, a riflettere sulla biografia che ha costruito le nostre molteplici identità. Alcune azzerate, altre rafforzate, altre ancora in statu nascendi, chissà. Quelle più recenti, che non hanno avuto ancora il tempo di consolidarsi, e quelle storiche dove, a seconda dell’atmosferico del giorno, una assolutizza le altre: essere genitore, essere moglie e marito, essere tutt’uno con il lavoro in remoto che il vocabolario ci dice essere il participio passato di removere, rimuovere. Almeno la testa la porta via.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/inventario?fbclid=IwAR01rXZc6fN7ffH9Vctn_a6mj5GO0vHUqp4fG8RR14T5Io7i0TzGoCFfda8

Cosa accade nel nostro inconscio durante questa quarantena? Lo chiediamo ad Augusto Gentili, psichiatra junghiano

La pandemia e la lunga quarantena adottata nel tentativo di contenerla hanno un effetto sulla nostra psiche e provocano reazioni sia sul piano conscio che inconscio. Ne parliamo con il dottor Augusto Gentili, di Casina, medico psichiatra e psicoterapeuta junghiano, autore di diversi libri e persona di grande cultura.

di Ameya Canovi, redacon.it, 18 aprile 2020

Dottor Gentili, dobbiamo ritenerci in guerra?

Sul piano psichico questa situazione è diversa da “una guerra “. La guerra ha un volto nel nemico, ha un fuori, un luogo, un fronte, una retroguardia, e mette in atto dinamiche proiettive razionalizzanti che preservano sostanzialmente l’integrità dell’Io. Nel contesto attuale il nemico è  invisibile:  può essere dentro di noi, può essere dentro i nostri familiari , io posso contagiare loro, loro possono contagiare me; si attivano quindi dinamiche psicologiche pervasive, insidiose che possono provocare reazioni depressive e /o psicoidi  con sintomi di depersonalizzazione e derealizzazione. Vulnerabili sono poi le persone che hanno una struttura di personalità di tipo ossessivo: mi lavo le mani  bene per 20 secondi come raccomandano. Basterà? Ho poi toccato la maniglia della porta sarà pulita? Mi rilavo le mani? Inavvertitamente mi sono toccato il naso. E adesso? Le mani erano abbastanza pulite? Mi sento la testa calda. Avrò la febbre? Mi sembra di far fatica  a respirare… Tutte situazioni che possono esitare in attacchi di panico.

Come si esprime il nostro inconscio nei sogni in questo periodo?

Riguardo ai sogni ci sono piccoli sogni-incubi in cui il corona virus  assume aspetti zoomorfi e per fortuna anche grandi sogni archetipici correlati al nostro inconscio collettivo, in cui l’umano che è in noi ci porta a dare solidarietà, vicinanza (che compensa la distanza geometrica) e protezione per noi stessi e per il prossimo.

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SocialMonti/ Cosa accade nel nostro inconscio durante questa quarantena? Lo chiediamo ad Augusto Gentili, psichiatra jughiano

Le teorie del gioco d’azzardo e il collasso del sistema economico di salute pubblica

Il virus mostra ha rivelato ciò che ogni sistema economico razionale tende a nascondere, ovvero che tale sistema si regge su sacrifici umani. Ogni sistema improntato unicamente al calcolo di costi-benefici è un rischiosissimo gioco d’azzardo. Perché esclude il senso, la differenza, la relazione

di Pietro Barbetta, vita.it, 17 aprile 2020

Alcuni lettori ricordano la grottesca parodia dello scienziato tedesco immigrato negli USA, che raccomandava un attacco atomico preventivo contro l’Unione Sovietica, nel film di Stanley Kubrick Il dottor Stranamore. Il Dottor Stranamore ha un corpo robotico, meccanico con automatismi disfunzionali che rivelano le segrete vestigia naziste di recente scomparse, il film è degli anni Sessanta. In quel periodo, l’attacco preventivo all’URSS era considerato la mossa, in quintessenza strategica, del gioco a somma zero.

Oggi la teoria dei giochi domina l’economia globale capitalista e post-comunista. Il Dottor Stranamore sembra stare tra noi nelle vesti dei consulenti di borsa e di banca di Londra e dintorni, benché la guerra fredda sia terminata. Con la diffusione del virus – di covid-19 e dei precedenti – il gioco d’azzardo soffre la vendetta della Terra, che sconvolge ogni tentativo di razionalizzazione dell’economia riguardo alla salute pubblica. Uno per uno, come nell’alcolista, che non ferma mai il gioco con la bottiglia, l’ultimo è sempre il penultimo. Questo virus è il penultimo, i virus stanno, per così dire, uno dopo l’altro, ad aspettare il loro turno di arrivo. Gli uomini, come alcolisti, sono certi di poter fermare il virus, ma l’ultimo è sempre il penultimo. Qui, come nell’evento alcolico, il problema non è smettere, ma smettere di smettere: infinito potenziale.

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http://www.vita.it/it/article/2020/04/17/le-teorie-del-gioco-dazzardo-e-il-collasso-del-sistema-economico-di-sa/155060/?fbclid=IwAR1OH0XIC2JLA5PqzsHNS1olYzhkh4s_fefqIVyt-bFSRZWFF2TJ3VafpSk

LETTERA AL CORONAVIRUS/ Vita, non discorsi: così l’educazione può rinascere ancora

Il coronavirus sta mettendo fortemente in discussione la capacità che la nostra società ha di dare risposte di senso che siano convincenti. Soprattutto vale per i giovani

di Luca Luigi Ceriani, ilsussidiario.net, 17 aprile 2020

La pandemia ha cambiato radicalmente i nostri stili di vita, amplificando o mettendo in secondo piano gli usuali valori di riferimento della cosiddetta normalità. È esperienza comune che i più grandi cambiamenti avvengano per crisi; noi stessi infatti, dal punto di vista psicologico ed esistenziale, cresciamo “per crisi”. Sigmund Freud mette la crisi a fondamento dello sviluppo della persona: i traumi sono conflitti che vanno guardati, accettati, personalizzati. La crisi è questa catarsi: siamo chiamati ad attraversare l’esistenza accettando di venire costantemente e progressivamente rimessi di fronte alle scelte della vita. Il virus sta attaccando la nostra salute, ma soprattutto sta mettendo fortemente in discussione la capacità che la nostra società ha di dare risposte di senso che siano convincenti; sta sovvertendo convinzioni che, fino a poco fa, o erano politicamente corrette o assolutamente incontrovertibili.

Segue qui:

https://www.ilsussidiario.net/news/lettera-al-coronavirus-vita-non-discorsi-cosi-leducazione-puo-rinascere-ancora/2010428/

Umberto Galimberti, riflessioni ai tempi del coronavirus sul senso del futuro

Dove credeva di essere arrivato, l’essere umano? Perché, costretto a fermarsi, non sa più chi è? E cosa pensa di fare davanti alla negatività della vita? Ecco il pensiero, spiazzante e urticante, del filosofo Umberto Galimberti

di Umberto Galimberti, gqitalia.it, 16 aprile 2020

Umberto Galimberti, filosofo, sociologo, antropologo culturale, psicanalista e accademico: allievo di Emanuele Severino e Karl Jaspers, di cui traduce le opere, è un assoluto divulgatore. 78 anni il 2 maggio, cresciuto con altri nove tra fratelli e sorelle, sta lavorando a un nuovo libro (rigorosamente con la macchina per scrivere). Per GQ ha scritto questa riflessione.

«Il cambiamento imposto dal coronavirus sembra una sofferenza difficile da sopportare, anche se l’umanità ha superato di molto peggio. Succede perché ci troviamo nella condizione in cui tutta la nostra modernità, la tutela tecnologica, la globalizzazione, il mercato, insomma tutto ciò di cui andiamo vantandoci, ciò che in sintesi chiamiamo progresso, si trova improvvisamente a che fare con la semplicità dell’esistenza umana. Siamo di fronte all’inaspettato: pensavamo di controllare tutto e invece non controlliamo nulla nell’istante in cui la biologia esprime leggermente la sua rivolta. Dico leggermente, perché questo è solo uno dei primi eventi biologici che denunceranno, da qui in avanti, gli eccessi della nostra globalizzazione. Se questo è il quadro, c’è forse un’incapacità di evolverci, come esseri umani? Il Cristianesimo ha diffuso in Occidente un ottimismo che ci ha insegnato a pensare in questi termini: il passato è male, il presente è redenzione e il futuro è salvezza. Questa modalità di considerare il tempo è stata acquisita dalla scienza, che a sua volta dice che il passato è ignoranza, il presente è ricerca e il futuro è progresso.

Segue qui:

https://www.gqitalia.it/news/article/umberto-galimberti-filosofo-coronavirs

Essere coppia nei giorni reclusi del coronavirus

È una bella sfida al legame amoroso. Richiede la necessità di rivisitare il rapporto perché il coronavirus ti impone di verificare la tenuta emotiva

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 13 aprile 2020

Due cuori e una capanna. Una storia romantica, un film strappalacrime, ma soprattutto la metafora della coppia che vive anche in uno spazio minimo, dove conta solo il legame amoroso. Una bella immagine degli amanti, forse un desiderio alimentato dal turbine dell’innamoramento. Oggi però le coppie e gli amanti devono necessariamente confrontarsi con la realtà della quarantena, con vita forzata in casa e il contatto ravvicinato a volte entro spazi piccoli. È una bella sfida al legame amoroso. Richiede la necessità di rivisitare il rapporto perché il coronavirus ti impone di verificare la tenuta emotiva. E non è uno scherzo. È un tema scottante di cui poco si parla, anche se c’è chi dice che dovremo aspettare qualche mese per vedere se saranno di più le gravidanze o le separazioni.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/98206-essere-coppia-nei-giorni-reclusi-del-coronavirus-%E2%80%93-di-g.-maiolo,-psicoanalista.html

In quale fase (psicologica) ci troviamo?

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 13 aprile 2020

In quale fase della pandemia ci troviamo? Dal punto di vista epidemiologico è certo fondamentale sapere se la curva si è finalmente appiattita, il picco rispettivamente il plateau passati, quando e come la curva potrà finalmente scenderà. Credo che, proprio perché privati della nostra libertà di movimento, anche se per il nostro bene, avremmo diritto ad una spiegazione. Il presidente della commissione tecnico scientifica che consiglia il governo dovrebbe fornirci un ragionevole modello per capire l’andamento della pandemia, lo scopo delle misure restrittive, tempi e modi dei probabili allentamenti delle stesse magari a confronto con altri paesi. Anziché essere trattati come scolaretti che fanno o meno i bravi stando a casa, possiamo ambire, credo, a essere considerati adulti consapevoli che gestiscono attivamente un rapporto di rispetto e di fiducia con lo Stato in cui vengono scambiate informazioni, tutele, comportamenti di prevenzione e cura.

Segue qui:

In quale fase (psicologica) ci troviamo?

La curva dell’angoscia

di Massimo Recalcati, la Repubblica, 12 aprile 2020

La prima angoscia è stata persecutoria: la paura del contagio, della malattia e dei suoi rischi. Se il pericolo del contagio è potenzialmente dappertutto, è stato necessario il distanziamento sociale per arginare la sua presenza intrusiva. Il mio simile si è rivelato non più per motivi ideologici, ma per motivi scientifici, come un pericolo riattivando la paura arcaica nei confronti dell’ignoto e dello sconosciuto. Quando il primo decreto governativo, legato all’emergenza dell’epidemia, ha compresso la nostra libertà nella reclusione delle nostre abitazioni ha solo provvisoriamente risolto questa prima angoscia. Questa risoluzione si è tradotta inizialmente in un sentimento inedito di solidarietà e di unità nazionale. Il trauma collettivo anziché separare nel dolore ha reso più coese le nostre esistenze. Ci siamo sentiti riuniti in una comunità fatta di solitudini. Una sorta di “narcisismo di squadra” si è positivamente sviluppato per contrastare la disperazione di una malattia che si era rivelata assai più aggressiva e temibile di come era stata inizialmente rappresentata e delle morti che nel tempo si accumulavano. Il noi ha prevalso sull’io, il carattere individualistico della libertà ha lasciato il posto all’idea collettiva della libertà come solidarietà.

Segue qui (Vai a pubblicazioni, articoli, data indicata sopra)

https://www.massimorecalcati.it/articoli

Tra chiusure e divieti chi apre la saracinesca dell’io?

Tutto cospira alla chiusura e i divieti sociali si assommano a quelli interni della persona. Ma anche in tempi di Covid si può fare buona psicologia

di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 11 aprile 2020 

Avere una buona psicologia, orientata al proprio benessere e dunque anche al benessere di quelli che sono in relazione con noi, non ha debiti diretti con qualifiche e titoli di studio. Ne fa testimonianza la schiera dei laureati in psicologia o diplomati in psicoterapia che in questi giorni di emergenza sanitaria si sono scoperti facili prede dell’angoscia, né più né meno dei loro futuri pazienti. Vista sotto questo profilo l’attuale pandemia è un buon – per non dire ottimo – test della qualità e della tenuta della formazione di uno psicologo, di uno psicoanalista o di uno psicoterapeuta, che come da qualche parte scrive Lacan, se non avessero “le spalle larghe con l’angoscia” a ben poco servirebbero. Il clima attuale, da tempesta perfetta, fornisce l’ambiente più idoneo per un’autovalutazione (diagnostica) dell’orientamento del proprio pensiero perché, detto in breve, la psicopatologia (cioè l’ammalarsi della mia buona psicologia) nasce sempre da una fuga. La fuga dal proprio principio di piacere (di convenienza, vantaggio, utilità eccetera) sotto la frusta di una minaccia angosciante, come nel caso della presa d’assalto di massa dei treni per il Sud – per poi finire in quarantena – di poche settimane fa.

Segue qui:

https://www.ilsussidiario.net/news/psicologia-del-coronavirus-tra-chiusure-e-divieti-chi-apre-la-saracinesca-dellio/2007448/

La Pasqua al tempo del Coronavirus

di Redazione, radio24.ilsole24ore.com, 10 aprile 2020

Natale con i tuoi Pasqua con chi vuoi, ma quest’anno vale la regola #iorestoacasa. Ne parliamo con Gianni Rezza, capo del Dipartimento Malattie Infettive dell’Istituto Superiore di Sanità; ci aspetta una Pasqua sui generis, essere costretti a casa in questi giorni che per tradizione trascorrevamo in famiglia o con amici rende la quarantena ancora più difficile. Ne parliamo con Raffaele Morelli, direttore di Riza psichiatra e psicoanalista; poi ci prendiamo cura di noi con i suggerimenti culinari del dottor Stefano Erzegovesi, Direttore del centro disturbi alimentari dell’ospedale San Raffaele di Milano, e con Serena La Sciampista che ci aiuta a domare il nostro “ciuffo” ribelle.

Vai al link e clicca sul triangolo nero. La conversazione con Raffaele Morell comincia a 8′ 45” dall’inizio della trasmissione:

https://www.radio24.ilsole24ore.com/programmi/obiettivo-salute-speciale/puntata/trasmissione-10-aprile-2020-090455-ADZHWVJ

Recalcati: “Rispondere al trauma”

da youtube, 9 Aprile 2020
Fastweb e Teatro Franco Parenti in collaborazione con Associazione Pier Lombardo e Fondazione di Comunità Milano presentano ogni settimana un video di riflessioni sul periodo eccezionale che stiamo vivendo. Intervengono settimanalmente sul tema dell’individuo nel tempo dell’indeterminato: Massimo Recalcati, Philippe Daverio, Daria Bignardi, Luciano Floridi, Maurizio Molinari. In questo interessante intervento Recalcati condivide le sue riflessioni sul periodo che stiamo vivendo, nel trauma dell’inatteso.

Coronavirus, lo psicologo Montanari: “Emergenza suicidi e danni psicologici: interveniamo subito”

“Serve un intervento pubblico eccezionale e gratuito per tutti contro l’emergenza psicologica da pandemia e quarantena”, dice il noto psicoanalista Maurizio Montanari. In primo piano il rischio suicidi e l’SOS medici dopo il dramma. Ma anche: ansia, panico, abuso di farmaci, anoressia, ossessioni, tossicodipendenza e violenza in famiglia

di Matteo Gamba, iene.mediaset.it, 9 aprile 2020

“Con quarantena e coronavirus rischiamo anche un incremento di suicidi legati alla perdita del lavoro e di problematiche psicologiche per i medici e parte della popolazione”. Maurizio Montanari, psicoanalista e responsabile del centro di psicoanalisi applicata Liberaparola, lancia l’allarme parlando con Iene.it: “Bisogna intervenire appena finita la pandemia con l’implementazione dei servizi di sostegno psicologico, pensando anche a progetti ad hoc, che garantiscano l’anonimato e la gratuità, dobbiamo investire anche su questo”.

