Recalcati: “Quel che conta nell’eredità è la trasmissione del desiderio”

di Massimo Recalcati, repubblica.it, 13 settembre 2013

Un sintomo sociale dell’attuale difficoltà che caratterizza il rapporto tra le generazioni è l’assottigliarsi dell’eredità materiale: sempre meno i figli ereditano ricchezze accumulate dai propri genitori o dai propri nonni. La crisi economica oltre a rendere più fosco il futuro dei nostri figli sembra che li abbia spogliati anche del loro passato rendendoli più poveri, meno garantiti dalla possibilità di contare su chi li ha preceduti. Tuttavia la psicoanalisi insegna che l’eredità che più conta non è fatta tanto di beni, di geni, di rendite o di patrimoni. Essa concerne le parole, i gesti, gli atti e la memoria di chi ci ha preceduti. Riguarda il modo in cui quello che abbiamo ricevuto viene interiorizzato e trasformato dal soggetto. Nell’ereditare non si tratta dunque di un movimento semplicemente acquisitivo, passivo, come quello di ricevere una donazione. I nostri figli ereditano ciò che hanno respirato nelle loro famiglie e nel mondo e che hanno fatto proprio.
La più autentica eredità consiste di come abbiamo fatto tesoro delle testimonianze che abbiamo potuto riconoscere dai nostri avi. Da questo punto di vista ogni figlio deve accogliere che il suo destino di erede è quello di essere anche orfano – come l’etimologia greca, mostra: erede viene dal latino heres che ha la stessa radice di cheros, che significa deserto, spoglio, mancante e che rinvia a sua volta al termine orphanos.
Cosa illustra questa convergenza dell’erede con l’orfano? Diverse cose, tra le quali il fatto che il giusto erede non si limita a ricevere ciò che gli avi gli anno lasciato, ma deve compiere, come direbbe Freud attraverso Goethe, un movimento di riconquista della sua stessa eredità: “ciò che hai ereditato dai padri riconquistalo se lo vuoi possedere”. In questo senso l’eredità autentica implica un movimento attivo del soggetto più che una acquisizione passiva. Ma cosa si eredita se non si eredita un Regno, se non si è figli di Re? Quello che conta nell’eredità è la trasmissione del desiderio da una generazione all’altra. È il modo con il quale i nostri padri hanno saputo vivere su questa terra provando a dare un senso alla loro esistenza; è il modo con il quale i nostri padri hanno dato testimonianza del loro desiderio, ovvero che si può vivere con slancio, con soddisfazione, dando senso alla nostra presenza nel mondo.
Ne troviamo un esempio formidabile in un film dedicato interamente al rapporto tra le generazioni e al tema dell’eredità come è Gran Torino di Clint Eastwood. I legittimi eredi restano a bocca asciutta di fronte al giovane Tao che viene riconosciuto, al di là della stirpe e del sangue, cioè al di là di un diritto stabilito, come giusto erede.
A dimostrazione che l’eredità più che una acquisizione o, peggio, una clonazione è un movimento di “riconquista”, è un fare originalmente nostro ciò che è stato fatto di noi dagli altri. Tao, diversamente dai figli biologici, è il giusto erede perché ha accolto la testimonianza di Walt, ha accolto la Legge della sua parola, come quando gli intima di non rubare la Gran Torino, o come quando, più teneramente, lo inizia all’incanto dell’incontro amoroso. Tao accoglie la Legge del padre – non si può vivere rubando, non si può vivere dissipando la propria vita – non grazie ad una eredità di sangue ma da una eredità simbolica, riconoscendo il valore della parola del padre “adottivo”. Solo attraverso questo riconoscimento può decidere di essere nel mondo in modo diverso dalla banda omicida dei suoi cugini. In questo senso il giusto erede è colui che può ricevere qualcosa dai suo padri proprio perché non si limita a riprodurlo passivamente. Non è questo il destino di ogni figlio? Lo statuto orfano di ogni figlio non significa anche questo? Non significa che siamo obbligati ad inventare la nostra eredità? In un processo positivo di filiazione non è forse sempre in gioco l’eredità come eresia, come una deviazione creativa del solco tracciato da chi ci ha preceduto?

http://www.psychiatryonline.it/node/4585

Sullo stesso argomento, vedi il video:

https://rassegnaflp.wordpress.com/2013/10/15/la-societa-orizzontale-lectio-magistralis-di-massimo-recalacati/

2 thoughts on “Recalcati: “Quel che conta nell’eredità è la trasmissione del desiderio”

  1. Monica ha detto:

    Mi ritrovo molto in questo articolo. Solo al termine, più che eresia, mi sembra bella l’immagine di creatività: ricreazione di un mondo, quello visto e vissuto da noi, più che devianza rispetto a un precedente.

  2. silvana ha detto:

    Ora mi domando io aspettavo l eredita di mio padre morto già 30 anni fa per poter realizzarmi ma ancora oggi la detiene gelosamente mia madre,io ho rotto i rapporti con lei per farle capire che quella non è più eredità ma anche realizzazione personale ,futuro,per me per i miei figli,cosa dovrei inventarmi ora che sono stata derubata da questa eredita e cioè dalle mie origini,io non capisco più le generazioni che mi hanno preceduto,mi sembrano un po troppo insensibili, narcisi ,gelose, di ciò che noi possiamo costruire rispetto a loro.Silvana

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