Cosa la preoccupa di più?
“Due elementi. Innanzitutto un aumento dei suicidi per la drammatica crisi economica e i licenziamenti che verranno. Il legame con la perdita del lavoro come causa primaria del togliersi la vita, e non come concausa, è purtroppo un fenomeno noto e studiato”.

Quali categorie sono più esposte?
“È un fenomeno trasversale: riguarda dirigenti, impiegati, operai, precari. Soprattutto nella fascia tra i 40 e i 50 anni: è il dramma di chi si trova ad aver perso tutto improvvisamente e non vede più speranze. Ci vorrà la massima attenzione nelle nostre città a cosa succede quando un’azienda chiude, e purtroppo saranno tante. Qualcuno assorbe il colpo, cerca un altro lavoro. Ma c’è chi cade in depressione, chi inizia con gli stupefacenti, chi si dà ad attività illegali e chi purtroppo arriva a farla finita”.

Segue qui:

https://www.iene.mediaset.it/2020/news/coronavirus-suicidi-psicologo_753553.shtml

Il dovere di un medico

di Giovanni Mastrangelis, huffingtonpost.it, 9 aprile 2020

Freud riteneva che all’umanità, storicamente, fossero state inferte tre grandi ferite alla propria onnipotenza ed al proprio narcisismo. La prima era stata quella di Copernico, ed aveva riguardato il passaggio da una visione dell’ universo che vedeva la terra  al suo centro, ad una nella quale il sole prendeva il suo posto, relegando i pianeti, fra cui il nostro, ad un ruolo di semplici comprimari. La seconda quella di Darwin che demoliva la concezione creazionista dell’uomo, facendo derivare quest’ultimo, attraverso processi di parentela evolutiva, dall’ordine dei primati. La terza rivoluzione la operò lo stesso Freud, togliendo alla coscienza, attraverso il concetto di determinismo psichico, il primato sulle scelte umane, inducendolo ad affermare che “l’Io non è padrone in casa propria”. Sono queste le  ferite che tre uomini geniali hanno inferto all’umanità. Oggi siamo vittime, e subiamo un’altra immane ferita, che a differenza delle precedenti ci siamo autoprocurati.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/il-dovere-di-un-medico_it_5e8df2d3c5b61ada15c10b6f

Mezz’ora con il Corriere. Massimo Recalcati: come la quarantena cambia le nostre vite

da facebook.com 8 aprile 2020

Qui sotto la conversazione tra Roberta Scorranese del Corriere della Sera e Massimo Recalcati: https://www.facebook.com/watch/?v=180278419597908

Basta con gli psicospecialisti da megafono che ci danno colpetti sulla spalla

di Alfonso Berardinelli, Il Foglio, 8 aprile 2020

La psicanalisi è la malattia che crede di curare. Questa frase non l’ho inventata io, è di Karl Kraus e come spesso succede a questo scrittore è ritenuta ingiusta, esagerata, sbagliata. Si può in parte concordare con chi critica la critica che Kraus rivolgeva a una delle discipline, delle teorie, delle pratiche culturali che nel secolo scorso hanno avuto più successo. Partendo dalla Vienna capitale austro-ungarica, la psicanalisi arrivò perfino negli Stati Uniti e li ha quasi conquistati: dico per prudenza “quasi” perché l’autocoscienza fiera e salda dell’uomo americano non è stata in generale molto scossa dalla scienza dell’inconscio. Kraus colpì fulmineamente la psicanalisi al suo nascere: non ne aveva ancora sotto gli occhi l’espansione e gli effetti sull’intera cultura occidentale, alta, media e infine anche bassa. Colpiva la psicanalisi e la liquidava quando era ancora nelle mani del suo grande creatore Sigmund Freud, con la cui intelligenza e genialità scientifica Kraus fu certo ingiusto. Stando al suo giudizio, infatti, Freud sarebbe stato il più nevrotico di tutti, non in quanto signor Freud, ma in quanto dottor Freud, in quanto scienziato, teorico, terapeuta.

Segue qui:

https://www.ilfoglio.it/cultura/2020/04/12/news/basta-con-gli-psicospecialisti-da-megafono-che-ci-danno-colpetti-sulla-spalla-311810/

https://www.pressreader.com/italy/il-foglio-quotidiano/20200408/281565177876997

«Medici e infermieri oggi sono i nostri soldati. Quando deporranno le armi dovranno affrontare il dolore»

Giorgia Cannizzaro, psicologa dell’area critica, lavora in sala rianimazione a contatto con gli operatori sanitari sottoposti allo stress dell’emergenza: «A loro si chiede di fare esattamente il contrario di ciò che fanno tutti gli altri»

di Antonio Ansaldo, corriere.it, 8 aprile 2020

Da oltre un mese il sistema sanitario italiano è finito in uno tsunami senza fine chiamato Coronavirus. Le corsie, i dipartimenti d’urgenza, i vari reparti, sono diventati trincee, con un accavallarsi di emergenze che ha ingolfato la catena delle cure. I decessi si moltiplicano, soprattutto nelle aree più esposte al contagio, mentre il virus corre veloce, senza alcuna pietà per gli addetti ai lavori: si calcola che ad oggi ci siano oltre ottanta medici morti e 12 mila operatori sanitari contagiati. La paura che è in tutti noi, chiusi in casa, diventa un sentimento con cui convivere per chi lavora in ospedale. «Uno dei principali problemi psicologici per medici e infermieri impegnati in questa emergenza senza precedenti, sta nel fatto che a loro si chiede di fare esattamente il contrario di ciò che fanno tutti gli altri. Mentre si susseguono gli appelli a restare a casa, a proteggere se stessi e i propri cari evitando il contatto con i contagiati, medici e infermieri sono spinti a uscire e a trattare, 24 ore di seguito, persone affette dal virus». A parlare è Giorgia Cannizzaro, psicoanalista esperta in psicologia dell’area critica, impegnata in diversi dipartimenti di emergenza di alcune importanti realtà ospedaliera italiane, a Milano, Ancona e Bologna.

Segue qui:

https://www.corriere.it/cronache/20_aprile_08/medici-infermieri-oggi-sono-nostri-soldati-quando-deporranno-armi-dovranno-affrontare-dolore-af999a88-638a-11ea-9cf4-1c175ff3bb7c.shtml

Coronavirus. Single in panico? La Psicoanalista: “Tempo di amore a distanza”

di Redazione, improntalaquila.com, 7 aprile 2020

È una paura diffusa. Il Covi-19 ha trasmesso il panico in tutti, o in quasi tutti, i single d’Italia. Come faranno a conoscere nuove persone e, soprattutto, come ci si conoscerà se anche nella fase due permarrà l’obbligo della ‘giusta distanza’, con tanto di mascherina, guanti e magari anche occhiali? “Nessun timore- rassicura subito la psicoanalista Monica Nicola- non si avrà mai paura di amare. Forse adesso andranno per la maggiore le ‘dating’ app, ma con l’isolamento le persone hanno più tempo di scrivere e di conoscere l’altro”. Sarà l’epoca del “mai ti ho visto, ma ti ho sempre amato”? “Probabilmente ci si innamorerà a distanza in questi mesi- continua Nicola- ma credo che sarà anche un’opportunità per capire meglio la differenza tra amare e avere semplicemente qualcuno accanto. Soprattutto per i single, se approfitteranno di questo momento per imparare ad avere più pazienza con l’altro, ad investire maggior tempo nella conoscenza dell’altro, potranno davvero capire meglio la differenza tra amicizia, amore e innamoramento”.

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Coronavirus. Single in panico? La Psicoanalista: “Tempo di amore a distanza”

Coronavirus: lo psicoterapeuta, corsi streaming gratuiti per genitori. L’idea di Marcello Florita

di AdnKronos, iltempo.it, 6 aprile 2020

Da sedute psicoanalitiche a pagamento a corsi in streaming gratuiti per sostenere i genitori all’epoca del coronavirus. Questa l’idea di Marcello Florita, psicologo clinico & psicoterapeuta, socio della Società italiana di psicoanalisi della relazione (Sipre) e direttore scientifico del corso di alta formazione in psicologia perinatale. “Il Covid-19 – dice all’Adnkronos/Labitalia Marcello Fiorita – ha azzerato la possibilità di avere un supporto per la coppia e ridotto l’aspetto umanizzante, il tutto accompagnato da una serie di angosce e paure legate al virus”. “Posso avere mio marito con me durante il parto? posso allattare se contraggo il virus? -spiega – questo va inserito in un contesto dove non ci sono più ambulatori aperti per il preparto, gruppi, e sostegni psicologici. Le coppie sono isolate, senza sostengo delle strutture e della famiglia allargata, e spaventate”.

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https://www.iltempo.it/lavoro-adn-kronos/2020/04/06/news/coronavirus-lo-psicoterapeuta-corsi-streaming-gratuiti-per-genitori-1309557/

Il virus sul lettino dell’analista. Un’emergenza psicologica oltre che sanitaria

Lo psicoanalista Stefano Carpani, milanese a Berlino: ogni paese reagisce in modo diverso, ma la pandemia si sconfigge insieme

di Raffaella Silipo, lastampa.it, 7 aprile 2020

l mondo sul lettino dell’analista. La pandemia non è solo una grave emergenza sanitaria, ma sta dando vita a un gigantesco laboratorio di malessere psicologico e sociale, un disturbo da stress post-traumatico globalizzato, cui ogni Paese risponde a suo modo, oggi e nei mesi a venire: tedeschi disciplinati, italiani ansiosi, svizzeri portati alla rimozione. «E’ indubbio che alcuni caratteri nazionali spuntino fuori nei momenti di crisi, anche se generalizzare è sempre un rischio». Stefano Carpani è uno psicoanalista della generazione Erasmus: 41 anni, milanese, laurea in Filosofia alla Cattolica e dottorato in sociologia a Cambridge e Manchester. Vive a Berlino con la moglie spagnola e tre figlie ed è psicoanalista al Carl Gustav Jung Institute di Zurigo. «Sono cresciuto come cittadino del mondo – dice – eppure l’ultima volta che ho viaggiato da Milano a Zurigo a fine febbraio (un percorso fatto centinaia di volte) mi sono sentito trattato da appestato. La prima reazione alla crisi di Germania e Svizzera è stata quella di negazione, di rimozione. Fingevano che il Covid fosse un problema italiano, perché noi siamo più calorosi, ci tocchiamo di più. E anche perchè, naturalmente, siamo più vicini tra generazioni, alle famiglie di origine, mentre da loro i vecchi vivono tra vecchi e i giovani tra giovani. Invece la prima reazione italiana è stata un po’ isterica».

Segue qui:

https://www.lastampa.it/tuttosalute/2020/04/07/news/il-virus-sul-lettino-dell-analista-un-emergenza-psicologica-oltre-che-sanitaria-1.38687410

La riflessione di Recalcati su cosa possiamo imparare dall’epidemia

Il Teatro Franco Parenti continua la sua programmazione online di conferenze e spettacoli. Tra di essi il video inedito dello psicanalista Massimo Recalcati dal titolo Rispondere al trauma

di Redazione, famigliacristiana.it, 6 aprile 2020

Il Teatro Franco Parenti prosegue la programmazione di materiali video da visionare on line sulla playlist youtube #CasaParenti. da domani saranno on line: una intervista ad Andrée Ruth Shammah andata in onda nel 2018 su Rai 5 dedicata al rapporto con Giovanni Testori (martedì 7 aprile), l’intervento video inedito di Massimo Recalcati nell’ambito dell’iniziativa Connessioni Digital Edition dal titolo Rispondere al trauma, organizzata da Fastweb in collaborazione con il Teatro Franco Parenti (giovedì 9 aprile) e una produzione mai pubblicata on line (sabato 11 aprile). Quest’ultima è Opera Panica – Cabaret Tragico di Alejandro Jodorowsky con Valentina Picello, Francesco Brandi, Loris Fabiani, Francesco Sferrazza Papa e i DUPERDU diretti da Fabio Cherstich, messo in scena nel 2017 e ripreso nel 2019.

Segue qui:

https://www.famigliacristiana.it/articolo/la-riflessione-di-recalcati-su-come-possiamo-vivere-il-trauma–dell-epidemia.aspx

Coronavirus, Galimberti: «Avevamo rimosso il senso della morte, il virus ci costringe a doverlo ritrovare»

Il professore: Tra questa situazione e una guerra c’è un abisso. La guerra poteva essere interrotta se si faceva la pace, qui la fine non dipende invece da una scelta diretta

di Francesco Chiamulera, corrieredelveneto.corriere.it, 5 aprile 2020

I camion che portano via i feretri da Bergamo? «Un errore farlo di notte. Non vogliamo più vedere la morte, la rimuoviamo. Ma il Covid ce la restituisce». Umberto Galimberti assiste allo scoppiare della pandemia da coronavirus dal suo appartamento milanese. Filosofo, sociologo, psicanalista, docente all’Università Ca’ Foscari (Venezia), Galimberti ha un’idea chiara di quanto sta accadendo, mentre l’isolamento strappa i malati ai parenti proprio nell’ora più difficile: la morte torna ad assumere una dimensione pubblica che a lungo tempo l’Occidente le ha negato.

Professor Galimberti, che effetto le ha fatto vedere i camion dell’esercito che portavano via nottetempo le bare da Bergamo, o i venticinque feretri lombardi accolti a Padova dal sindaco?

«Quei camion in processione provocano due riflessioni immediate. La prima è che siamo in una situazione eccezionale, e questo è un monito per tutti coloro che anche se sono affetti da Covid si spostano con disinvoltura, come mostrano i tracciati dei cellulari. La seconda è un interrogativo: perché noi siamo ancora vivi? Ce lo si chiede per il solo fatto che molta gente è morta perché gli ospedali non hanno potuto accogliere tutti. Si sono dovute fare delle scelte. Alcune morti probabilmente erano evitabili. Ma perché non abbiamo pensato a tutto questo quando riducevamo i finanziamenti alla sanità pubblica? Non abbiamo fatto alcuna riflessione quando portavamo in tribunale per mille cause quegli stessi medici che adesso chiamiamo eroi?».

Segue qui:

https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/cronaca/20_aprile_05/avevamo-rimossoil-senso-morteil-virus-ci-costringea-doverlo-ritrovare-5e6c48a2-7728-11ea-9f8b-2d610433a11a.shtml

Il tempo dell’attesa e del silenzio

D’improvviso ci siamo accorti che ovunque è venuto a mancare il rumore

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 5 aprile 2020

«Adda passà a ’nuttata» diceva Eduardo in Napoli milionaria. Una frase memorabile come finale di una storia che ha dentro di sé il tempo duro della sofferenza e del vuoto, insieme al tempo lungo dell’attesa e del silenzio. A rivederla oggi quella commedia, capisci che pure dentro l’angoscia più cupa ci può, anzi ci deve essere, una piccola speranza capace di farti attendere un giorno nuovo. Trovi familiare quel dolore che adesso ti appare globale e per questo infinito e insopportabile. Tutto, nella sofferenza è simile. Tutto tranne l’attesa e il silenzio. Il saper attendere sembra una capacità quasi del tutto scomparsa nel tempo frenetico che viviamo e nella società impaziente che abbiamo costruito. Quando manca questa risorsa, finisce per prevalere la metafora della lotta dichiarata e della guerra contro un nemico invisibile chiamato virus.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/97957-il-tempo-dell%E2%80%99attesa-e-del-silenzio-%E2%80%93-di-g.-maiolo%2C-psicoanalista.html

La logica binaria e la chiaroveggenza della paura

di Sarantis Thanopulos e Annalisa Buttarelli, ilmanifesto.it, 4 aprile 2020

Mille esempi di obiezioni che le donne, nei millenni, hanno inviato ai pensatori delle varie epoche, tentando di scongiurare le conseguenze della filosofia dicotomica. La paura della donna di fronte al pericolo è chiaroveggente, l’erigersi dell’uomo nella posizione di combattimento non lo è

Annarosa Buttarelli: «Riprendendo la nostra conversazione, per parlare con precisione della “lungimiranza femminile” dovrei raccontarti mille esempi di obiezioni che le donne, nei millenni, hanno inviato ai pensatori delle varie epoche, tentando di scongiurare le conseguenze della filosofia dicotomica. Direi che forse possiamo riflettere almeno su due proposte che la lungimiranza delle donne avanza in tempi di doloroso disorientamento: 1) faticosa e necessaria trasformazione della forma mentis di genealogia maschile. Si è sempre manifestato nei millenni un modo differente di ragionare tra uomini e donne, e anche un’altra forma di scientificità. Binaria e escludente nei primi; capace di convivere con le contraddizioni, cioè aperta agli insegnamenti della reale esperienza, nelle seconde. Piena di errori logici la prima, a causa dell’andamento dicotomico insopportabile da parte della realtà; rigorosa ma aperta a logiche paradossali, l’altra. Faccio un esempio molto lontano ma chiaro. Assiotea di Fliunte entrò nella Accademia platonica vestita da uomo (ovviamente) e vi lottò contro Aristotele sul tema della schiavitù, scoprendo l’errore logico del filosofo che escludeva dall’umanità donne e schiavi.

Segue qui:

https://ilmanifesto.it/la-logica-binaria-e-la-chiaroveggenza-della-paura/

La vulnerabilità di chi?

di Giuliano Castigliego, nova100.ilsole24ore.com, 5 aprile 2020

– Che vita vorreste voi dunque?
– Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti
– Una vita a caso e non sapere altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
– Appunto

È il celebre dialogo leopardiano del venditore di almanacchi, illuso che l’anno a venire sarà migliore del precedente ma costretto dall’interlocutore a riconoscere che è proprio l’imprevedibilità del futuro (non sapere altro avanti) che gli consente quell’illusione mentre guardando al passato arriverebbe a conclusioni molto più pessimistiche ma assai più veritiere. Che vita e che società avremo dopo aver sconfitto, sempre che ci riusciamo, il Covid 19? Avremo imparato la lezione? Saremo meno ingordi, meno stressati, più rispettosi dell’ambiente, più attenti ai piccoli miracoli del quotidiano, più buoni e più giusti? È lecito dubitarne ma in ogni caso il futuro dipenderà da come ci comportiamo ora perché, come ricorda De Biase: “Se si vuole una società di amore non si può conquistarla odiando. Le conseguenze emergono dalle azioni. Il fine è in ogni gesto compiuto per perseguirlo.” Decisivo sarà dunque a chi rivolgeremo ora le nostre cure e la nostre attenzione. A tutti? Ai più fortunati? Ai più vulnerabili? E chi sono i più vulnerabili? L’ultimo eccellente editoriale di Lancet ci ammonisce che oltre ai tradizionali gruppi a rischio (anziani, pazienti con altre malattie preesistenti, persone senza fissa dimora) anche molte altre persone faranno fatica a gestire l’attuale crisi da un punto di vista finanziario, mentale, fisico.

Segue qui:

La vulnerabilità di chi?

Coronavirus: la corsa, la rinuncia e la “sublimazione” di Freud

Secondo il fondatore della psicoanalisi, esiste un meccanismo di difesa psicologico che ci eleva, consentendoci di dirigere i nostri impulsi più arcaici ed istintuali verso mete più elevate ed attività socialmente utili

di Daniela Olivieri, repubblica.it, 4 aprile 2020

In questi lunghi giorni di stop forzato nell’animo del runner – che fa della propria attività sportiva un principio vitale, una soddisfazione personale, un piacere imprescindibile – affiorano sentimenti e pensieri di tipo depressivo e l’impossibilità di sciogliere il dilemma: “Corro lo stesso? Non ce la farei a farne a meno…Forse potrei correre da solo visto che è vietato e pericoloso! Però che tristezza, senza i miei amici e compagni!” Non sempre un conflitto tra piacere e dovere è risolvibile. Talvolta questi pensieri hanno la funzione di perturbare profondamente la coscienza, un groviglio fatto di passione, emozioni e, appunto, doveri. Il buon senso suggerirebbe che ciascuno di noi dovrebbe essere posto nella condizione di vivere la dimensione del piacere e del benessere nella maniera più libera ed equilibrata possibile, senza quei vincoli che ne limitino l’esperienza. Ed allora la vera domanda da porsi non è  “come risolvere il conflitto?” Ma “qual è il senso di questo conflitto nella mia vita? In quale direzione la mia coscienza si deve sviluppare, al fine di trascendere?”.

Segue qui:

https://www.repubblica.it/sport/running/salute-e-alimentazione/2020/04/04/news/coronavirus_la_corsa_la_rinuncia_e_la_sublimazione_di_freud-253152884/

Daniela Scotto di Fasano e la psicoterapia ai tempi del coronavirus

Psicologa e psicanalista, ha ideato il Festival della Costa Etrusca «Pensare serve ancora?». Qui parla della pandemia, della paura che ne consegue, di violenza domestica e di nuove consapevolezze

di Licia Granello, vanityfair.it, 4 aprile 2020

Una vita come un romanzo. E un presente tanto denso, vitale e necessario che il futuro fatica a starle appresso. Daniela Scotto di Fasano (cognome procidano e per nulla nobiliare, tiene a precisare) è nata e cresciuta in Africa, tra Asmara e Mogadiscio, con un padre nato a New York ma vissuto a Napoli e una mamma di origini greche. Si è laureata in Filosofia a Pavia, ha militato in Lotta Continua, si è sposata, ha insegnato Lettere (anche nello storico progetto delle 150 ore e ai detenuti). Giovane adulta, ha deciso di affrontare il percorso dell’analisi, da cui è uscita con una separazione (dal marito) e un nuovo progetto di vita: quello di lavorare come psicoterapeuta. Quarant’anni dopo, Daniela Scotto di Fasano è una nota psicologa e psicanalista, membro della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psychoanalytic Association, con pubblicazioni sulle più importanti riviste del settore. Si occupa soprattutto di donne e di bambini. Con il secondo marito, Marco Francesconi, a sua volta psicoanalista e docente di Psicologia Dinamica all’Università di Pavia, ha ideato il Festival della Costa Etrusca «Pensare serve ancora?».

Segue qui:

https://www.vanityfair.it/mybusiness/donne-nel-mondo/2020/04/04/daniela-scotto-di-fasano-psicoterapia-coronavirus

La quarantena e la sua eredità nelle nostre vite

di Anna Ferruta, huffingtonpost.it, 3 aprile 2020

L’irruzione del Coronavirus nella vita quotidiana di milioni di persone ha comportato, tra i molti  e gravi sconvolgimenti, anche un terremoto in quello che Carlo Rovelli ha indicato nel titolo del suo libro come L’ordine del tempo (2017). Il tempo, così segnato nei ritmi degli esseri viventi dall’alternanza sonno-veglia, dal respiro del processo metabolico della vita psicobiologica, era già stato ampiamente alterato dai continui viaggi intercontinentali, con i conseguenti disagi da jet-lag e reso inafferrabile da tutta la teorizzazione einsteiniana della relatività. Ora, come ha detto con una felice immagine la virologa Ilaria Capua, un virus che abitava in foreste selvagge ha preso l’aereo e si è trovato catapultato all’improvviso in un mondo estraneo, nel quale è pronto a mangiare tutto, pur di sopravvivere. Un provvedimento di emergenza adottato dai governanti è stato allora quello di alterare artificialmente l’ordine del tempo. Tutte le attività principali che regolavano i ritmi della vita della comunità umana sono state sospese: la regolarità dell’andare a scuola, al lavoro, in palestra, a trovare gli amici e i parenti, a tenere meeting internazionali…

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/la-quarantena-e-la-sua-eredita-nelle-nostre-vite-di-a-ferruta_it_5e85d0aec5b60bbd734fe6c0

Al di là della pratica atroce ed efferata, cosa ci insegna psicoanaliticamente questa storia?

di Anna Marfisa Bellini, dedalusbologna.it, 3 aprile 2020

Mette in evidenza una questione clinica importantissima che ritroviamo abbondantemente in ciò che sta accadendo in questi giorni di emergenza sanitaria per il Coronavirus. In un gruppo di militari, in un gruppo di cittadini, succede una strage. Una tragedia, colpisce all’improvviso e, senza alcun senso logico, uccide moltissime persone ma soprattutto ne lascia altre vive. È chiaramente un caso: alcuni muoiono trapassati dai proiettili, colpiti dalle mine antiuomo, devastati dal virus, altri no, per puro caso, si salvano.

Perché sono destinato a vivere?

Dopo aver pianto i morti e la devastazione rimane una domanda nella testa di chi sopravvive: perché io no? Perchè sono destinato a vivere? Cos’ho io di più? La fortuna? La forza fisica? Un talento? Una missione? Uno scopo? Una redenzione? Tutti si fanno questa domanda, nessuno escluso, poi a seconda delle personalità e delle storie di vita, ciascuno ci fa i suoi conti. Succede che, delle volte, questi conti possano trasformarsi in un senso di onnipotenza: sono vivo, proprio io, perché sono destinato ad esserlo.

Segue qui:

http://www.dedalusbologna.it/approfondimenti/330/non-sparate-alle-gambe-dei-sopravvissuti-.html?fbclid=IwAR1fOhq-vMF6AzfX243EQcM11eOx4DLm9Zv3zw31x36ItuqLlZU8ihLvx04

Coronavirus, Massimo Recalcati: “La disperazione produce rabbia”

Massimo Recalcati (Psicanalista): “La disperazione produce rabbia e la rabbia produce distruzione. Questo succede se le Istituzioni non rispondono”
da la7.it, 2 aprile 2020
Al link l’intervento a “Piazza pulita”:

Il mio viaggio dentro il virus

La malattia colpisce tutti e arriva inaspettata. Una testimonianza di Pietro Barbetta, professore di psicologia clinica all’Università di Bergamo, che descrive il suo corpo a corpo con il coronavirus

di Pietro Barbetta, vita.it, 2 aprile 2020

Il virus come testimonianza diretta

Sono stato là, come malato virus-positivo, in mezzo alla gente, nel lazzaretto del pronto soccorso dell’ospedale di Bergamo, il cuore del virus, e non posso fare a meno di pensare, oltre alla mia salute – là mi hanno dichiarato positivo al virus – alla catastrofe che ha coinvolto le moltitudini. Le ho viste, i primi giorni al pronto soccorso, insieme a me, nei corridoi, vagavamo come anime dell’Ade, chi, come me, adagiate su lettini striminziti, chi sedute, chi in piedi, in attesa di un giaciglio.

Non è solo perché ho rischiato la morte davanti a uno specchio in cui mi guardavo non respirare, come un pesce che sbatte sul molo, come Dioniso inghiottito dai Titani. È soprattutto la condivisione di una sorte comune: altri come me – anziani, con patologie pregresse – sono morti, e continuano a morire, benché ufficialmente d’altro. Il virus mostra i limiti della statistica e della medicina basata sull’evidenza, limiti “sociocostruzionisti”. Diceva Charcot a Freud: “la teoria va bene, ma non ci impedisce di esistere” e, in questo caso, morire.

Siamo circondati – come minaccia la strega nel Mago di Oz – il virus può colpire chiunque in qualunque momento, far morire deboli e anziani, ma anche giovani in buona salute; assolvere il compito che sta nel desiderio crudele di morte delle destre neoliberiste: meno anziani, meno poveri, meno disabili, meno spesa pubblica; sacrificarsi per l’economia. Chi si esprime così è gente sfacciata, con espressione grottesca. Il volto si contorce, come quello dei muppets: quello di Trump, e del suo gemello Boris, sembrano contraddire ciò che stanno dicendo: “io, che non sono io, dico questo, che è altro, a te, che non sei tu, in queste circostanze, che sono altre”. Anche loro impotenti, anche loro bersaglio del virus.

Sento, nel bunker della città più malata d’Europa, del mondo, amici, conoscenti e loro familiari in condizioni gravi, che scompaiono. Vedo medici e infermieri contrarre il virus e diventare impotenti. Come accade in ogni ecatombe, chi è stato là, chi ha visto, solo chi lo ha fatto, sa di cosa sto parlando, sa che tre quarti delle polemiche e delle notizie giornalistiche sono da buttare, come le statistiche sui morti, sa che il pronto soccorso di questa città è come il lazzaretto nella peste bubbonica, come un campo di profughi malati, e sa che questo sta accadendo a Madrid, a New York, e poi, chissà e fin dove. Siamo tornati alla Tebe di Edipo, all’Europa della peste nera, qualcosa che, tra gli antichi, è segno. Quando i sacerdoti bendati vanno da un re giusto e benevolo a chiedere conto della pestilenza e il re sta aspettando l’arrivo del cognato, dello zio, Creonte, quando la lingua della passione – il cognato – si confonde con la lingua della tenerezza – lo zio; in quel momento il destino si abbatte furibondo sulla città, senza spiegazioni, né ragioni. È questo l’Edipo, non il triangolino mamma-papà-figlio; è questo l’inconscio, un grande opificio rumoroso, odoroso, spaventoso, una grande macchina sempre attiva.

Segue qui:

http://www.vita.it/it/article/2020/04/02/il-mio-viaggio-dentro-il-virus/154815/

Piccolo Manifesto in tempi di pandemia

di M. BENASAYAGB. CANYA. DEL REYT. COHENR. PADOVANOM. NICOTRA,

ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it, 1 aprile 2020

Il Collettivo Malgré Tout (“Malgrado tutto”, Francia: Miguel Benasayag, Bastien Cany, Angélique Del Rey, Teodoro Cohen; Italia: Roberta Padovano, Mary Nicotra) propone questo breve Manifesto composto da quattro punti, quattro spunti di riflessione e ipotesi pratiche da condividere con chi fosse interessata/o. Speriamo sia un contributo utile per pensare e agire all’interno dell’oscurità della complessità

1.  Il ritorno dei corpi

Negli ultimi quarant’anni almeno, siamo stati testimoni del trionfo e del dominio incontrastato del sistema neo-liberista in ogni angolo del pianeta. Tra le diverse tendenze che attraversano questo tipo di sistema, una in particolare sembra costituire la forma mentis dell’epoca. Si tratta della tendenza a considerare i corpi come il rumore di fondo che disturba la “recita” del potere, poiché i corpi reali, sempre troppo “pesanti” e troppo opachi, desideranti e viventi sfuggono alle logiche lineari di previsione. Da sempre l’obiettivo perseguito dalle pratiche e dalle politiche proprie del neoliberismo consiste nel deterritorializzare i corpi, virtualizzarli, facendone una materia prima manipolabile, un “capitale umano” da utilizzare a proprio piacimento nei circuiti del mercato. Si richiede che i corpi siano disciplinati, dislocabili senza criterio, flessibili, pronti ad adattarsi (leitmotiv del nostro tempo) alle necessità determinate dalla struttura macro-economica. Nella loro astrazione estrema, i corpi dei migranti senza documenti, dei disoccupati, i corpi non conformi, i corpi annegati nel Mediterraneo o ammassati nei centri di detenzione, in breve, i corpi considerati in esubero diventano semplici numeri, senza valore, senza alcuna corporeità e quindi, in fine, senza umanità.

In ambito tecnico-scientifico questa tendenza si esprime nella formula del “tutto è possibile”, che non riconosce alcun limite biologico o culturale al desiderio patologico di deregolazione organica. E’ ormai una questione di aumentare i meccanismi del vivente, la possibilità di vivere mille anni, se non addirittura di diventare immortali! Si tratta niente di meno che della volontà di produrre una vita post organica in cui si potranno oltrepassare i limiti dei corpi, per loro natura imperfetti e troppo fragili. L’accelerazione catastrofica dell’Antropocene negli ultimi trent’anni testimonia gli effetti nefasti del “tutto è possibile” tecnicista che non soltanto ignora, ma calpesta le profonde singolarità dei processi organici.

Segue qui:

http://ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/04/01/piccolo-manifesto-in-tempi-di-pandemia/?fbclid=IwAR2hhcasMGBciqEM3UkIY6d8_mNs9o2FcbZfWZMAF9DtCf3l3EgyAxhF55I

Il ritorno dell’umana fragilità. Considerazioni sulla pandemia in atto

di Franco De Masi, huffingtonpost.it, 1 aprile 2020

Che cosa abbiamo cancellato o rimosso e che minaccia di riemergere in questo periodo di coronavirus? Di quale rimozione dovremmo parlare come psicoanalisti? Dovremo parlare della fragilità umana che abbiamo forse imparato a disconoscere. È vero che il flagello che si abbatte su di noi e su molti paesi del mondo ha un carattere inimmaginabile, ma proprio la non prevedibilità dell’evento mette a nudo quanto non era più presente alle nostre menti: la fragilità dell’uomo di fronte alla malattia e la morte.

All’inizio dell’opera “Il ritorno di Ulisse in patria” Monteverdi mette in bocca all’Umana Fragilità queste parole: “Mortal cosa son io, fattura umana/tutto mi turba, un soffio sol mi abbatte/ il tempo che mi crea quel mi combatte”.

https://www.huffingtonpost.it/entry/il-ritorno-dellumana-fragilita-considerazioni-sulla-pandemia-in-atto_it_5e8458acc5b65dd0c5d6d280

Coronavirus, come liberare la mente dal Pifferaio che ci tiene prigionieri?

La mente può aiutarci a superare gli automatismi inconsci che costruiscono barriere che ci chiudono ai rapporti. Anche durante l’epidemia da coronavirus, quando siamo prigionieri

di Fulvio Tagliagambe, ilsussidiario.net, 1 aprile 2020

Ripulirò questo luogo da tutto / Devono venire tutti via con me / Suono un accordo… / Scherno e derisione per voi / Ora vengo a prendere la mia ricompensa”

(Der Rattenfänger, J. W. Goethe, 1803)

In questo caso non si tratta di una punizione come conseguenza di una colpa. Né intendo riferirmi a responsabilità, che pure la convenienza politica usa come proiettili. Perlomeno non è questo ciò su cui vorrei riflettere. Nella tradizione tedesca il Pifferaio magico si portò via i bambini di Hamelin per non essere stato pagato dopo aver liberato la cittadina dai ratti e dalla peste. Così gli abitanti del borgo hanno pagato il prezzo della loro avidità con la perdita dei propri figli. Era il 1284 e il bacillo, l’Yersinia pestis, avrebbe causato nel corso dei secoli altre terribili pandemie. L’odierno Pifferaio, il coronavirus, con la memoria storica dei nostri vecchi, i più colpiti tra le generazioni, sta portando al suo seguito certezze e abitudini, sovvertendo convinzioni e costumi. Come psicoanalista, e psicoterapeuta di gruppo, mi trovo a stretto contatto con gli esiti disfunzionali che si riflettono nelle forme di disagio, fino alle patologie, che sono tipiche della nostra epoca.

L’arco salute-malattia si gioca in un delicato equilibrio che coinvolge il corpo e la mente in stretta connessione con l’ambiente che vivono. L’avere cura non può prescindere da una visione olistica che prenda in considerazione l’individuo come unità psico-fisica che si costituisce nella relazione con l’altro e con l’ecosistema in cui è immerso. Gli effetti del coronavirus ci impegnano in tutti questi ambiti che sono strettamente connessi con la nostra stessa identità.

Segue qui:

https://www.ilsussidiario.net/news/coronavirus-come-liberare-la-mente-dal-pifferaio-che-ci-tiene-progionieri/2003668/

Coronavirus, gli Psicoanalisti offrono ascolto e supporto gratuito a chi ne ha bisogno

L’iniziativa della Società Italiana Psicoterapia Psicoanalitica via web e telefono

di Antonio Salvati, lastampa.it, 1 aprile 2020

Ascolto e supporto psicoterapeutico non solo per il personale sanitario in prima linea per fronteggiare la pandemia, ma anche per chi è chiuso in casa, magari in quarantena o malato. È l’impegno dei professionisti della Società Italiana Psicoterapia Psicoanalitica, guidati da Antonio De Rosa, che hanno deciso di mettere a disposizione i propri Centri di consultazione, distribuiti su tutto il territorio nazionale (Roma, Milano, Padova, Bologna, Napoli, Catania e Lecce) e che possono facilmente essere raggiunti telefonicamente o via web (www.sippnet.com). Le immagini del personale sanitario italiano (e non solo) stremato dopo giorni di lavoro ininterrotto in corsia hanno fatto il giro del mondo. Così come i video, conditi da lacrime e disperazione, che contenevano gli appelli a restare a casa da parte degli stessi medici ma anche di tante persone comuni.

Segue qui:

https://www.lastampa.it/cronaca/2020/04/01/news/coronavirus-gli-psicoanalisti-offrono-ascolto-e-supporto-gratuitoa-chi-ne-ha-bisogno-1.38665930

Terapie e terapeuti on-line

Oggi, di fronte alla necessità di comunicare senza incontrarsi, anche gli psicoterapeuti più resistenti si sono adattati

di Vittorio Lingiardi, Guido Giovanardi, ilsole24ore.com, 1 aprile 2020

“Non sei forse tu, finestra, la nostra geometria, forma così semplice che senza sforzo circoscrivi la nostra vita immensa?”
Rainer Maria Rilke, 1927

Quando, un paio di mesi fa, abbiamo deciso di chiamare questa rubrica Giù dal lettino intendevamo valorizzare le aperture della psicoanalisi a ciò che sta “fuori” dalla stanza. Nuovi ascolti, nuovi discorsi, nuove letture. Mai avremmo pensato che stare “giù dal lettino”, al telefono o davanti a uno schermo, sarebbe d’un tratto diventata la condizione comune, oggi l’unica possibile, delle relazioni terapeutiche. La “vita immensa” dell’analisi incorniciata dalla geometria di una finestra virtuale.
Per anni la comunità degli psicoterapeuti si è interrogata sull’opportunità e le opportunità delle terapie on-line. Oggi, di fronte alla necessità di comunicare senza incontrarsi, anche i più resistenti si sono adattati. Molti hanno rivisto le loro posizioni critiche e hanno scoperto le potenzialità delle terapie via rete. In un articolo del 2013 pubblicato sulla rivista Psychoanalytic Psychology, Paolo Migone, direttore della rivista Psicoterapia e Scienze Umane, scriveva che le discussioni sull’efficacia delle terapie on-line sono utilissime perché permettono di riflettere sugli approcci rigidi e stereotipati che spesso assumiamo nei confronti della terapia. Se un tempo tutto dipendeva dall’uso del lettino o dalla (elevata) frequenza delle sedute, oggi sappiamo che l’efficacia di una terapia è sì legata agli strumenti della sua tecnica, ma è soprattutto legata al rapporto che i pazienti stabiliscono con questi. Alcuni pazienti non “reggono” il lettino, altri patiscono il silenzio; alcuni necessitano di una seduta settimanale, altri di tre. L’importante è che la coppia al lavoro rifletta e “mentalizzi” l’uso che fa degli strumenti.

Segue qui:

https://www.ilsole24ore.com/art/terapie-e-terapeuti-on-line-ADG4lvG

Massimo Ammaniti: “Diamo ai bambini un’ora d’aria. Evitiamo che si sentano sequestrati”

Intervista allo psicoanalista e neuropsichiatra infantile: “Creiamo sportelli online di supporto psicologico per genitori. Gli adulti controllino l’ansia con l’autodisciplina”

di Adele Sarno, huffingtonpost.it, 28 marzo 2020

“I bambini sono scomparsi dai decreti. Ma bisogna occuparsi anche di loro. Concediamogli un’ora d’aria al giorno, evitiamo che si sentano sequestrati. Creiamo degli sportelli online che siano di supporto ai genitori e agli adulti che ne hanno bisogno”. Massimo Ammaniti, psicoanalista e neuropsichiatra infantile, parla ad HuffPost delle ricadute psicologiche dell’emergenza coronavirus sulle famiglie. “Dobbiamo attrezzarci perché abbiamo davanti una lunga traversata nel deserto. I bambini, che già all’interno dello sviluppo demografico italiano si riducono sempre di più, restano il nostro futuro. Abbiamo il dovere di valorizzarli anche all’interno di un momento così difficile in cui le preoccupazioni sembrano essere altre”.

Professore, nei decreti anti-contagio non c’è spazio per bambini. Eppure in ballo c’è una generazione di 10 milioni di bimbi e ragazzi italiani chiusi in casa da settimane. E che lo saranno ancora per molto. Quale è il rischio di questa scelta?

“Bisognerebbe essere molto più attenti e garantire degli spazi di ricreazione all’aperto per il genitore e il bambino, evitiamo che questi si sentano sequestrati. Scendere a fare una piccola passeggiata o giù in cortile per mezz’ora o un’ora al giorno può solo far bene. Così come si possono portare i cani a fare i bisogni, diamo ai bambini la possibilità scendere a camminare, soprattutto quando vivono in case ristrette. Il Governo ha previsto dei contributi per le baby sitter, ma è parte della soluzione solo per chi fa smart working. Poi c’è un altro aspetto di cui parlare, e riguarda chi va a scuola. Qui giocano un ruolo importante gli insegnanti che devono essere in grado di organizzare il materiale di studio. Eppure ci sono molti casi in cui vengono dati compiti senza nemmeno spiegare le lezioni, per cui alla fine devono intervenire i genitori. In questo momento sia le scuole, sia gli insegnanti devono essere più attenti, usiamo meglio le risorse digitali”.

Segue qui:

https://www.huffingtonpost.it/entry/massimo-ammaniti-i-bambini-sono-scomparsi_it_5e7f56bcc5b6cb9dc1a1284b?utm_hp_ref=it-culture

Le ferite “invisibili” del virus e il sostegno agli operatori della sanità

Si organizzano momenti di decongestione emotiva per chi lavora in ospedale ed è attiva la rete assistenziale ordinaria

di Nicola Barone, ilsole24ore.com, 25 marzo 2020

Sono in prima linea, e per primi subiscono l’urto dell’epidemia. Medici in servizio e camici bianchi tornati dalla pensione per non far mancare un aiuto nel momento più difficile. E ancora infermierioperatori della sanitàvolontari. Molti i morti, centinaia e centinaia i contagiati. Un carico di vite perse cui si aggiungono le ferite meno visibili, quelle legate alle defatiganti ore di impegno diretto, alla sofferenza dei malati vista da così vicino, all’apprensione per ciò che di oscuramente insidioso aleggia intorno al virus. Ansia e umore depresso, tensione mentale e del corpo, sonno che se ne va. La lista è lunga.

Segue qui:

https://www.ilsole24ore.com/art/le-ferite-invisibili-virus-sostegno-operatori-sanita-e-interventi-territorio-ADwI1rF

Un padre contro l’angoscia

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 29 marzo 2020

“Le ideologie ci separano, i sogni e le angosce ci riuniscono.” Scrive Eugene Ionesco citato da @tizianacampodon. Le speranze dei sogni collettivi certo ci uniscono ma le angosce? Ognuno è in realtà angosciato a suo modo come le famiglie infelici di Tolstoi. C’è chi si dispera e chi nasconde l’angoscia dietro un controllo maniacale dei particolari, chi butta addosso la propria ansia al primo che gli passa a tiro offline e online e chi la sospinge sempre più in profondità dentro di sé, sperando che, incapsulata come la scheggia di legno, non dia più segni di sé. Ora che stiamo esaurendo i consigli utili per fare la pizza con il bicarbonato al posto del lievito, per praticare lo yoga rannicchiati su un treppiede, per esercitare la mindfullness in coda fuori dal supermercato cominciamo a sperimentare un‘inquietudine interiore che difficilmente riusciamo a trasformare in legame sociale. Iniziamo piuttosto ad avvertire, sotto i tentativi sempre più nevrotici di fare e di riempire il tempo con qualsiasi attività possibile, un vuoto angosciante.

Segue qui:

Un padre contro l’angoscia

Lettera aperta ai genitori

Pensate in particolare agli adolescenti che in questo momento fanno fatica a sopportare il distanziamento sociale, anche se molti non lo danno a vedere

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 28 marzo 2020

Cari genitori, il tempo lungo e pesante che stiamo vivendo è un momento difficile per tutti. Facciamo esperienze emotive intense e inattese che dureranno ancora per diverso tempo. Allora attrezziamoci per proteggere la salute fisica e quella mentale, nostra e dei nostri figli. Pensiamo in particolare agli adolescenti che in questo momento fanno fatica a sopportare il distanziamento sociale, anche se molti non lo danno a vedere e sembrano infischiarsene delle restrizioni. Bloccati dentro un incomprensibile tempo sospeso, i ragazzi sono forzati a rimanere in casa, quando il loro potente bisogno fisiologico è quello di stare fuori, insieme al gruppo dei pari con cui possono condividere una quantità cose.

Segue qui: 

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/97721-lettera-aperta-ai-genitori-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo,-psicoanalista.html

L’audacia che ci è possibile

di Massimo Recalcati, la Repubblica, venerdì 27 marzo 2020

Il tempo che stiamo vivendo è il tempo di un trauma collettivo, se il trauma è un evento che spezza violentemente la nostra rappresentazione ordinaria del mondo introducendo la dimensione angosciante dell’inatteso, dell’imprevedibile, dell’ingovernabile. Per Freud un evento può dirsi traumatico perché non essendo in nessun modo prevedibile ha reso impossibile qualunque forma di difesa. Nessuno infatti era preparato a una emergenza come quella che stiamo vivendo. Uno spartiacque si è scavato tra la nostra vita com’era prima e come sarà dopo. Già, ma come sarà dopo? In un articolo ampio e ricco, pubblicato ieri sulle pagine del nostro giornale, Alessandro Baricco ci invita con decisione a pensare al tempo del dopo-trauma. Lo ha fatto evocando la figura dell’audacia. In questo tempo di crisi acuta essa appare interpretata innanzitutto dai nostri medici e dal nostro personale sanitario impegnati direttamente sul fronte tremendo della malattia. Non per spirito di avventura, ma per necessità, o, se si preferisce, per dovere etico e professionale. È un esempio notevole di rigore e passione; non indietreggiare di fronte al male, essere dove sono il dolore e la paura più grande.

Segue qui (Vai a pubblicazioni, articoli, data indicata sopra)

https://www.massimorecalcati.it/articoli

Coronavirus, “Ai bambini bisogna dire la verità per placare le ansie”

Intervista alla presidente della Società Psicoanalitica italiana e psichiatra infantile, Anna Maria Nicolò

di Silvia Mari, dire.it, 23 marzo 2020

La pandemia che attenta ai nostri tanti anziani; l’Italia, un paese senza più bambini; le scuole chiuse, deserte; i parchi sprangati. I bambini a casa con genitori in smart working, o magari in ferie obbligatorie, o presto in cassa integrazione. I bambini come ‘possibili untori’, i meglio difesi rispetto al Coronavirus, sembrano scomparsi: dalle cronache così come dalle strade delle città. Come stanno vivendo questa esperienza? E cosa possiamo fare per aiutarli? E’ la presidente della Società Psicoanalitica italiana e psichiatra infantile, Anna Maria Nicolò, intervistata dalla Dire, a dare alcuni suggerimenti e consigli. La situazione generale piombata sulla società non è da sottovalutare.

Segue qui:

Coronavirus, “Ai bambini bisogna dire la verità per placare le ansie”

Lo psicanalista dell’Unimol: “La più grande sofferenza è il distacco”. A prof e genitori raccomanda: “Non esagerate con i no”

Il professore dell’Unimol è a disposizione degli studenti per un confronto utile ad affrontare i giorni in casa. A genitori e prof raccomanda: “Non esagerate con le proibizioni e con i compiti, siamo già costretti a rinunciare a tutto”

di Elena Berchicci, primonumero.it, 24 marzo 2020

“Stare a casa”. E’ la regola, l’invito, la legge, il mantra che da settimane bombarda i cittadini italiani. Ma è l’unico modo per arginare il virus, ridurre i contagi, aiutare chi lavora negli ospedali e nelle attività aperte, e fare in modo che si esca fuori dal tunnel. E’ il compito più faticoso, ma è anche l’impegno che tutti siamo chiamati a rispettare. “E’ difficile, è molto difficile – spiega il professor Marco Marchetti, psichiatra e psicanalista  – il distacco da tutti e tutto è il dolore più grande a cui siamo tutti sottoposti, qualcosa che ci fa sentire bloccati“. In questi giorni di isolamento in casa, gli studenti universitari dall’altra parte del telefono possono sentire la sua voce, ascolare le sue parole, fare domande, porre quesiti, aprirsi e confessarsi. Dichiarare apertamente le loro paure, le loro mancanze, raccontare i loro giorni difficili lontano dagli amici, da fidanzati e fidanzate, lontani dalla quotidianità fatta di lezioni, incontri in facoltà, scambio di appunti e domande sugli insegnamenti, caffè al bar e chiacchiere con gli amici. Grazie allo sportello voluto dall’Università del Molise e costruito in poco tempo, gli studenti universitari del polo molisano possono contattare il docente e la professoressa Baralla per un servizio di supporto psicologico.

“Siamo ancora ai primi giorni – rivela in una telefonata da Roma, città in cui vive da anni il professore bolognese da 14 anni in servizio all’Unimol con il corso di Medicina Legale – il servizio è appena partito, ma devo dire che già alcuni ragazzi ci hanno contattato e abbiamo parlato con loro. Li ascoltiamo e rispondiamo ai loro dubbi, li confortiamo in questo momento così unico e intenso sotto tanti punti di vista. Soffrono per il distacco dal ragazzo o dalla ragazza, si sentono isolati e bloccati, bloccati negli studi, nella vita. Ma questo è normale perché adesso sono ferme le aspettative, è interrotto bruscamente lo sviluppo, ma non significa fermarsi. Sentirsi isolati è pericoloso, per questo bisogna usare al meglio tutti gli strumenti che si hanno per mantenersi vivi: i social ad esempio, non devono essere demonizzati, ma al contrario benvenga la loro presenza che permette a chiunque di essere a contatto, perchè il contatto è fondamentale, non quello fisico ma quello al telefono, nelle video chiamate visto che bisogna stare a casa. Altra cosa importante: non date false speranze ai bambini e ai ragazzi, non sappiamo fino a quando staremo a casa e dire che durerà poco non aiuta, meglio essere sinceri con loro“.

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https://www.primonumero.it/2020/03/lo-psicanalista-dellunimol-la-piu-grande-sofferenza-e-il-distacco/1530602243/

Il “tempo sospeso” dell’epidemia da Covid-19 nelle parole dello psicoanalista ravennate Claudio Widmann

di Redazione, ravennanotizie.it, 23 marzo 2020

In questo periodo di isolamento forzato, ognuno di noi fronteggia se stesso e le proprie paure più profonde. Proponiamo a questo proposito il contributo che il dott. Claudio Widmann, psicoanalista junghiano di Ravenna, ha voluto inviarci per riflettere su questi temi.

Cosa sta succedendo?!

Succede che mentre governi e aziende stanno facendo piani pluriennali, mentre individui giovani accendono mutui trentennali e adulti meno giovani programmano la pensione, tutti scoprono di essere seduti sulla fragilità d’una foglia. Avvolti in una corazza di presunta sicurezza, siamo soliti librarci in un inebriante volo libero e al primo vuoto d’aria realizziamo che si può cadere. Stiamo scoprendo l’eterna realtà dell’impermanenza ed è l’inattesa scoperta dell’ovvio. Per la verità, molti non lo scoprono nemmeno ora e vivono nella negazione, come se la cosa non esistesse o non li riguardasse, come se fosse un sogno o un’invenzione, in ogni caso qualcosa di non veramente reale.

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Il “tempo sospeso” dell’epidemia da Covid-19 nelle parole dello psicoanalista ravennate Claudio Widmann

Guardiamo in faccia al lutto

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 22 marzo 2020

“Se in certi momenti, comprensibilmente, vi sentite sopraffatti dall’ansia o dalla disperazione, la soluzione non è sfogarsi pubblicamente sui social: è chiamare un amico, o cercare aiuto da chi ve lo può dare”. scriveva un paio di giorni fa Fabio Chiusi su Twitter. Un bel po‘ prima di lui, Hölderlin, che di social non si intendeva ma di riflessione e libri sì e molto, annotava in una sua lettera del 1799: „La riflessione personale, un libro o qualsiasi altra cosa tu possa usare come guida, può essere buona, ma la parola di un vero amico che conosce la persona e la situazione è più benefica e sbaglia meno.” Ma se l‘amico ha anche lui problemi, magari proprio gli stessi nostri, e noi non possiamo uscire di casa se non a poche centinaia di metri, rischiando per di più l‘ira o la denuncia dei vicini, si può facilmente comprendere che i social diventino gli spazi in cui si riversano la nostra ansia, frustrazione, rabbia, tristezza, disperazione. Sarebbe anzi strano se non fosse così visto che, come dice sempre Hölderlin „siamo un colloquio“.
I social, l‘abbiamo ripetuto fino allo sfinimento, sono diventati le nostre aie, piazze, spesso i nostri (tristi) focolari, i mercati, i centri commerciali oltre che i nostri più o meno provinciali circoli, saloni letterari, accademie, crocevie di informazioni e conoscenze. Così come abbiamo inizialmente condiviso sui social polemiche e battute relative alla gravità del contagio, abbiamo poi postato le foto rincuoranti dei balconi festanti e infine negli ultimi giorni il fastidio crescente per la quarantena, la rabbia contro i Runner, nuovi untori.

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Guardiamo in faccia il lutto

Un nuovo comunismo può salvarci

I nostri mezzi d’informazione ripetono ossessivamente “Niente panico!”. E poi arriva una montagna di dati che inevitabilmente scatena il panico. La situazione mi fa tornare in mente i tempi della mia giovinezza in un paese comunista: quando le autorità del governo dicevano all’opinione pubblica che non c’era motivo di aver paura, tutti prendevano quelle rassicurazioni come un chiaro segnale del fatto che erano loro stesse a essere spaventate. Il panico segue una logica propria. Il fatto che nel Regno Unito, a causa del Covid-19, la malattia originata dal nuovo coronavirus, dai negozi siano scomparsi perfino i rotoli di carta igienica mi ricorda un incidente avvenuto nella Jugoslavia socialista. Di punto in bianco cominciò a circolare la voce che nei negozi scarseggiava la carta igienica. Le autorità rilasciarono subito delle dichiarazioni, assicurando che c’erano sufficienti scorte di carta per il consumo ordinario. Sorprendentemente, non solo era vero ma la gente per lo più ci credette. Il consumatore medio, però, ragionò in un altro modo: so che c’è abbastanza carta igienica e che si tratta di una voce senza fondamento, ma che succederebbe se qualcuno la prendesse sul serio e, in preda al panico, cominciasse a comprare quantità eccessive di carta igienica, facendo esaurire le scorte? Quindi è meglio che ne compri un po’ anch’io. Non occorre neppure credere che altri prendano questa voce sul serio, basta supporre che altri credano che ci siano persone che prendono la voce sul serio: l’effetto è lo stesso, vale a dire la mancanza di carta igienica nei negozi. Oggi non sta forse succedendo qualcosa di simile nel Regno Unito (e in California)?

Segue qui:

https://www.internazionale.it/opinione/slavoj-zizek/2020/03/21/comunismo-salvarci-coronavirus

La forza della resistenza

«Resistere, resistere, resistere»: tre parole che risuonano dentro di noi in questo momento dominato dall’angoscia e dall’incertezza generate dal coronavirus

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 21 marzo 2020

Resistere, resistere, resistere. Mai come in questo momento dominato dall’angoscia e dall’incertezza portate dal coronavirus, le tre parole ripetute anni fa da Francesco Borrelli ci risuonano utili. Sono la sintesi della forza d’animo che è capacità tutta psicologica di resistere. La resilienza, così come la chiamiamo oggi, è qualcosa di cui già Platone parlava. La definiva un sentimento profondo che nasce dal cuore. I numerosi studi di oggi, ci dicono che essa non ha niente a che vedere con la volontà. È sicuramente forza, ma non fisica. È energia psichica e mentale che produce benessere, ci permette di tenere botta e ci consente anche di sopravvivere ad un trauma esteso. Con la resilienza resistiamo nelle avversità e attraversiamo le sofferenze della vita trasformando il negativo in positivo. «Quello che non mi uccide, mi fortifica» sosteneva Friedrich Nietzsche. È grazie a questa risorsa tutta interiore che, esaurite le argomentazioni del pensiero, riusciamo ad andare oltre l’angoscia, sappiamo attraversare il dolore e far fronte a un orizzonte che si è improvvisamente ristretto.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/97523-la-forza-della-resistenza-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo%2C-psicoanalista.html

L’epidemia, la «Città» e il vivere e filosofare

di Sarantis Thanopulos, Fabio Ciaramelli, ilmanifesto.it, 21 marzo 2020

Fabio Ciaramelli: «Sarantis, a differenza di te, non credo che nell’intervento di Agamben l’equazione tra coronavirus e “influenzavirus” sia stata un elemento marginale. Mi sembra invece che ne costituisse non solo il punto di partenza ma il fondamento teorico: un fondamento che si sta rivelando sempre più chiaramente falso. Concordo con Roberto Esposito che, pur situandosi in una prospettiva biopolitica vicina ad Agamben, gli ha rimproverato la mancanza di senso delle proporzioni. Perciò, in definitiva, pur condividendo le tue considerazioni successive sulle minacce alla sopravvivenza psichica, non ne condivido l’attacco. A mio avviso, nonostante l’ammirazione per Giorgio Agamben e per le sue brillanti teorie, penso che stavolta abbia preso una cantonata (glielo ha fatto notare anche Jean-Luc Nancy)».

Sarantis Thanopulos: «Fabio, la tesi di Agamben sullo stato d’eccezione che sta diventando normale modalità di governo, regge bene anche senza l’equazione tra Coronavirus e virus dell’influenza. La teoria biopolitica ha trovato nell’elaborazione di Agamben un ampliamento importante del suo respiro: il vivere ridotto in “nuda” (cruda) vita, fondamento di un’eccezione permanente alla libertà e alla democrazia. Nella gestione della quarantena, nei suoi slogan principali e nella pressione psicologica a cui siamo sottoposti, mi sembra dominante la logica del vivere per sopravvivere, per non morire. Nessun parola spesa per le persone che si amano al di là delle case di famiglia, per i familiari separati tra città diverse, per gli amici che non possono incontrarsi, per chi la casa non ce l’ha, o vive in case opprimenti, per i desideri, le emozioni, i sentimenti che amano gli spazi aperti, che viaggiano non nei social ma nelle strade del mondo.

Segue qui:

https://ilmanifesto.it/lepidemia-la-citta-e-il-vivere-e-filosofar

Recalcati:”Adesso i giovani stanno usando i social nel modo giusto, prima c’era un uso patologico”

da raiplayradio.it, 20 marzo 2020

L’esperienza del virus e dunque il terrore del contagio, ha per un verso frantumato i nostri legami, ci ha costretti all’isolamento, però in questo isolamento non dobbiamo leggere semplicemente un ritiro sociale”. “L’isolamento coatto a cui tutti noi siamo obbligati, in realtà contiene una cifra solidale, se il contagio spezza i legami, lo stare a casa è una forma radicale di solidarietà e quindi di ricostruzione del legame”. “Siamo di fronte alla possibilità di fare un esperienza nuova della libertà. Libertà non come facoltà di fare quello che si vuole, ma invece, se c’è una lezione di questo tremendo virus, è che possiamo fare esperienza della libertà come solidarietà”. “Nello stare chiuso nella mia casa, sono solidale come chi sta in trincea, i medici e gli infermieri. Posso essere solidale con i fratelli sconosciuti”. “La fratellanza non è solo un fatto di sangue ma è un nome della relazione”. “Siamo difronte alla possibilità di apprezzare fino in fondo la dimensione della relazione nel momento in cui ne siamo privati”. “La mia impressione è che ci sia una potenza che ha anche a che fare con il riscrivere e il ripensare il rapporto tra la vita e la morte”. “Ho due figli adolescenti, un maschio e una femmina, e sono come due alberi rigogliosi che si trovano costretti in una piccola serra e loro hanno bisogno di contatti e di baci con i loro coetanei”. “Adesso loro stanno usando in modo giusto i social, mentre prima c’era un uso patologico e perverso, ora invece il social introduce la possibilità concreta della relazione e ritrova il suo uso e la sua vocazione”.

Per l’audio:

https://www.raiplayradio.it/audio/2020/03/Massimo-Recalcati-psicanalista-e-scrittore-3a5f1580-0c9c-41ef-9b20-a104644282e5.html

Covid-19 e ricadute psicologiche: i consigli dello psicanalista

di Arianna Garavaglia, montaggio Davide Baldan, rainews.it, 19 marzo 2020

Stare a casa, non andare al lavoro e condividere spazi con i familiari rinunciando a impegni sociali. Sono le conseguenze del decreto per contenere il coronavirus. Ne abbiamo parlato con la psicanalista Vera Slepoj.
Al link il video:

Una comunità di solitudini

di Massimo Recalcati, doppiozero.com, 19 marzo 2020

Papa Francesco cammina con una piccola scorta tra le vie deserte del centro di Roma. Non è una scena di un film di Buñuel, né un’installazione di Cattelan. Piuttosto evoca la cifra più profonda del suo pontificato: rinunciare all’idea di una sovranità astratta, restare accanto a chi trema, a chi ha paura. Sotto i colpi del Covid-19 è la città che trema, che ha paura, che è caduta nello sconforto. Francesco si mostra come l’Altro che risponde alla chiamata del suo popolo. È la prima parola, la parola più eminente di ogni pratica di cura: “eccomi!”. È la postura materna di tutti coloro che oggi si prendono cura dei nostri malati. Eccomi! “Non vi lascio cadere, non mi allontano, resto con voi. Qualcosa di spaventoso sta accadendo; una strana guerra, ma io sono in mezzo a voi”. Non si tratta di negare, di rimuovere, di minimizzare la gravità estrema di questo tempo, ma nemmeno di restare paralizzati, privati di speranza. Il corpo del papa appare come un punto bianco nel buio.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/una-comunita-di-solitudini

Coronavirus, Massimo Recalcati: “La quarentena è una forma di protezione estrema. Il virus ci insegna che nessuno si salva da solo”

da la7.it, 18 marzo 2020

Lo psicanalista Massimo Recalcati spiega come la quarantena forzata per il Coronavirus ci sta cambiando e cosa ci sta insegnando.

Al link il video:

https://www.la7.it/atlantide/video/coronavirus-massimo-recalcati-la-quarentena-e-una-forma-di-protezione-estrema-il-virus-ci-insegna-18-03-2020-314282

Lo psicanalista Massimo Recalcati commenta il gesto di papa Francesco di pregare nella chiesa di San Marcello raggiunta a piedi percorrendo una deserta via del Corso a Roma.

Al link il video:

https://www.la7.it/atlantide/video/coronavirus-lo-psicanalista-massimo-recalcati-papa-a-piedi-la-cifra-piu-profonda-di-francesco-18-03-2020-314274

Coronavirus, le illusioni consolatorie di Recalcati

di Daniela Scotto di Fasano, temi.repubblica.it/micromega-online, 18 marzo 2020

Queste note mi sono state ispirate dalla lettura dell’articolo di Massimo Recalcati apparso su La Repubblica sabato 14 marzo (vedi sotto). È – come spesso quelli di Recalcati – un discorso insidiosamente pericoloso il suo, già a partire dal titolo, La nuova fratellanza. Dico insidiosamente pericoloso, oltre che superficiale e intrinsecamente sbagliato, perché lusinga il lettore, facendolo sentire buono e ‘fratello’ senza fare fatica. La fatica che in trincea (e trincea è anche aver paura da una certa età in poi) fanno solidalmente operatori sociali, sanitari, della pubblica sicurezza…. Recalcati deve gran parte del suo successo mediatico proprio al fatto che quasi sempre scrive esattamente quello che il lettore medio desidera sentirsi dire, offrendo uno specchio benevolo, in collusione con chi lo legge, facendolo sentire intelligente, ispirato, ‘alto’ senza fare sforzo né essere mai messo in discussione. E’, quasi ogni suo scritto, la conferma del già noto, del banale rivestito di panni pomposi. Facendo esattamente il contrario di quello che dovrebbe fare e fa un vero psicoanalista: contrastare le illusioni, inquietare e mettere in discussione se stessi, svelare lo scontato, far riconoscere i pre-giudizi. Tra paroloni e ‘citazioni alla google’, non solo è perduta, ma (anzi!) è per scelta elusa la dimensione dell’inconscio.

Segue qui:

http://temi.repubblica.it/micromega-online/coronavirus-le-illusioni-consolatorie-di-recalcati/

Rallentare stanca

di Nicole Janigro, doppiozero.com, 18 marzo 2020

Ma che giorno è oggi?, mi chiedo svegliandomi per l’ennesima mattina in un silenzio surreale. Strade e piazze, come nei quadri di de Chirico, contenitori melanconici attraversati da bizzarri viventi, a volte con cani, sempre più spesso con mascherina. Annunciano un tempo né feriale né festivo, che non ha ancora un calendario. Quello di prima è stato cancellato, le sue pagine si sono volatilizzate, la quotidianità fitta di impegni e scadenze rinviata a un futuro che non si può sapere quando inizierà. Il tempo è entrato in un’altra dimensione, disorienta il vissuto storico al quale siamo abituati. Rallentare stanca. Immobilizzare organismi abituati a muoversi a velocità supersoniche abbatte e tramortisce, costringe ognuno a inventare un altro ritmo. Intanto il rovesciamento della Weltanschauung è epocale. Ci viene chiesto di vivere… al contrario. Il diktat del rimanere chiusi a casa propria, comprare quanto è essenziale, non frequentare nessuno e lavorare il meno possibile destabilizza chi è cresciuto con l’imperativo categorico di dover socializzare/produrre/consumare. Un mondo che pulsava da estroverso si ritrova in pochi giorni a dover celebrare le virtù dell’introverso. E la patologia del ritiro, il fenomeno Hikikomori, di ragazzi chiusi in casa collegati con l’esterno solo in modo virtuale, diventa ora la richiesta normalità.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/rallentare-stanca

“Egoismo, il morbo sociale che alimenta l’epidemia”

di Elisabetta Ambrosi, Il Fatto Quotidiano, 16 marzo 2020

Come saremo dopo il virus? Difficile dirlo perché “ciascuna persona, nazione e cultura reagirà in modo diverso”. E non è neanche detto che impareremo qualcosa, “perché la struttura delle persone si costruisce in tempi di pace”. A dirlo è Simona Argentieri, medico psicoanalista, docente dell’ Associazione italiana di Psicoanalisi e dell’ International Psychoanalytical Association. Che spiega: “Tra rifiuto dei problemi del mondo, insofferenza ad ogni frustrazione e illusione che tutto sarebbe andato per il meglio, siamo arrivati del tutto impreparati all’ emergenza”.

Come ci ha trovato questa crisi, a livello psicologico?

Siamo partiti molto male, impreparati all’ emergenza. Infatti oscillavamo tra la negazione di enormi problemi (dalle guerre alle migrazioni al disastro climatico) e una sorta di voluta illusione che tutto si sarebbe aggiustato senza la nostra partecipazione. In più, aggiungerei, l’intolleranza verso ogni limite ai nostri desideri (vissuti come diritti); il piccolo egoismo quotidiano, il narcisismo. Tutti elementi che producono quell’ atteggiamento di rabbia diffusa contro il mondo, denunciato con coraggio dal recente libro di Nicoletta Gosio, Nemici miei. La pervasiva rabbia quotidiana (Einaudi). Ora c’è il rischio della ribellione alle regole restrittive.

Segue qui:

https://m.dagospia.com/la-psicanalista-argentieri-la-famiglia-potrebbe-diventare-il-luogo-massimo-dell-insofferenza-230139

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/03/16/egoismo-il-morbo-sociale-che-alimenta-lepidemia/5737774/

Il Covid-19 non ci è arrivato addosso. Ce lo siamo andati a prendere noi

di Claudio Risé, La verità, 15 marzo 2020

Il morbo in Europa, lungi da essere un incidente, è un aspetto strutturale dello sviluppo globalizzato. Quando togli i confini agli uomini, è dura aspettarti che li rispetti un virus uscito dai liquami di un mercato di Wuhan… Il coronavirus ha le spalle larghe. Ormai è lui il colpevole di tutto, il Pericolo Pubblico Numero 1 (e ciò è anche vero, oggi). Sarà però difficile liberarci di lui e dei suoi fratelli in giro per il mondo se non ci stampiamo bene in testa che non è il virus che è venuto da noi, ma (come è stato fatto notare dagli scienziati) siamo noi che siamo sconsideratamente andati a prendercelo fino ai sozzi mercati di Wuhan e dintorni. L’abbiamo fatto per far soldi: motivazione in sé legittima, ma non a prezzo della vita di tutti. Non che il Covid-19 non sia cattivo: è un maledetto virus, che non chiede nient’altro che animali o umani che lo ospitino, lo portino a spasso e gli diano da mangiare; finché, se non sono così forti da metterlo fuori combattimento, li uccide.

Segue qui:

https://www.ariannaeditrice.it/articoli/il-covid-19-non-ci-e-arrivato-addosso-ce-lo-siamo-andati-a-prendere-noi

https://www.laverita.info/il-covid-19-non-ci-e-arrivato-addosso-ce-lo-siamo-andati-a-prendere-noi-2645488591.html

Metafore e virus

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 15 marzo 2020

Un paziente mi ha riferito di aver accolto in casa un barbone cui ha generosamente offerto la propria camera da letto salvo poi vedere in lui, in quel barbone maleodorante, la morte che lo stava minacciando, in senso metaforico, il Coronavirus. Così dicendo il paziente si distanziava, consapevolmente o meno, dalla minaccia di morte, trasportandola appunto su un piano figurato e conferendogli al tempo stesso senso. Il barbone maleodorante non è più uno dei tanti individui ai margini della società ma diventa, agli occhi del paziente, l’essenza stessa del male (attuale) che lui è chiamato a fronteggiare. Con quella metafora il paziente dà senso a ciò che gli è successo e (grandiosamente) a sé stesso. Non è in fin dei conti quello che facciamo tutti noi, ogni giorno e in particolare proprio quando il senso delle cose sembra sfuggirci? Attraverso quello che Floridi chiama il capitale semantico, ricerchiano e diamo senso a fenomeni per lo più (ma non solo) dolorosi che di senso ci paiono privi, partendo dalla convinzione che, come dice Frankl, “anche nella sofferenza vi è una possibilità di senso”.

Segue qui:

Metafore e virus

La paura del contagio

“Sentirsi tristi o rabbiosi è la condizione da accettare. Reagire da adulti è la risposta”

di Ilaria Venturi, la Repubblica, 14 marzo 2020

Parola di psicoanalista. Stefano Bolognini, che ha guidato per anni, unico italiano, la società psicoanalitica internazionale fondata da Freud, mette sul lettino lo stato d’animo dei bolognesi (e non solo) chiusi in casa a causa del coronavirus.

Professore, il virus colpisce il corpo ma lo stato d’emergenza deprime molto anche lo spirito, la gente è angosciata

«Sì, proviamo stupita tristezza nel trovarci inaspettatamente limitati. Pur capendo che è giusto, siamo storditi da questa situazione. Ma è sano provare un po’ di depressione, nel senso di sentire una tristezza adeguata, un fastidio comprensibile, anche rabbia e paura che può essere un sentimento autoconservativo. Il panico al contrario ci impedisce di ragionare e di difenderci. Intendo una paura realistica, non temerarietà, cioè irresponsabilità non cosciente del pericolo, né l’essere arditi: mi metto in pericolo e me ne vanto, un atteggiamento tutto narcisistico».

Anche lei prova paura? Come vive le sue giornate?

«Come tutti. Ma ho la fortuna di essere casalingo, mi piace stare in casa. Mi sento con gli amici e poi continuo a lavorare». Occorre pensare che questo periodo di sospensione non durerà in eterno, ma nemmeno sarà breve. Come viverlo? Accettando di essere depressi e impauriti in una giusta dose: è sano».

Segue qui:

La Repubblica 14/3/2020 La paura del contagio. S. Bolognini

Coronavirus. Cosa fare coi bambini

Serve far capire che questa volta si tratta di un’influenza generata da un virus piccolo e invisibile che può essere evitata comportandoci in una certa maniera

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 14 marzo 2020

Mi colpisce molto in queste giornate recluse dal coronavirus il silenzio inusuale delle strade. Se metti fuori il naso, tranne le sirene delle autoambulanze e il passaggio delle poche macchine che girano, ti accorgi che non ci sono rumori. In particolare è scomparso il vocio dei bambini che non ci sono più nei giardini e per le vie. Tutti nelle loro case, spesso senza frastuono. Anche loro però vivono una quota di paure e di ansie che nascono da questa situazione nuova e inattesa. Molti possono essere impauriti e allo stesso tempo disorientati. Assorbono e fanno loro l’angoscia degli adulti ma anche faticano a comprendere quello che accade.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/97312-messaggio-sindaco-di-riva.html

La nuova fratellanza

di Massimo Recalcati, la Repubblica, 14 marzo 2020

I nazisti ci hanno insegnato la libertà, ha scritto una volta Jean Paul Sartre all’indomani della liberazione dell’Europa dal nazifascismo. Per apprezzare davvero qualcosa come la libertà, bisognerebbe dunque perderla e poi riconquistarla? Ma non sta forse accadendo qualcosa di simile con la tremenda pandemia del coronavirus? La sua spietata lezione smantella in modo altamente traumatico la più banale e condivisa concezione della libertà. La libertà non è, diversamente dalla nostra credenza illusoria, una sorta di “proprietà”, un attributo della nostra individualità, del nostro Ego, non coincide affatto con la volubilità dei nostri capricci. Se così fosse, noi saremmo oggi tutti spogliati della nostra libertà. Vedremmo nelle nostre città deserte la stessa agonia a cui essa è consegnata. Ma se, invece, la diffusione del virus ci obbligasse a modificare il nostro sguardo provando a cogliere tutti i limiti di questa concezione “proprietaria” della libertà? È proprio su questo punto che il Covid-19 insegna qualcosa di tremendamente vero.

Segue qui (Vai a pubblicazioni, articoli, data indicata sopra)

https://www.massimorecalcati.it/articoli

Coronavirus, lo psichiatra Lingiardi: “Troppo silenzio? Siamo isolati, non soli”

da video.repubblica.it, 12 marzo 2020

Le città immobili, il traffico fermo. Tra scuole chiuse e smart working genitori e figli obbligati a una convivenza continua strettissima finora sconosciuta fra le mura domestiche. Gli anziani, invece, spesso soli, con la sensazione di pericolo imminente. Come affrontare questo stato di anormalità diffusa? Come non farsi catturare da ansia o depressione? Lo abbiamo chiesto allo psichiatra a psicoanalista Vittorio Lingiardi, docente di psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma. Lingiardi ha creato un metodo diagnostico che inquadra i nostri meccanismi di difesa in base all’età e ha scritto, tra l’altro, “Io, tu, noi” (Utet) dedicato proprio alle dinamiche di convivenza.

Vai al link per il video:

https://video.repubblica.it/dossier/coronavirus-wuhan-2020/focus-coronavirus-lo-psichiatra-lingiardi-troppo-silenzio-siamo-isolati-non-soli/355696/356262

LA PSICOANALISI AL TEMPO DEL CORONAVIRUS

Dialogo con Alberto Semi, psichiatryonline.it, 12 marzo 2020

Bollorino: “Cominciamo dalla psicoanalisi come pratica clinica e istituzione: sedute disdette, terapie via skype, convegni saltati, esami da ordinario e didatta posticipati a data da destinarsi: come cambia la psicoanalisi all’epoca del contagio?

Semi: Cambia la realtà e resta il “prima il paziente”. Quanto ai cambiamenti nella pratica degli psicoanalisti, ci sarà da pensare. L’importante è che non si neghino le differenze – ad esempio tra una seduta “normale” e una in skype – ma si possa riflettere sulle implicazioni e sui significati di queste pratiche diverse. Che possono mettere in discussione, altrimenti, il metodo.

Bollorino: “Passiamo ai vissuti: cosa portano in seduta i pazienti?”

Semi: Ognuno porta i suoi, ovviamente. Mi è difficile generalizzare.

Bollorino: “Le persone in giro sembrano muoversi tra negazione e paura che deraglia verso la fobia, perché salta il Test di realtà in situazioni come queste?

Semi: L’esame di realtà è una istituzione fragile dell’Io, lo vediamo tutti i giorni anche senza situazioni pesanti come questa. In più, oggigiorno, vediamo all’opera le fallimentari dinamiche narcisistiche: si nega la realtà perché non c’è stata né la costruzione interiore dell’idea di morte né quella di sofferenza. Da qui comportamenti inadeguati – e pericolosi per il prossimo oltre che per sé.

Bollorino: “La maschera della Morte Rossa” di E. A. Poe sembra la metafora delle morte che si cerca di bloccare. Cosa serve per creare consapevolezza matura nelle persone specie nei giovani?”

Semi: Purtroppo non è questione che si possa risolvere in poco tempo. La consapevolezza è solo la punta dell’iceberg di un insieme anche molto conflittuale legato all’accettazione dell’esistenza dell’altro e a ciò che questo comporta (propria limitatezza, riconoscimento del bisogno di relazioni e di altri ecc.). Tutti sappiamo ad esempio della difficoltà che hanno i genitori quando devono comunicare a figli piccoli la scomparsa di un nonno o un amico, un momento cruciale della relazione genitori/figli. Eppure si tratta di trasmettere la consapevolezza (se i genitori ce l’hanno) che la morte fisica implica anche il riconoscimento della persistenza delle rappresentazioni della persona scomparsa dentro di noi, riconoscimento che può passare per la proiezione (“è in cielo”, “ci guarda da lassù” ecc. ecc.) ma deve tornare al proprio mondo psichico. Lo stesso vale per la sofferenza: se un bimbo si sbuccia un ginocchio e piange, è importante che gli adulti sentano e gli facciano sentire che il guaio non è tanto il dolore fisico quanto la sofferenza psichica causata dalla prova di insufficienza, di limite della propria autonomia e viceversa di bisogno della presenza degli altri. La consapevolezza matura nasce dall’insieme di piccole fondamentali esperienze come queste – e perciò non è facile da conseguire né frequente.

Segue qui:

http://www.psychiatryonline.it/node/8477

Dialogo con Sarantis Thanopulos

di Francesco Bollorino, Sarantis Thanopulos, psychiatryonline.it, 12 marzo 2020

Bollorino:Cominciamo dalla psicoanalisi come pratica clinica e istituzione: sedute disdette, terapie via skype, convegni saltati, esami da ordinario e didatta saltati come cambia la psicoanalisi all’epoca del contagio?”

Thanopulos: “La Società Psicoanalitica Italiana come istituzione deve rispettare l’ordinanza, quindi non può mantenere le date di alcuni eventi (che rischierebbero peraltro una scarsa affluenza). Per il resto, cioè seminari, esami, discussioni scientifiche ecc., bisogna trovare delle soluzioni straordinarie, per via telematica, ma non è facile approntarle in questa situazione di emergenza che, diciamolo pure, complica ogni cosa. Ma si lavora in questa direzione. Per quello che riguarda il lavoro di noi analisti è inevitabile che dobbiamo adattare le condizioni del loro lavoro alle circostanze attuali che impediscono, o rendono molto difficile, a una parte dei nostri analizzandi di raggiungere i nostri studi. Persone che sono in quarantena per essere venuti a contatto con soggetti contagiati, donne incinte, persone anziane, persone immunodepresse  o che hanno familiari in condizioni molto precarie di salute. Ci sono poi analizzandi fobici che non riescono a affrontare la paura e non possono essere lasciati a se stessi perché è abbastanza evidente che l’emergenza si protrarrà. L’uso di Skype, videochiamate wattsapp, sedute telefoniche (a seconda di quello che l’analizzando preferisce o anche l’analista) non sostituisce certo l’analisi, e se la situazione attuale andasse molto per le lunghe, ci sarebbero delle difficoltà innegabili. Consente la prosecuzione transitoria di un lavoro che altrimenti potrebbe deragliare e la possibilità di un sostegno psichico indispensabile. La cosa importante è che l’analista non scambi l’intervento eccezionale con la normalità, non interiorizzi la logica dell’emergenza. Non scambi, in altre parole, lo stato d’eccezione con la vita vera. Per questo è importante che per tutti coloro che in seduta possono venire l’analista resti al suo posto e li accolga, prendendo le precauzioni necessarie. Nella misura in cui accoglie più persone in un giorno, l’analista è più a rischio del singolo analizzando, per cui capisco perfettamente i colleghi, soprattutto quelli che obiettivamente sono più vulnerabili alle conseguenze del contagio, che preferiscono limitare il loro lavoro alle sedute fatte a distanza. Personalmente preferisco vedere da vicino tutti i miei analizzandi in grado di venire (al momento la maggioranza), non perché mi senta invulnerabile, la mia età (68 anni) non me lo consente, ma perché penso che pur nella sua pericolosità, nella battaglia dei nostri corpi contro il virus le probabilità restano parecchio dalla nostra parte. Siccome potremmo tutti ammalarsi è meglio non concentrarci solo sul contenimento del virus (che malauguratamente potrebbe riuscire parzialmente) ma anche prepararci psichicamente a affrontare una potenziale malattia.”

Bollorino:Passiamo ai vissuti: cosa portano in seduta i pazienti?”

Thanopulos: “Naturalmente, da vicino o nelle sedute a distanza, tutti parlano del Coronavirus. Chi perché ne ha paura, chi perché inevitabilmente invade la sua vita, come la vita di tutti. Gli atteggiamenti variano: eccesso di paura, preoccupazione ma con una certa serenità, fatalismo, insofferenza verso il clima di paura e di limitazioni delle proprie relazioni, ma senza negazione del pericolo. Nell’insieme il rapporto con l’analisi regge bene ed è valorizzato nella sua funzione. Pochi i sogni direttamente collegati al tema del virus (presente nel testo ‘manifesto’), molti quelli in cui esso è presente nel testo “latente” o quelli che lo usano come “residuo diurno”. In generale è molto attivo il tema del “coinvolgimento”erotico e affettivo inconsciamente vissuto come sinonimo di contagio: la paura di trasmettere il proprio coinvolgimento all’altro o di esserne coinvolti.” Il “virus” psichico vero è proprio la difesa dal coinvolgimento che invade il mondo interno diffondendo inerzia.”

Segue qui:

http://www.psychiatryonline.it/node/8471

La profilassi come eccezione alla vita

di Sarantis Thanopulos, ilmanifesto.it, 12 marzo 2020

Giorgio Agamben ha affermato sul manifesto che, sull’onda della paura del Coronavirus, e in nome della sicurezza, si impongono gravi limitazioni della libertà, «lo stato d’eccezione come paradigma normale di governo». L’intervento di Agamben è stato criticato per un aspetto secondario – l’assimilazione della malattia causata dal virus a una normale influenza – e la sua importanza minimizzata. Nello stato d’eccezione, in cui oggi stiamo vivendo, apparentemente decidono gli «scienziati». In realtà essi non decidono granché sia perché non dispongono ancora di prodotti interferenti con lo sviluppo del virus o di vaccini, sia perché i dati a loro disposizione non sono sufficientemente accurati per calcolare il vero grado di contagiosità e di pericolosità dell’infezione (manca uno screening per campioni statisticamente validi di popolazione). L’Istituto Superiore di Sanità afferma che il vero problema sarebbe non tanto la mortalità quanto la difficoltà di accogliere un numero di pazienti molto elevato nei servizi di terapia intensiva nell’eventualità che i contagi aumentassero molto rapidamente. Di qui la necessità di introdurre misure cautelative urgenti – aggirando il parlamento e sospendendo la Costituzione – non seguendo dati specifici e criteri scientifici ben definiti, ma parametri generali empirici di interruzione drastica dei contatti sociali.

Segue qui:

https://ilmanifesto.it/la-profilassi-come-eccezione-alla-vita-2/

http://www.psychiatryonline.it/node/8472

Coronavirus, Ammaniti: «Come far capire ai ragazzi la grande paura»

Lo psicanalista, specializzato in età evolutiva, è preoccupato: «I genitori devono cercare di responsabilizzare i figli facendo capire loro quali rischi corrono i nonni. Devono sensibilizzarli, anche se le scene di assalto ai treni non lasciano ben sperare…»

di Lilli Garrone, roma.corriere.it, 10 marzo 2020

Massimo Ammaniti, psicanalista, specializzato in età evolutiva, è preoccupato. L’autore di libri come il «Manuale di psicopatologia dell’adolescenza» e «Adolescenti senza tempo» vede il periodo sospeso dovuto al Coronavirus come molto difficile per loro, divisi fra internet e la «spavalderia». «I social rischiano di invadere tutto il loro spazio facendogli perdere di vista la realtà, perché le chat oggi sono il “muretto” di una volta». O vi sono adolescenti «provocatori e non vogliono sottostare alle regole» ma «non sono una maggioranza consistente».

Massimo Ammaniti, periodo difficile per adolescenti e famiglie:come pensa che i ragazzi possano rimodulare la loro socialità?
«Questa nuova situazione sta modificando la vita di tutti. Ma per i più giovani la scuola rappresenta il luogo centrale della socializzazione, per loro è cambiato lo scenario. Stanno molto più a casa e gli incontri al di fuori diventano più difficili. Con le discoteche chiuse la socializzazione tende a restringersi, riescono a connettersi solo con i social network oppure si dedicano ai giochi di gruppo via video».

Segue qui:

https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_10/coronavirus-ammaniti-come-far-capire-ragazzi-grande-paura-07b88812-6239-11ea-9897-5c6f48cf812d.shtml?refresh_ce-cp

Degli adulti e delle regole: una questione di responsabilità

di Stefania Andreoli, 27esimaora.corriere.it, 9 marzo 2020

Subisco il fascino di una sottile perversione: mi piace parlare di ciò che so, irrobustita da una competenza che mi faccia sentire a mio agio. Data questa premessa, non mi addentrerò in questioni che non mi appartengono (la gestione politica della crisi e l’aggressività del Covid-19, per pescare nel mazzo), suggerendo con il comportamento oltre che con le invettive un imprescindibile ritorno al buon senso: ognuno si esprima nel suo settore, affidandosi alla professionalità altrui per quanto concerne il resto. Quanto a me dunque, da psicanalista vorrei proporre una riflessione sul rispetto delle regole e sul fatto che chi le abbia violate, che le stia vio-lando, chi si trovasse in fatica dentro alla necessità di doverle osservare benché sia un adulto all’anagrafe, non possa in alcun modo essere considerato tale sul piano evolutivo.

Dal dizionario, per “regola” intendiamo il “riferimento normativo dell’agire”, un precetto che guidi il comportamento. Insegnare le regole è tra le competenze di base dei genitori, che per l’appunto si auspica che prima di diventare tali, siano anche degli adulti. Gli adulti infatti dovrebbero essere dei grandi fans delle regole: occorrono a mantenere l’ordine di cui sono i detentori, li confermano nel loro ruolo di potere e inoltre trattandosi di prescrizioni che trascendono l’iniziativa del singolo, non richiedono  nemmeno grande sforzo. Il carattere intrinseco della regola infatti è che è così, e basta.

Segue qui:

https://27esimaora.corriere.it/20_marzo_09/degli-adulti-regole-questione-maturita-f3a0d864-61e0-11ea-9897-5c6f48cf812d.shtml

Carne e parola

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 8 marzo 2020

Nei concitati giorni che precedettero la morte di mio padre il mio analista mi scrisse un biglietto. Con poche, sobrie parole mi esprimeva la sua vicinanza, mi invitava a non preoccuparmi delle sedute dell’analisi e a riservare il mio tempo, le mie energie per quei momenti delicati. Sentendo la mia insicurezza, aveva infranto l’astinenza dell’analisi ed era riuscito a fare di quelle parole sentimenti concreti di vicinanza e di affetto. Ripensavo a quelle parole leggendo la splendida citazione di Baumann, segnalatami da @ergoelle4 “ Chi è capace oggi di far diventare carne la parola?“
La domanda  di Baumann si rifà ad una riflessione del grande scrittore Elias Canetti che, poco dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale, annotava “se fossi un vero scrittore avrei dovuto essere in grado di impedire la guerra.“ intendendo con ciò che uno scrittore è “vero” in quanto le sue parole fanno la differenza tra il benessere e la catastrofe.“ e che “ in un mondo che foss’anche il più volontariamente cieco, la presenza di persone che insistono tuttavia sulla possibilità del suo cambiamento acquista un’importanza suprema.”

Segue qui:

Carne e parola

La nostra fragilità al tempo del virus – Di G. Maiolo, psicoanalista

È necessario alleggerire la mente dalla paura e dall’ansia con immagini e sentimenti positivi perché continuare a gravitare nell’angoscia non aiuta. Anzi fa male

di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 8 marzo 2020

Il virus non si fa annunciare. Ti arriva dentro senza che tu te ne accorga, di soppiatto. Spesso l’ospite inquietante non lo senti e non te ne accorgi di averlo con te, se non quando i sintomi ti danno un segnale della sua presenza. Se non ti sei premunito prima, allora vai al contrattacco, ti difendi con i sistemi di cui disponi e cerchi di respingere al mittente l’odioso ospite. Questa però non è la storia del coronavirus che ci è ancora sconosciuto. È la narrazione di un’antica lotta che ha visto l’uomo combattere da sempre contro quei piccoli killer sconosciuti quanto pericolosi che lo minacciano. Molte sono state le vittorie riportate in questa guerra. Enormi i successi della virologia. Eppure oggi il virus che arriva dalla Cina ci mette di fronte a qualcosa di nuovo: la percezione della nostra vulnerabilità. Che non è una novità, ma qualcosa che abbiamo dimenticato, presi come siamo dall’illusione di essere diventati invincibili.

Segue qui:

https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/97112-bthynjuik.html

Il nemico invisibile

di Massimo Recalcati, la Repubblica, 7 marzo 2020

La prima reazione motoria di fronte a un pericolo è quella di darsi alla fuga; allontanarsi il più in fretta possibile dalla minaccia incombente. La paura è la risposta emotiva che segnala e localizza il pericolo in un oggetto determinato mobilitando il nostro distanziamento rapido. Ma quando – come sta accadendo con l’epidemia del coronavirus – la minaccia non è localizzabile, quando sfugge ad ogni determinazione? Quando la sua presenza è invisibile e delocalizzata? Clinicamente siamo di fronte al passaggio obbligato dalla paura all’angoscia; il sentimento dell’angoscia, infatti, diversamente da quello della paura, non si scatena più di fronte ad un oggetto minaccioso. A rigore l’angoscia non ha un oggetto: è, diversamente dalla paura, come ripete Freud, “senza oggetto”. Il pericolo viene dunque avvertito ovunque proprio perché non è più localizzabile. La sua delocalizzazione non genera più paura, ma angoscia o panico. La natura protettrice della paura viene meno, l’argine della fobia crolla.

Segue qui (Vai a pubblicazioni, articoli, data indicata sopra)

https://www.massimorecalcati.it/articoli

“La vera malata è la società. Il virus lo sta dimostrando”

Lo psicanalista Luigi Zoja e gli effetti dell’epidemia sul costume
di Antonio Colonnello, La Stampa, 5 marzo 2020
Professor Luigi Zoja, le riassumo i provvedimenti varati dal governo che uno psicanalista come lei può ben interpretare: vietato toccarsi e baciarsi, vietato andare a scuola, al cinema a teatro. Solitudine e rinuncia: diventeremo una società più triste per colpa di un virus?

«Non credo. Non è il virus il nostro vero problema. Nel mio libro Paranoia, scritto in seguito agli attentati di New York dell’11 settembre, ho raccontato che i mezzi di comunicazione sono stati uno dei più grandi progressi dell’ umanità ma anche uno dei più grandi problemi. I giornali si potevano manipolare, tv e radio ci hanno condizionato, ora i social fanno di peggio. È questo il problema, non il virus».

Quindi lei tra le ragioni della salute e quelle dell’ economia che preme, da che parte si schiera?

«Necessariamente dalla parte della salute, ci mancherebbe».

Ma poi diventeremo tutti più poveri. Dobbiamo abituarci all’idea?

«Certo, per quest’ anno è sicuro. Poi vedremo se ci sarà ripresa. Ma basta vedere Milano che, dicono, perde quasi un miliardo al giorno: è una voragine che nessun provvedimento potrà coprire…»

Qui il file col testo completo:

Coronavirus, lo psicanalista: “Aumentano gli attacchi di panico”

di Lorenzo Morandotti, corrieredicomo.it, 3 marzo 2020

Come stanno i comaschi al tempo del coronavirus dal punto di vista dell’equilibrio mentale? «Il lavoro non è diminuito, anzi – dice lo psicoanalista comasco Roberto Pozzetti – Ho clienti anche dalla vicina Svizzera. Si registra un aumento degli attacchi di panico con l’insorgere dell’epidemia, e temo che il fenomeno si aggravi». Pozzetti ha dedicato un libro con postfazione di Massimo Recalcati, Senza confini (Franco Angeli) proprio alle crisi di panico. «Il vero problema è attraversare queste sfide senza farsi travolgere. D’accordo, il coronavirus non è una influenza, ma nemmeno la peste di manzoniana memoria. Eppure da due settimane è l’argomento principe delle sedute. Così chi stava migliorando durante la terapia rischia di aggravarsi. E un disturbo stagionale come tosse o raffreddore viene visto come l’inizio della fine, segnale di sicuro contagio.

Segue qui:

https://www.corrieredicomo.it/coronavirus-lo-psicanalista-aumentano-gli-attacchi-di-panico/

Odiare è umano, ma…

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 1 marzo 2020

“È proprio della natura umana odiare colui che tu hai offeso” scrive Tacito (“Proprium humani ingenii est odisse quem laeseris” (Agricola, 42, 3)) Confesso di essere rimasto per un attimo perplesso di fronte al passo latino. Pensavo di sbagliare a tradurre: odiare colui che tu hai offeso? Non sarebbe più logico odiare colui che ti ha offeso? Un mio amico, latinista e grecista mi ha rassicurato. Tacito intende proprio che odiamo chi offendiamo, riferendosi in particolare all’odio dell’imperatore Domiziano nei confronti del virtuoso Agricola al quale l’imperatore aveva appena fatto un grave torto. Anticipando Freud, Tacito capisce che odiare è naturale, umano, non abbiamo bisogno di un torto subito per farlo. L’odio, nel caso di Domiziano, rinfocola e giustifica, per così dire, l’offesa stessa. L’odio si coltiva e si auto perpetua nella fantasia del danno da infliggere all’oggetto odiato, sia a livello individuale che collettivo. Anche se è molto spiacevole doverlo ammettere l’aggressività non è caratteristica esclusiva di Domiziano, dei tiranni, degli uomini di potere, dei tempi passati, si trova invece in ognuno di noi, è parte di noi. Nel Disagio della civiltà (pag 936-938 ed. Boringhieri)  Freud, compiendo un’analisi spietata delle nostre tendenze aggressive, scrive: “L’uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace al massimo di difendersi quando è attaccata; È vero invece che bisogna attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. Ne segue che gli vede nel prossimo non soltanto un eventuale soccorritore e oggetto sessuale, ma anche un oggetto su cui può sfogare la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo, ucciderlo homo homini lupus… In circostanze che le sono propizie, quando le forze psichiche contrarie che ordinariamente la inibiscono cessano di operare, essa si manifesta anche spontaneamente e rivela nell’uomo una bestia selvaggia alla quale è estraneo rispetto per la propria specie”.

Segue qui:

Odiare è umano, ma…

Paranoia e virus

di Luigi Zoja, doppiozero.com, 1 marzo 2020

Il 11.9.2001, quando una aggressione terrorista distrusse le Torri Gemelle, abitavo a New York. Mi misi a studiare tutto quello che riguardava la paranoia e cominciai a scrivere un libro sulla presenza di questo disturbo: non nelle istituzioni psichiatriche ma nella popolazione “normale” e nella vita qotidiana. Non ero rimasto sconvolto tanto dall’attacco: si conosceva già l’esistenza di un fondamentalismo islamico paranoico, i proclami di Osama Bin-Laden si leggevano in internet. A quello si poteva esser preparati. Nuova era invece la paranoia collettiva che in un attimo ci aveva circondato. Quella che Jung chiamava “infezione psichica” stava contagiando tutti: malgrado i nostri sforzi per mantenerci lucidi, anche me e i colleghi psicoanalisti.

Così, ho dedicato anni a studiare non l’11 settembre, ma il 12, 13 e così via. Lo scatenarsi di una psiche primordiale nell’uomo comune di quello che si crede un mondo civilizzato. A New York cominciarono a circolare le tipiche “voci”, che prendono vita spontaneamente nelle situazioni di allarme e di pericolo collettivo: un ritorno involontario alla civiltà orale, studiato da Marc Bloch nella Prima Guerra Mondiale. Alle voci, infatti, si crede più che alle notizie ufficiali. E in guerra, ogni notizia è sottoposta alla censura militare. I bollettini dell’esercito dicono che tutto va bene, mentre intorno si muore. Durante il 1914-18, nell’esercito francese nacque spontaneamente un proverbio: “Tutte le notizie possono essere vere, tranne quelle dei comunicati ufficiali”.  Va notata una cosa, poco nota a chi non ha esperienza psichiatrica: le allucinazioni dei malati mentali gravi non sono quasi mai visive: giungono in forma di voci. Questo termine, quindi, è molto efficace, perché stabilisce un collegamento diretto tra il delirio del caso clinico psichiatrico e quello della società che perde il controllo.

La casa in cui abitavo era fuori da Manhattan, in una zona verde. Vicino a noi stava un grande lago artificiale che costituiva una delle principali fonti d’acqua per la città. Le “voci” sussurrarono che i terroristi vi avrebbero gettato un potente veleno. Dopo poco, il racconto cambiò: i malvagi non avrebbero utilizzato veleno, ma l’LSD, così avrebbe fatto impazzire la maggiore città americana. Questa idea era non solo più credibile – dal momento che mancavano casi di avvelenamento – ma anche più in sintonia con l’inconscio collettivo. Anche questa voce non era materialmente vera: non successe nulla, l’unica novità furono i guadagni fatti dai venditori di acqua minerale. Ma, in modo inconsapevole, finiva col risultare vera sul piano simbolico: gli abitanti di New York sembravano vivere fra le allucinazioni, anche se non avevano ingerito LSD.

Segue qui:

https://www.doppiozero.com/materiali/paranoia-e-virus

Alcune parti dell’articolo sono state pubblicate qui:

https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/02/29/news/fondata_sulla_velocita_se_milano_si_ferma_per_il_coronavirus_rischia_di_farsi_male-249871344/

Intervento di Umberto Galimberti

da youtube, 28 febbraio 2020

Cosa fare con i bambini «in quarantena»

Il tempo dei ragazzi, senza scuola e senza attività sportive, si dilata: è l’ora per smitizzare i video «fake», leggere insieme e inventare favole

di Vittorio Lingiardi e Guido Giovanardi, ilsole24ore.com, 28 febbraio 2020

I meno colpiti dal coronavirus ma forse i più colpiti dalle quarantene: per bambine e bambini niente asili, scuole, lezioni di inglese e partite di pallone. Si annoieranno? Come affrontare, noi e loro, le giornate domestiche? Ne parliamo un po’ per gioco (la parola chiave di tutto il discorso), pensando soprattutto ai bambini e ai ragazzi più piccoli, elementari e medie. Gli adolescenti lasciamoli per una volta in autogestione nel mistero social delle loro camerette (magari mentre noi genitori ci leggiamo l’ultimo bel libro del collega Matteo Lancini, Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti, appena uscito per Utet).

Segue qui:

https://www.ilsole24ore.com/art/cosa-fare-i-bambini-in-quarantena-ACdMhhMB

L’amuchina come sindrome, ovvero la paura di vivere

di Sarantis Thanpulos, il manifesto, 28 febbraio 2020

La paura di essere contagiati dal Coronavirus ha un fondamento concreto: un rischio più alto di morire rispetto alla normale influenza, specialmente se si è anziani e già sofferenti di altre malattie. La paura reale di essere contagiati viene dalla voglia di vivere. Il pericolo dell’infezione virale è associato a un pericolo incomparabilmente più catastrofico: il degrado ambientale a partire dalle variazioni climatiche, l’inquinamento e le pessime condizioni igieniche in cui vive la stragrande maggioranza della popolazione mondiale. Vista in questa prospettiva l’influenza da Coronavirus è solo uno dei sintomi, il più immediatamente percepibile, di una malattia del nostro modo di vivere, nei confronti della quale non si sviluppa una paura vera, efficace che mobiliti la ricerca di soluzioni. Siamo di fatto dissociati: la nostra attenzione è rivolta alla possibilità di ammalarsi e non all’incuranza di cui siamo già ammalati che mette a repentaglio, in modo altrettanto reale e ben più grave, la nostra sopravvivenza fisica.

È ovvio che il rischio (relativo) di morire oggi pesi più di un rischio (più serio) di morire domani. È meno ovvio il fatto che la mobilitazione per far fronte al primo non tiene assolutamente conto di una prospettiva più ampia che includa una politica preventiva nei confronti del secondo. Le prescrizioni con cui si cerca di affrontare il contagio riflettono in modo inequivocabile una mentalità che occupa un ruolo centrale nella genesi del degrado della nostra vita: la logica dell’isolamento, della comunicazione remota in cui la lontananza si finge prossimità, l’ostilità verso ciò che non è addomesticato, metabolizzato secondo i codici della nostra autoreferenzialità. L’individuo isolato vive in un presente permanente, ha dimenticato l’ieri e non si preoccupa del domani.

Segue qui:

http://www.psychiatryonline.it/node/8448

Oltre il Coronavirus: la ragione contro il contagio della paura

Notizie e dati si susseguono, ci intimoriscono ma, dalla nostra parte, ci sono la medicina, il senso dello stare insieme e le righe di Manzoni su «quell’acqua che portava via il contagio»

di Vittorio Lingiardi, Guido Giovanardi, ilsole24ore.com, 26 febbraio 2020

La paura del contagio e il contagio della paura. Ogni epidemia ne porta sempre con sé un’altra. È Tucidide, nel quinto secolo a.C., il primo a soffermarsi sull’irrazionalità delle paure scatenate dal morbo: a fronte di una peste devastante nella città di Atene, gli spartani vennero accusati di aver avvelenato i pozzi del Pireo. Molti secoli dopo, Alessandro Manzoni descrive i processi sommari contro i presunti untori, la folla impazzita a Milano che lincia uno straniero solo per aver toccato il muro del Duomo.Nelle ultime settimane si sono moltiplicati gli episodi di sinofobia: “vietato entrare” fuori dai bar, video denigratori diffusi sui social, insulti sugli autobus, titoli che parlano di “pericolo giallo”. Alla base di queste angosce collettive abitano angosce private e primitive difficili da portare alla luce e radicate in dinamiche prementali tipo “mors tua vita mea” o in dinamiche sociali semplificate tipo “ingroup vs outgroup”. Ovvero sentimenti positivi e trattamenti speciali per il proprio gruppo e sentimenti negativi e trattamenti punitivi per il gruppo altrui.

Segue qui:

https://www.ilsole24ore.com/art/la-ragione-contro-contagio-paura-ACZPh9LB?refresh_ce=1

Paura del coronavirus. Consigli della psicoanalista su come affrontarla

Coronavirus. Quando la psicosi sfocia in razzismo . Come affrontare la paura senza mettere da parte l’umanità

di Redazione, italia-news.it, 26 febbraio 2020

Febbraio 2020 – Giorni intensi per l’Italia, in particolare per il zelante nord e per la sua capitale, da sempre fucina di idee e progetti, città internazionale proiettata verso il futuro, dove si respira l’aria di capitale europea. Un’aria che sembra si trovi a pagare pegno, ora più contaminata del solito, perché oltre a polveri sottili e via dicendo, è popolata di coronavirus. Il celebre COVID19 si è insediato nella provincia di Milano riducendola in ginocchio. Gli intraprendenti e inarrestabili milanesi sono stati resi inermi dal terrore più o meno lecito del contagio, i supermercati vengono presi d’assalto così come gli ospedali, e tutto si è fermato. Le scuole, i musei, i cinema, la vita è sospesa, messa in pausa fino a nuovo ordine. Ma non finisce qui. In questi giorni si sono verificati episodi di violenza ingiustificata a sfondo razziale, che vedono come soggetto passivo dell’aggressione persone dai tratti somatici orientali – non necessariamente cinesi – aggrediti fisicamente in luoghi pubblici solo per la presunta appartenenza a un gruppo etnico considerato untore.
Abbiamo affrontato il tema con la dott.sa Rossella Valdré di Guidapsicologi.it, per capire cosa succede a livello individuale e collettivo sulla psiche, perché i sentimenti di odio hanno la meglio sullo spirito di solidarietà e unione, se esistono soggetti maggiormente predisposti a sviluppare un certo tipo di comportamento, cosa c’è dietro agli atteggiamenti razzisti e alla dinamica del capro espiatorio, e qualche consiglio per arginare le emozioni e far sì che non si convertano in psicosi.
Coronavirus: in che modo questo genere di situazioni influiscono psicologicamente?
Sono situazioni di grande impatto sulla psiche individuale, ma soprattutto collettiva. Cosa avviene? Un evento nuovo, misterioso (anche se la scienza ce lo sta spiegando, ma resta ugualmente misterioso), incurabile, provenuto da luoghi lontani non si sa come, si diffonde rapidamente tra noi nonostante provenga da luoghi così geograficamente distanti, e sembra incontenibile. Anche se siamo nel 2020, i meccanismi psicologici profondi che si mettono in moto sono gli stessi di tutte le epidemie, dalla peste del ‘600 in poi: scatta un grande senso di paura, angoscia, vulnerabilità, precarietà, assenza di controllo e smarrimento.

Segue qui:

Paura del coronavirus. Consigli della psicoanalista su come affrontarla

Coronavirus, l’assalto ai supermercati e l’atavico terrore della pancia vuota

di Maurizio Montanari, ilfattoquotidiano.it, 25 febbraio 2020

Ieri, al centro commerciale, niente acqua, pane, né biscotti. La gente, di ogni ceto, zona ed età, in piena psicosi da coronavirus è stata presa dalla frenesia dell’acquisto. Riflettevo in fila su di una frase consegnatami anni fa, dalla nonna in antico toscano, “Un tempo un s’aveva nulla e si correva. Oggi s’ha tutto e si corre”. Nel suo dire un tempo c’era fame, nel senso più primitivo del termine. Mi riferisco agli ultimi sei mesi di guerra, quando il tempo dell’occupazione tedesca in alta toscana coincideva con i bombardamenti alleati. Le condizioni sanitarie e alimentari di alcune di quelle zone raggiunsero livelli miserrimi. Le famiglie contadine (la quasi totalità) venivano private di farina, pane e legumi sia dagli occupanti sia da chi a questi si opponeva. Era talmente tanta, la fame, che non si aveva tempo di domandarsi null’altro oltre a che cosa si sarebbe portato a tavola quel giorno. Una situazione di frenesia simile a quella di oggi. La corsa partiva la mattina, con la tessera annonaria. Poi c’era il pomeriggio passato al mercato nero, e la sera la si dedicava al baratto tra vicini. Riempire la pancia era un bisogno primario talmente urgente da mettere ogni uomo e donna valida in un movimento costante nell’arco della giornata.

Segue qui:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/02/25/coronavirus-lassalto-ai-supermercati-e-latavico-terrore-della-pancia-vuota/5716596/

Sono le Venti (Nove), l’intervista allo psicoanalista Luigi Zoja: “Coronavirus? Lieve psicosi collettiva, come a New York dopo l’11 settembre”

di Redazione, ilfattoquotidiano.it, 24 febbraio 2020

Quanto conta la psicologia nel nostro modo di reagire all’epidemia di coronavirus. Lo spiega lo psicoanalista Luigi Zoja, intervistato da Sono le Venti, il programma di Peter Gomez in onda sul Nove. “Stiamo reagendo con una lieve psicosi collettiva, che contagia tutti. Non diversa da quella che ho osservato quando abitavo a New York dopo l’11 settembre del 2001

Al link il video dell’intervista di Peter Gomez a Luigi Zoja:

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/02/24/sono-le-venti-nove-lintervista-allo-psicoanalista-luigi-zoja-coronavirus-lieve-psicosi-collettiva-come-a-new-york-dopo-l11-settembre/5716221/

Il virus, la paura, l’istinto. Le parole dell’epidemia secondo Umberto Galimberti
di Paolo Micheletto, l’Adige.it, 24 febbraio 2020

«La tempesta perfetta. Il coronavirus è la tempesta perfetta. Perché mescola la paura con l’angoscia. Come il terrorismo». Umberto Galimberti, filosofo, sociologo, professore di Filosofia della storia all’università Ca’ Foscari e grande conoscitore dell’animo umano, non si lascia sorprendere dal dilagare del terrore legato alla diffusione del virus arrivato dalla Cina. Nell’intervista all’Adige Galimberti analizza i fenomeni sociali causati dall’emergenza sanitaria che coinvolge tutti noi, fa sapere che non cambierà il suo stile di vita e chiede di affidarsi alla scienza, non ai politici urlatori né ai social network.

Professore, il coronavirus unisce paura e angoscia, termini che lei studia da sempre.
Sì, è così. Con una differenza sostanziale tra i due aspetti. La paura, infatti, è un ottimo meccanismo di difesa, perché siamo di fronte a un soggetto determinato. L’angoscia invece subentra quando non si capisce da dove viene il pericolo. Non c’è un soggetto chiaro davanti a noi, ma un nemico che non si vede. I bambini, non a caso, non hanno paura ma provano angosce,

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https://www.ladige.it/news/cronaca/2020/02/24/virus-paura-listinto-parole-dellepidemia-secondo-umberto-galimberti

Influenza digitale

di Giuliano Castigliego, giulianocastigliego.nova100.ilsole24ore.com, 23 febbraio 2020

Mia nonna paterna è morta per l’influenza spagnola poco più di cent‘anni fa, nel 1918. Mio nonno, ancora al fronte della prima guerra mondiale come ufficiale medico, non è nemmeno riuscito a vederla prima della sua sepoltura, in una fossa comune. Mio padre si è laureato in medicina allo scoppio della seconda guerra mondiale con una tesi sui sulfamidici (il Bactrim per intenderci), i primi farmaci efficaci nella cura delle infezioni. Subito dopo arrivarono gli antibiotici. Io assisto ora alla diffusione del #coronavirus in un contesto sanitario straordinariamente avanzato in cui a seguito dell‘uso eccessivo e ingiustificato di antibiotici alcuni batteri divengono antibiotico-resistenti. Ai tempi di mio nonno le comunicazioni urgenti avvenivano per telegramma, ai tempi di mio padre per telefono. Oggi per un’immediata comunicazione pubblica e privata basta un click. La paura del contagio rimane però nelle nostra ossa, rinfocolata anzi dalla sensazione o meglio dall’illusione di controllo onnipotente in cui viviamo e ci crogioliamo.

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Influenza digitale

Resistere al panico

di Massimo Recalcati, la Repubblica, 23 febbraio 2020

Il panico come reazione collettiva sorge per infezione psichica e non virale. Le truppe sono allo sbando quando il loro capo viene abbattuto; la massa riunita in una piazza si sgretola scompostamente quando viene annunciata la presenza di un pericolo imminente. Il corpo collettivo preso dal panico si smembra; la massa panicata è una massa in frantumi, frammentata, smarrita. Essa ha perduto l’illusoria unità che sentirsi uniti e identificati alla stessa insegna comporta. Il panico erode la solidità euforica della massa riportandoci alla nostra individuale inermità. Questo accade, come sta avvenendo in questi giorni con la diffusione nelle nostre città del coronavirus, quando il segnale del pericolo diventa rosso, ovvero indica una presenza estremamente prossima della minaccia. Ebbene di fronte a questa prossimità una reazione possibile è quella della irrazionalità del panico.

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Coronavirus. Quando la paura diventa psicosi collettiva

La paura fuori dal controllo della coscienza spinge a imitare le azioni degli altri senza alcun pensiero critico e attenua fortemente il senso di responsabilità personale

di G. Maiolo, ladigetto.it, 15 febbraio 2020

La paura è un’emozione utile. Anzi necessaria. È come un campanello d’allarme che si aziona e ti fa reagire, senza il quale non potremmo vivere e ci troveremmo continuamente in pericolo.Come per tutte le emozioni, però, è necessario saperla gestire e contenere la paura, altrimenti se in eccesso o gonfiata e fuori misura rispetto alla realtà delle cose, può divenire panico, ansia incontrollata o vero e proprio terrore. Questo produce quel fenomeno chiamato «psicosi collettiva» che sarebbe meglio definire «isteria di massa». È una forma di panico diffuso e contagioso, forse quanto o più del Coronavirus. Adesso sta accadendo proprio questo. Da un mese e mezzo circa, da quando le notizie sulla diffusione del virus di provenienza cinese hanno cominciato a tenere banco su media, tra la popolazione mondiale è andata aumentando un’ansia generalizzata relativa al pericolo di una pandemia che in alcuni casi si è già trasformata in terrore collettivo. Il problema non è la preoccupazione oggettiva per una possibile malattia contagiosa, la cui intensità se adeguata alla situazione oggettiva, serve per attivare le precauzioni del caso.

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https://www.ladigetto.it/rubriche/psiche-e-dintorni/96425-coronavirus.-quando-la-paura-diventa-psicosi-collettiva-%E2%80%93-di-giuseppe-maiolo%2C-psicoanalista.html

Il terrore del contatto

di Massimo Recalcati, la Repubblica, 5 febbraio 2020
In Massa e potere Elias Canetti esordisce riflettendo sull’atavico timore dell’uomo di essere toccato dall’ignoto. Dovunque l’essere umano evita di essere toccato da ciò che gli appare estraneo. Questotimore del contatto può raggiungere il vertice del panico quando si avverte l’impossibilità della presa di distanza o della fuga.
Non a caso le crisi di panico avvengono in luoghi affollati o in situazioni – tunnel, cinema, ascensori – dove il soggetto avverte la sensazione di essere intrappolato, senza vie di fuga. L’epidemia è una figura che andrebbe iscritta di diritto nella fenomenologia della paura umana per il contatto. Non a caso nella città cinese colpita dal virus il primo appello delle autorità è stato quello di evitare i luoghi pubblici: chiudersi nelle proprie case, sbarrare l’accesso dell’estraneo al nostro luogo più privato, è un altro gesto fondamentale correlato alla paura del contatto.

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